BANG YOUR HAIR: TWISTED SISTER!

Io non so che devo fare con questi giovani folgorati dal glam metal. Mettono su un gruppetto e lo chiamano Midnight Sin, indossano calzoni a macchia di leopardo, scolano una bottiglia di J & B e piazzano un paio di cover degli Skid Row e dei Guns ‘n’ Roses, davanti a un diffidente pubblico di campagnoli riuniti a tributare lo gnocco d’oro o il fungo porcino. Chiedono alla gente se hanno mai sentito parlare dei Quiet Riot e attaccano con la cover degli Slade ma nemmeno sanno chi siano. Magari si credono intenditori, ma se gli metti sotto il naso i Twisted Sister non li conoscono nanche e una volta che glieli hai fatti sentire aggiungono pure che sì, va beh, però, ma no cazzo, questo non è mica Sleeeeeeazy e tanto meno glam!
“E allora che cos’è?”
“Metal!”
“Metal? E ti pare poco?”
Steel Panther – L’unica via possibile all’Hair Metal oggi.
Twisted Sister, una delle band più meritevoli e spesse dell’ondata glitterata che ha dominato gli anni ’80. Nemmeno allora erano tra i preferiti delle ragazzine. Dee Snider era l’idolo delle loro mamme, più che altro. Le giovinette amavano le facciotte dolci alla Bon Jovi, i fisici sinuosi alla Breat Michaels, mentre Dee o J.J. parevano degli Hulk in versione drag queen. Dee è un gigante, con le zeppe ai piedi e il vestiario saccheggiato nell’armadio di qualche vecchia puttana. E ha una gran voce, unica. E come lui, il resto della ciurma delle sorelle contorte, fatta di tizi grossi e puzzolenti, facce da ergastolani con i quali non vorresti fare la doccia, no way! Tutti ricoperti dello stesso porcame da battona di Soho.
Insieme a W.A.S.P., Malice e Lizzy Borden sono sempre stati definiti metal rispetto al resto delle hair band, ma non abbastanza rispetto alle band metal senza hair. L’inserimento nel carrozzone di bigiotteria e fard che invase MTV negli ’80, è poi solo frutto di un equivoco. Loro erano rock’n’roll allo stato puro e su questo non ci sono dubbi, tanto quanto i Motorhead. Non è un caso che sia stato proprio Fast Eddie Clarke a tenere a battesimo la band, suonando uno sciapo assolo nel loro primo disco “Under The Blade”, ma erano anche e soprattutto volevano essere, metal. Metal. METAL!
La faccenda del look li aiutò a farsi notare, certo, ma se avevano scelto di mascherarsi da femmine era per creare un contrasto un po’ scemo con l’aspetto e soprattutto esaltare la maschiona rocciosità del loro sound. A livello di contenuti, i Twisted Sister volevano shockare più che far ridere. Salivano sul palco con quelle uniformi improponibili solo per essere notati. Se qualcuno li avesse convinti che mascherandosi da salsiccioni la gente li avrebbe seguiti con maggiore interesse loro l’avrebbero fatto. Volevano scuotere il pubblico. Al tempo in cui si davano da fare per rimediare un contratto, in giro c’erano tante band hard rock e Heavy metal, nei locali poi era pieno di cover band che venivano trattate dal pubblico, a detta dello stesso Dee, come autentici juke-box. I Sister non intendevano essere così proni, volevano anzi guadagnarsi uno spazio a furia di mordere, sia con le loro idee che con i denti stessi se necessario. Fanculo il resto!
Per non svanire davanti a una platea indifferente che sbadiglia già dopo il tuo secondo pezzo era quindi necessario farli tutti a pezzi o non presentarsi per niente. Occorreva sconvolgere la gente, sia con gli amplificatori suonati al massimo del volume consentito che con le parole non meno roboanti, così da attaccare le palle e lo stomaco grazie alle vibrazioni dei Marshall e mandare in fusione il cervello con un’attitudine e un linguaggio abbastanza brutali e sconvolgenti per redimere un pubblico rockettaro ormai abituato a tutto e soprattutto alla svogliatezza scorata di chi si esibiva.
E per questo nessuno sarebbe mai stato più bravo di Dee Snider, quella specie di Bette Midler fusa a uno scaricatore di porto con il teletrasbordo de La Mosca.
La sua imponenza, il vocione e la faccia pittata come una zoccola guerriera. Dominava il palco, insultava, provocava gli spettatori, li tramortiva e non li mollava finché non sentiva di averli stravolti.
