DEATH TO ALL BUT METAL!

 

Nella coscienza di molti metallari c’è un trauma ancora non completamente rimosso. Si tratta del trauma della “Cacciata dal Paradiso”, quando le orde demoniache, guidate da Kurt Cobain e i Nirvana, interruppero con violenza il predominio metallico (legittimato da un’eccellenza musicale autocertificata e indiscutibile) per instaurare il regno della Musica Commerciale E Depressa imposta dalle Malwagie Multinazionali (MCEDIMM). 
Fateci caso, quando pronunciate “grunge”, “Cobain”, “Nirvana” di fronte a certi metallari più vicini ai quaranta che ai trenta li vedrete ricoprirsi di pustole paonazze e vomitare il pandoro del 1985. 
Poi, dopo essersi ricomposti, vi racconteranno della fine di Eldorado e di come un giorno i metalz riconquisteranno ciò che spetta loro di diritto o, in alternativa, di come sia tutta colpa del grunge. 
Si tratta, ovviamente, di cazzate. Ma la Chiesa di Metallology su queste cose ci vive, fanno parte della sua essenza stessa quindi tanto vale parlarne un po’  per fare chiarezza.
 
 
Nella seconda metà degli anni ’80 il metal stradominava il mercato discografico al punto che metà dei dischi venduti in America erano metal. Le correnti dominanti erano il thrash e tutto ciò che rientrava sotto la corrente “hair”, in futile contrapposizione. Del metal classico restavano solo grossissimi nomi in classifica (Iron Maiden e Judas Priest, entrambi in fase discendente dal punto di vista artistico. Ozzy e Dio un po’ sotto) mentre nomi come Armored Saint, Vicious Rumors e Metal Church, seppur ottimi, dovevano accontentarsi delle retrovie e i Queensryche ascendevano al vertice disco dopo disco. 
Andando al ’90-’91 non troviamo nessuna tendenza dominante precisa. Le vecchie band reggono ancora bene: l’eco di “Dr Feelgood” non si è ancora spenta, Meat Loaf si appresta a riconquistare il mondo con la seconda parte di “Bat Out Of Hell”, i Judas Priest tirano un inaspettato colpo di reni con “Painkiller”, gli Iron Maiden confermano la loro confusione con “No Prayer For The Dying” che comunque vende bene; i Van Halen vanno a gonfie vele con “F.U.C.K.”, Alice Cooper alla grande col pessimo “Hey Stoopid!” e Ozzy col massiccio “No More Tears”; i giovani Skid Row li seguono di gran carriera col bellissimo “Slave To The Grind”. Fra gli emersi con successo dagli ’80, i Metallica si apprestano a pubblicare il disco più venduto e Slayer e Megadeth sparano cartucce di grande impatto venditizio come “Seasons In The Abyss” e “Rust In Piece”.
In quel periodo, i Nirvana erano un gruppo noto nel giro dell’ alternative rock (quando ancora questo termine aveva lignaggio e nobiltà) come “band da tenere d’occhio” grazie ai positivi riscontri ottenuti da “Bleach” e poco altro, che, da Sub Pop, riuscì a fare il salto alla Geffen.
 
 
Sebbene i gruppi che erano rimasti indietro (per fama, ispirazione etc) iniziavano a vedere nubi all’orizzonte, le cose si misero assai peggio subito dopo che “Nevermind” fece il botto. A un anno dall’uscita, il singolo “Smells Like Teen Spirits”, potente, orecchiabile, crudo e genuino, ben lontano dal sound fin troppo lustrato e scolpito in galleria del vento di Winger, XYZ, Enuff’z’Nuff (esattamente come dalla fase terminale del thrash fatta di brani di nove minuti con diecimila riff e nessuna canzone di Dark Angel, Vio-Lence, Kreator), colpì nel cuore una generazione di teeneager appena affacciatasi sul mondo/mercato del rock. 
E una nuova generazione vuole musica che sia in sintonia con sé stessa, non ereditare gli scatoloni di roba vecchia dei fratelli maggiori. I Nirvana, bravi ma non eccezionali, con un sound che univa la ruvida grezzaggine di Black Flag e Melvins alle melodie di Pixies e Sonic Youth e un certo spleen figlio degli Husker Du, erano quello che ci voleva per sfondare le mura e dare l’assalto al castello: la stessa funzione svolta dai Quiet Riot quasi dieci anni prima. 
Il cambiamento fu epocale, per vari motivi: legittimò il pensionamento delle sonorità “classiche” del rock duro per come erano stato percepite fino all’altro ieri, traghettò nel mainstream tutte le forme “spurie” di rock che premevano ai margini (dai Primus ai RATM ai Red Hot Chili Peppers ai Biohazard a tutti i conterranei di Seattle) e, infine, aggiornò la percezione stessa di cosa si intende come “rock”. 
Dopo i Nirvana, se le tue influenze principali erano Toto e Van Halen, ti accontentavi della Merda Records e di vivacchiare (oggi i tempi sono ancora cambiati, ma chissene). Del resto, per un quindicenne medio del 1992, chi doveva suonare più trascinante e verace: “Smells Like…” o i dozzinali Slaughter?
 
