Storia di O., ovvero: non si è mai così liberi come da schiavi.
A tal proposito, Jean Paulhan, critico e intellettuale francese, cita la famigerata rivolta delle Barbados, nel 1838. Duecento negri, ex-schiavi liberati da un’ordinanza, tornarono a implorare il loro padrone, il signor Glenelg, di rimettergli le catene. Il signorotto non accettò certo di esaudire l’insolita richiesta, tanto più che la legge ormai glielo proibiva. Per un po’, i duecento schiavi liberati continuarono a sollecitarlo in modo garbato, ma visto che non riuscivano a smuoverlo dalla sua decisione di non tornare indietro, massacrano lui e la sua famiglia. Quando le autorità raggiunsero il luogo del fattaccio, trovarono i Glenelg trucidati e gli ex-schiavi buoni e paciosi che svolgevano le loro solite mansioni da schiavi, con le catene ai piedi e tutto il resto.
![]() |
Divina… |
Aneddoto piuttosto bizzarro, ma necessario a dimostrare quanto sia ingarbugliata la questione del servo e del padrone, del dominante e del dominato e su chi sia effettivamente schiavo dell’altro. Il romanzo Histoire d’O lo analizza nella situazione più emblematica di dominati e dominatori: quella del rapporto amoroso e sessuale.
Trama: O. è una donna indipendente, fa la fotografa di moda, è disinibita, lesbicotta, anche se si innamora quasi sempre di uomini. René è il fichissimo che le ha fatto perdere la testa, ma a tal punto da costringerla ad andare con lui in un castello dove uomini e donne le impartiscono una serie di lezioni ‘medievali’ sulle sfaccettature del piacere nell’ubbidienza. La frustano, la violentano piazzandole falli in ogni orifizio, la legano a una catena e le impongono di sottostare a regole disumanizzanti come tener sempre bassa la testa e ubbidire a qualsiasi richiesta bizzarra e degradante. Pena? Cinghiate fino a svenire tutte le sere prima di andare a letto. Premio? Cinghiate fino a svenire tutte le mattine prima della colazione.
René è in un angolo che se la gode, non si offende se lei mentre viene toccata da altri uomini si lascia scappare urla orgasmiche molto più intense che quando è lui stesso a farla venire. Non è certo l’orgoglio del gallo a spingere un uomo a sottomettere la propria amante a un simile inferno e non chiede a O di essere il più grande amante che lei abbia mai avuto. Lei lo prende nel culo da sconosciuti che la sodomizzano senza il minimo riguardo, le sputano addosso, la picchiano davanti agli occhi del suo uomo. Lui si gode lo spettacolo e ogni tanto si unisce agli altri. Quando le si avvicina, nudo e pronto a stuprarla le ripete che l’ama tantissimo e a lei tanto basta per continuare a sopportare umiliazioni e sofferenze tremende.
Dopo la vacanza nel castello la povera O. si lascia coinvolgere in una serie di altre situazioni ancora più estreme, fino a farsi marchiare a fuoco sulle chiappe del culo (o le terga, come le chiama in continuazione l’autrice Pauline Réage) le iniziali del suo padrone e infine a lasciarsi condurre, nuda e con delle catene piantate dentro la carne viva, a un ricevimento mondano della bella società, dove verrà esibita come un meraviglioso e temibile animale esotico. Tutto questo senza che mai si ribelli, mai che pensi di scappare o che implori aiuto a uno sconosciuto. O. è sempre più felice di ridursi a fare da oggetto.
Becero maschilismo da quattro denari? Non proprio.
Storia di O. è scritto da una donna e concepito da una donna. Non così erotico ed eccitante nelle situazioni descritte quanto nell’idea in se stessa di una femmina che si lascia usare non come una volgare prostituta, ma come la più devota, vinta e forse per questo più nobile delle amanti.
Vi piacerebbe essere incatenati e imprigionati, frustati e sodomizzati? Lo fareste per amore della vostra donna? Ma scusate, perché dite no? Allora, quindi non morireste per lei?
Ma come cosa centra?
Alla fine del romanzo in questione non tutti ma alcuni di voi non sapranno più cosa rispondere, credetemi e questo basta a Pauline Réage per guadagnarsi la sua fetta di immortalità.
Che poi questo è un libro nato per dispetto. Il compagno dell’autrice, che poi è il critico citato a inizio articolo, sosteneva che le donne non potessero scrivere romanzi erotici. Ecco quindi la risposta della Réage e non stupisce che il discorso sia così estremo. Le donne lo sono sempre quando ci si mettono e nello specifico l’immolazione totale all’amore è una cosa da gentil sesso. Lo dico sapendo bene di arrischiarmi in una inutile generalizzazione, ma tant’è. L’amore spiega tutto, l’amore ci salverà comunque dall’Inferno. Biagio Antonacci dice che dove c’è l’amore c’è Dio, sapete? Io questo non lo so, ma se sarà l’Inferno per colpa dell’amore, allora vorrà dire che l’inferno non è altro che Paradiso.
Ma Storia di O. non è una storia d’amore, badate bene, né di Paradiso e tanto meno d’Inferno. Di Purgatorio se mai, con questo cammino tortuoso e faticosissimo verso la libertà da tutte libertà, ottenuta solo nel cuore della bestiale ubbidienza degli schiavi irranciditi da secoli di catene. Sono loro ad aver scoperto che la forma più oscena di libertà è stare incatenati e sopratutto che il vero dominio è quello del dominato sul dominante. Non siete convinti? Nemmeno io, ma questo dice il romanzo della Réage, più o meno.
Storia di O. in fondo è solo la storia di una donna che accetta di essere ciò che un uomo vorrebbe che sia e in ciò, inaspettatamente, trova la felicità e la serenità che ha sempre sognato di ottenere resistendo alle imposizioni maschiliste e degradanti della società degli uomini.
A mandare in bestia le femministe è soprattutto il fatto che sia stata una lei a scriverlo e non lui. In fondo “Woman Be My Slave” dei Manowar dice più o meno la stessa cosa e io ho sempre sospettato che De Maio sia un uomo dalla spiccata sensibilità femminile.