Hooded Menace – Questo è il tempo del proj metal!

Hooded Menace. Finlandesi. Death-Doom 1990-1994 alla Paradise Lost, Cathedral, Entombed, My Dying Bride, primi Amorphis. Tematiche: i film di Amando De Ossorio. La saga dei cavalieri ciechi. Identikit perfetto per i gusti di un patito di film horror anni 70 e fanatico del vecchio Death quale è il vostro Padrecavallo. E infatti gli Hooded Menace mi piacciono molto. Li seguo dal secondo album, Never Cross The Dead, e continuo a trovare sempre qualcosa di intrigante in ogni cosa che fanno. Però non impazzisco per loro. E mi domando il motivo. Cosa c’è che non mi torna? Insomma, davvero, se escludiamo il quarto disco, Darkness Drips Forth, dove fanno un po’ troppo il verso ai Pallbearer, i primi tre sprigionano quell’atmosfera cimiteriale, dei riff gagliardi, certe melodie che restano impresse… e così anche il nuovo Ossarium Silhouettes Unhallowed è notevolissimo. Recuperano il piglio robusto e da scapoccio alla Hypocrisy lasciando quell’andamento etereo e proghettone un po’ velleitario che quasi nessuno può davvero permettersi (per esempio i Fen).

Ci vuole energia, pugni in cielo e cavalchiamo, anche se zombie incappucciati su un cavallo zombie denutrito: sempre si pugna la vita o quella putta si infiltra e ci infradicia l’ossa e l’idee.

Prendete il secondo pezzo: In Eire Deliverance. Ci si addentra in un anfratto di spigolose melodie doom alla Gothic/Shades Of God e si precipita nei ruvidi sentieri a doppia cassa degli Entombed di Clandestine prima di esplodere in una bolla d’aria mefitica di grande poesia cimiteriale. Al secondo minuto, quando parte la strofa Purgatory… Of Your Dreams… You Will Find è come se dalle masse di carne marshallescenti si aprisse una stesa vescicale che appena sfiorata si lacerasse facendo tonfare il nostro senso di condanna in una cruenta sensazione di libertà. Ecco l’arpeggio gotico su cui possiamo risalire verso territori dove la pena e la speranza camminano insieme a piedi nudi su un terreno di taglienti sterpi. Ma che cazzo ho scritto? Eppure è ciò che la musica mi detta. Chiudete gli occhi e ditemi se gli assi non volano al minuto due. Roba da anni 90 ma fatta con personalità e consapevolezza. E poi il ritornello dolorosissimo! Strisciamo afferrandoci a ogni nota che avanza fino a una voce femminile che dice una roba tipo: “Can a woman forget her sucking child…” e finalmente schiacciati in un amplesso con la terra siamo costretti ad alzarci, sferzati da qualche fantino diabolico e, come giumente condannate per i peccati del nostro cavaliere, galoppiamo e galoppiamo mentre dalle ferite, grappoli macrocitemici ploppano nel suolo infernale e sfregolano tra le fiamme. Ma al minuto 5 riecco la porta gotica, la fessura vescicare è innanzi a noi, basta un salto. Hop! E sul serio siamo nel Purgatorio dei nostri sogni e da lì alziamo lo sguardo verso il soffitto che separa dal Paradiso. Sentiamo gli angeli che scopano! Così sia fino alla fine del brano. Altre chitarre si aggiungono ai lamenti dei poveri peripatetici in saio e tutto si riduce a un corridoio nero privo di ossigeno.

Ora, a parte certi frammenti di esaltazione, in Ossarium Silhouettes Unhallowed resta un senso di incompiutezza. Diciamo come stanno le cose: gli Hooded Menace sono un progetto. Non una band. Che cos’è una band? Gente che suona, che si incazza, che suda, si scogliona dietro alle proprie canzoni, le speranze, i sogni e le bieche ambizioni. Una band è un matrimonio. Dentro ci infili tutto te stesso e lo stesso fa qualcun altro. I progetti invece sono come più ragazze con cui ti vedi. Una ti permette di essere bastardo, l’altra ti fa comportare da educato, poi c’è la zoccola che ti sprona a sentirti un porco e magari c’è quella a cui scrivi poesie e non vai oltre baci casti al chiaro di luna. Tu sei tutto, porco, poeta, bastardo, educato, ma invece di mettere ogni cosa in un solo cuore e sperare che quello lo metabolizzi, preferisci vivere a compartimenti stagni, come uno psicopatico dalle multiple personalità. Perché se il porco fa schifo, almeno di là c’è il poeta che sa dire le cose giuste. E se l’educato è frustrato, però il bastardo l’è un gran bastardo!

La maggior parte dei musicisti di oggi è così. Non ha un matrimonio da tirare avanti ma varie relazioni con donne che invece di rivelargli chi è e aiutarlo a plasmarsi, lo irrancidiscono in proiezioni parziali di ciò che vorrebbe essere. Per questo ci sono tanti dischi di nomi che muoiono presto e non se ne sa più nulla. Per questo c’è troppa musica in giro e nulla di così interessante da farci sparecchiare l’hardisk e smettere con le ricerche.