Erano proprio dei bravi ragazzi
Il metal non si trovò a dover combattere solo contro l’ondata del nuovo rock, ma pure con la rivoluzione in corso del metal stesso: dal basso, i nuovi mostri del death e del grind facevano apparire spompati e vecchi il 99% dei gruppi thrash, e giustamente. 
Il thrash aveva peraltro, in cinque anni di presenza invasiva, spostato l’attenzione sulla strada e la realtà, avvicinandosi all’hardcore e allontanandosi da faraoni, diavoli e spade mulinanti: la sua forza d’urto venne usata come brodo di cottura per il movimento del crossover, che emerse del tutto nei primi anni ’90 rinnovando suono, forma ed estetica del metallo. 
Ecco la vera classe
Type O Negative, Prong, Neurosis, Tool, Rollins Band, i già citati RATM e Biohazard sono solo i primi che vengono in mente. 
E il metallo più duro e puro della decade venne incarnato dai Pantera, che operarono una lungimirante sintesi di tutto ciò che era stato metal e hard rock in una forma nuovissima e originale, tanto nel suono quanto nel look, che divennero tutt’uno. La loro importanza nel definire un suono e un’immagine sarà paragonabile a quanto fatto dai Judas Priest negli anni ’70. 
La discografia, infine, ci mise del suo. 
Negli anni ’90 iniziò il processo di fusione delle major, confluite una dopo l’altra in gruppi sempre più grandi e diversificati, di cui facevano parte pure le radio. 
La radio, per un gruppo musicale, è sempre stato il principale mezzo per farsi conoscere. Con la creazione di network radiofonici sempre più grossi di proprietà di agglomerati discografici sempre più grossi che facevano parte di portfolio di investimenti sempre più grossi… 
[Fategli riprendere fiato, dai! ndc]
…il cui unico scopo diventa quello di soddisfare azionisti, attorno ai non allineati alla moda del momento a cui viene fatta terra bruciata intorno. In pratica, da qul momento, riuscire ad avere promozione, se non avevi le conoscenze giuste, diventò praticamente impossibile.
 
I Pantera erano fichi quanto se non oltre i Motley Crue, o no?
A molti piace pensare che in America siano schiavi delle mode e in Europa no. Non è esattamente vero. E’ giusto: in America sono tendenzialmente più favorevoli al nuovo, al punto che ogni ondata che ha cambiato le carte in tavola, pure nel metal, è venuta da lì.
L’Europa, noiosa e conservatrice come sempre, sa solo stare a guardarsi l’ombelico e a piagnucolare sui tempi andati. 
Resta il fatto che il metallone, negli anni ’90, si trovò meglio in Europa che oltreoceano, perché anche se il metal mutante e il grunge vennero promossi capillarmente pure qui, la discografia non si trasformò, lasciandogli più gioco. Inoltre un bacino di conservazione eterna come la Germania permise, assieme al Giappone (paese di bocca buona per eccellenza), a molti gruppi tradizionali di tirare avanti – molti dei quali, onestamente, non se lo meritavano. 
Per il metal classico (facciamo tutto quello che aveva dominato gli anni ’80), in America, restavano un paio di scene molto attive ma locali come l’Illinois e Los Angeles : fare tour e promozione in un posto così grande era un’impresa al di fuori delle possibilità di troppi
senza un’etichetta adeguata: in realtà l’underground rock americano degli anni ’90, pur con pochi mezzi poteva contare su un vasto seguito e un network indipendente. 
Yeah! Ora sì che ci siamo
Stoner, l’ondata hardcore punk’n’roll sotterranea di Zeke, Electric Frankenstein, New Bomb Turks, Supersuckers, Nashville Pussy, i Neurosis e i loro figlioli, l’hardcore più corazzato, le magnifiche jam band tipo Gov’t Mule, Phish o Widespread Panic non andavano in prima pagina o in hit parade, ma andavano avanti per i cavoli loro, facendo spallucce all’indifferenza del pubblico generalista. 
Cosa possiamo dedurre? 
Che forse, negli anni ’80, il metal in America ebbe una tale sovraesposizione che ormai era diventato una rottura di coglioni immane, per lo meno nelle sue forme ottantesche ormai immobili, in paragone a quel che offriva il ricco panorama musicale degli anni ’90. 
 
Eppure anche loro hanno tutta la fica che vogliono.
Il metal ora è tornato in forze, ma ovviamente le cose sono cambiate. Prendersi una lunga pausa dai riflettori gli ha fatto solo bene. Naturalmente, tutte le immonde pagliacciate europee del power metal e gothic gay prog nemmeno le prendiamo in considerazione: la merda non merita una seconda chance. Anche se fra un po’ gliela ridaranno, perché purtroppo la morte ha perso.
(Zorba Il Greco)