E la musica? Ricordo che prima di poterli sentire, negli anni in cui non era ancora possibile andare su e-mule e tirar giù con un click l’intera discografia di chiunque, trascorsi due o tre anni a cercare di decidere se comprare o meno un loro album. Ogni volta che chiedevo a chi li conosceva già di descrivermi il genere, lo stile, qualsiasi cosa mi aiutasse a farmene un’idea, ecco che tutti finivano per non dirmi praticamente niente. “Sono dei pazzi, fuori di cervello”
“Ok e poi?”
“Sono divertenti”
“Sì, ma come suonano?”
“Una roba tipo AC/DC”
“Ah, grazie tante”
Alla fine, un amico di un mio amico mi copiò su una cassetta da 90, gli album “Stay Hungry e “Come Out And Play”. Sapevo che i primi due lavori erano i migliori, ma avevo un dogma nel cervello maturato non so come in quel periodo ormonalmente difficile della mia vita e non chiedetemi il perché: non avrei mai dovuto sentire dei dischi metal incisi prima del 1984.
E così ruppi il ghiaccio con quella cassetta. Allora, come erano, in effetti?
Uhm, sapevano di AC/DC certo, ma quanto tutti gli altri gruppi hard formatisi successivamente a Back In Black.
Capii comunque perché mai nessuno era riuscito a prepararmi al suono, alle canzoni di Dee Snider e le sue sorelle sceme. Era come per i W.A.S.P., non puoi descriverli. Sono loro, punto. Riconoscibili tra mille e nulla come loro prima di loro, ma se non li hai sentiti io non te li posso descrivere a parole. Stessa cosa per i TS. Riff pesanti ma non sabbathiani. Ritmiche stoppate ma non proprio alla Malcolm Young, voce bleusy e graffiante, ma non Coverdale o Bon Scott. Erano loro e per capire cosa fossero bisognava passarci. Sì, avevano delle influenze e provenivano da qualcosa, ma quell’afflusso variegato di generi e nomi, una volta passato dalle mani di Dee Snider e J.J. French diventava qualcosa di mai sentito prima. Il rock ‘n’ roll non era più esattamente qualcosa che era già stato. Probabile che se avessi conosciuto Slade, Sweet, New York Dolls, The Stooges e MC5, avrei avuto le idee un po’ più chiare e precise sulle origini di quel suono e di quell’attitudine, ma in fondo non avrebbe tolto nulla al senso di diversità che mi trasmetteva la band.
E non suonavano così perché erano cresciuti con i dischi dei primi Kiss o di Johnny Thunder, loro venivano da quel periodo. Erano in giro a far la gavetta insieme a Gene Simmons ed è risaputo che per poco J.J. French non diventò il chitarrista dei Kiss se a quelle audizioni non si fosse presentato un matto scoglionato detto Spaceman.
Insomma, questi erano coetanei di gente come Montrose o primi Aerosmith. Ci misero solo molto di più a sfondare i portoni del tempio del Rock, trovandovi dentro un branco di femminucce lacrimose e allupate che smielavano ballatesche dichiarazioni d’amore eterno e nel mentre collezionavano cassoni di mutandine zuppe di commozione femminile.
“Che cazzo è successo, J.J.? Dove sono finiti tutti quanti?” sembrava urlare Dee Snider.
“Dove sono finiti i Kiss, Alice Cooper, Steven Tyler?”
Eccoli laggiù, immersi fino al collo nella stessa melensa orgia effeminata patrocinata da Beau Hill. Da non credere, ma ormai c’erano dentro anche loro e avrebbero fatto un casino. Quello che ci voleva, cazzo.
E così scesero nella mischia, brutti, sporchi, incazzati neri e fuxia e dichiararono al mondo tutta la loro fame cavernicola. “Stay Hungry” è intriso di violenza metropolitana, horror malato, inni al rock selvatico e odio per le istituzioni repressive. Inutile dire che il disco diventò un mega successo e li precipitò nel calderone del fenomeno hair metal, ma non fu assorbito nella grande matassa cotonata. Esattamente come Under The Blide e You Don’t Stop Rock’n’Roll, c’era una cosa che distingueva la musica dei Twisted Sister dalla miriade di schifezze che ogni giorno le major lanciavano sul pubblico come carne cruda in una fossa di zombi: le canzoni. Era il ruggito del vero Rock che non voleva lasciarsi avvolgere nella patina da classifica e nella superficialità edonistica del divertimento a tutti i costi. C’era il punk e il glamour violento degli anni settanta, lo stesso che avevano proposto i Motley Crue, solo che al contrario di Nikki Sixx e Vince Neil, non si trattava di ragazzini che volevano emulare il gergo dei loro miti; Dee sapeva di cosa scriveva e gli altri, French, Ojeda, Mendoza e Pero, si vestivano di quei riff da così tanto tempo che per loro era come un linguaggio familiare che li aveva portati sani e salvi fuori dalle risse o fuori da letti altrettanto scatenati e pericolosi.