Il progetto è una roba che un tipo ha in testa. La incide e coinvolge qualche amico a suonare le parti che lui da solo non riesce a fare. E si sente che è così. Gli Hooded Menace sono un progetto ed è per questo che mantengono questa impronta così monotematica da hipster. Se io inizio a suonare con altri tizi, difficilmente viene fuori una roba così settoriale, così inquadrata. Non me lo permetterebbero. Come le trovi cinque persone tutte in fissa con soli quattro film horror rispetto all’intera storia del cinema? Dove le trovi quattro menti tutte folgorate alla stessa maniera da Icon o The Angel And The Dark River? Lasse Pyykkö (ho fatto copia e incolla, ovviamente) è un tipo che in Finlandia si sbatte molto nella scena underground. Con gli Hooded Menace sembra avergli detto bene. Lui ha individuato un sottogenere che gli piace e ha provato a riprodurne la magia. Poi ha scelto quattro film di un vecchio regista spagnolo e ci ha creato un concept. Dopo ha fatto anche tante altre cose in altri progetti. Ed è qui che non va bene, secondo me. I musicisti stanno disperdendo le proprie energie creative in un’infinità di side-project, nella speranza di beccare interesse da qualche parte o di andare appresso a un pubblico sempre più settario e disperso. In questo modo però finiscono per fare tante cose così così e non farne nessuna alla grande. Sono la perfetta evoluzione del moderno uomo smartphonizzato: guida la macchina mentre si accende una sigaretta mentre incide un messaggio su wazzap mentre pensa a che cosa doveva fare che non si ricorda più? Avete visto come si comporta un adolescente? Non riesce a occupare il proprio tempo con meno di due cose per volta. Finirà per scopare con una donna mentre giocherà con la Wii.

Se vai a guardare il curriculum di un moderno principino metal trovi che ha in piedi quattro band: una stoner, una black, una epic e una ambient! Non sono band vere ma simulacri in attesa di animarsi. Sono tipo le statue del Golem di varia fatta messe in esposizione. Dica il mondo quale preferisce e iniziamo a recitare la formula di animazione.

Il musicista metal è comunque genuino e in ogni progetto mette un pezzo di se stesso. In quello stoner eccolo che indossa i pantaloni a zampa d’elefante, dal vivo sfoggia il suo rickembacker comprato su ebay e scrive brani di dieci minuti l’uno su streghe drogate di LSD, grimori hippie sugli alieni in arrivo e dinosauri che si risvegliano sull’autostrada di qualche stato americano. Incidono un disco con un’etichetta ultra-indipendente. Fanno qualche concerto e poi passano al progetto black. Si pittano la faccia di bianco, si presentano come Butcherslut e si fanno fotografare con il basso a forma d’ascia nel bosco di pini dietro casa, in bianco e nero. Poi incidono tutto da soli, suonando anche quello che non sanno suonare e voilà! Avanti con l’Ambient, avanti con i Manilla Road… ehi ma dove ho messo la mia fascetta per i capelli con su scritto Iron Fist, dove sono i miei paperback di Conan?

C’è qualcosa di sbagliato in tutto questo. Pensate che ficata un gruppo che metta insieme le streghe, i dinosauri, il black, lo stoner e i Manilla Road? Sarebbe un bel magma di cose. Investendoci tempo, soldi e vari cervelli, magari un giorno può portare a una nuova band mai sentita prima. Se i Monster Magnet fossero nati nel 2008, di sicuro Wyndorf avrebbe tirato fuori tre progetti: uno inspirato agli Hawkwind, uno ai Black Sabbath e uno ai Free. Tre semi-band anziché un solo grande nome: Monster Magnet del cazzo! Ecco cosa voglio dire…

Ecco cosa non va, capite? Oggi tutto questo è dovuto alla tecnologia nuova e alla vecchia, eterna dipendenza da endorfine. Se io volessi incidere un disco, potrei farlo da casa, senza spendere un soldo. Nel 1994, anche fare una roba al risparmio alla Darkthrone mi sarebbe costata tre volte più di un buon disco black fatto oggi in casa mia. Avrei dovuto misurarmi almeno con un comprimario, provare i pezzi, viverli un bel po’ prima di metterli su disco, racimolare la grana e pensare a ciò che sto facendo nel mentre. Ora si può comporre direttamente quando si incide. Si scarabocchia con chitarre, basso, voce e batteria elettronica sul pc di casa, si riascolta e si da un nome alla cosa. Si apre un’etichetta e si fa uscire il disco. Poi si trovano i musicisti e si provano le canzoni. Ma il disco che esce è come un parto prematuro. Tutta la parte fisica, il tempo, tutto ciò che fa la limatura non avviene. Per questo tante band, e ci includo gli Hooded Menace, possono permettersi un manifesto programmatico tanto audace su un monotema. Come i tizi vestiti da Flanders che hanno tirato su un disco grind scritto e inciso in mezzora e dopo ci hanno allestito il concept più bizzarro che potessero inventare. Questo modo di creare è fasullo, virtuale. E conduce solo a ingolfare l’attenzione e il cuore di chi recensisce e di chi ama la musica.

E se la cosa non funziona, tanto poco è costata per metterla al mondo e tanto poco costa abortirla via. Sotto con un nuovo progetto, godiamo l’ebrezza di una sfida creativa che nasce, l’ottimismo che stavolta tutto funzionerà eccome, quando è solo il treno delle compulsioni che aggiunge un altro vagone.

Gli Hooded Menace hanno un potenziale incredibile. Davvero, ascoltando i loro dischi ci si emoziona e si dimentica che dietro non c’è praticamente nulla o quasi. I tipi che vanno in giro a fare i tour, sono le controfigure di chi effettivamente quei dischi li ha incisi. Se pensate che fino a poco tempo fa, il vocalist era il mastermind Lasse Pyykkö (di nuovo copiaincollato) e poi dal vivo cantava e teneva lo stage un altro tipo… ma che merda è?

I musicisti devono avere le palle di scommettere su UNA cosa, trovare le persone e infonderci carne e sangue. Altrimenti si finisce per deframmentare tutto e ridurre al lumicino l’accecante visione creativa del genio. Tadaaaaaaà: sigla!