Avevano i muscoli, la stazza giusta del metal e forse anche più dei pallonari Manowar. I Crue forse vantavano la stessa “wilderness”, quell’abrasività mescolata in modo disgustoso al pop dei Queen e dei Beatles, ma lungo la strada degli eccessi erano diventati una boy band per ragazzine. Snider e le sue sorelle non persero mai la crudeltà, la ruvidezza di chi suona per sopravvivere, senza tanti complimenti. Credetemi se vi dico che fare un giro con questa band non è proprio una cosa da nostalgici, perché questo gruppo ha sempre parlato per se stesso e fatto quel che cazzo gli pareva.
Il loro insegnamento non è stato recepito, ma meno male. Le imitazioni spesso finiscono per svilire l’originale. Anche oggi, mentre band come gli Hardcore Superstar mettono da parte il punk e il goth e saccheggiano senza farsi problemi dal repertorio di L.A. Guns e dagli Slaughter, lo stile dei Twisted rimane al suo posto, coperto di polvere e dimenticato, ma non importa, mi viene di dire, visto che questa mania irrefrenabile per il metal commerciale degli anni ’80, ha sempre più le sembianze di un patetico gioco senza idee, dominato da un puro spirito carnevalesco del travestimento. Non era musica per ragazzine, quella di Dee, anche se l’ultimo disco prima dello scioglimento, avvenuto qualche anno in anticipo rispetto al repulisti che le major fecero per i capelloni con i lustrini e il mascara, fu un tentativo di ammorbidire il suono e guadagnare un fracco di soldi. Love Is For Sucker resta a oggi l’episodio minore nella loro prima decade discografica. Rispetto a tanta mondezza degli stessi anni si difende ancora abbastanza bene, tranne un paio di episodi insalvabili. Di sicuro ci sono tre grandissime canzoni. La uno la due e la tré.
Quel disco andò taaaaanto male. Fu visto come un tradimento o forse era solo l’inizio della fine per l’hair metal, collassato del tutto appena tre anni più tardi? Boh!
Sta di fatto che poco dopo l’uscita di Suckers, Dee Snider mollò la band e J.J., fu costretto a scioglierla.
Il ritorno di questi ultimi anni è stato all’insegna della celebrazione. I TS hanno fatto dei bei concerti in cui riproponevano i cavalli di battaglia e hanno persino reinciso di sana pianta l’album più glorioso, Stay Hungry, intitolandolo Still Hungry, con in più una coda di sette pezzi inediti recuperati dal famigerato cassetto dei sogni infranti e rimpianti vari. C’è stato anche un disconatalizio di grande successo in U.S.A., ma preferisco sorvolare.
Sempre stupendo, Dee…
E ora? Nonostante le dichiarazioni di Snider che, dopo la parentesi artistica a Broadway, promette di scrivere nuove canzoni per la sua band più famosa, J.J. French insiste a giurare che è proprio fuori discussione un nuovo album, visto che non li compra più nessuno. Non i loro, in generale. Che poi fino a qualche anno fa, avrei biasimato, da fan, la stitichezza commemorativa della reunion dei Twisted Sister, ma oggi, constatando la massa di dischi spenti, insipidi, fatti di inediti in teoria, ma a ben sentire ancora più commemorativi delle raccolte, insomma, penso che bisognerebbe solo elogiare chi non ha cercato di romperci i coglioni con un nuovo inutile e spesso penoso album post reunion, no?
J.J. French ha detto che non solo fare dischi non ha senso visto che tanto non li compra nessuno e ai concerti la gente vuole sempre che gli suoni quelle stesse quindici sedici canzoni di una vita, ma ha aggiunto che date le spese irrecuperabili, il gruppo non si imbarcherà in tour assurdi in giro per il mondo, solo apparizioni mirate ai festival, luoghi ideali per conquistare nuovi fans. Il pragmatismo di questi vecchi marpioni è ammirevole e la loro schiettezza pure. Se le altre centinaia di residuati bellici degli anni ’70 e ’80 ragionassero allo stesso modo, magari ci sarebbe più spazio e tempo per le novità e meno carcasse fatiscenti e olezzanti in circolazione.
Giusto?