NECROPOLIS – I VERSI SEPOLTI

Avrete sentito nominare Dante Gabriel Rossetti, il pittore pre-raffaellita…? No?
Bene, non ha molta importanza, la vostra ignoranza non vi impedirà di apprezzare una delle storie necrofile più intriganti che siano mai capitate. 
Al contrario delle apparenze anagrafiche, Dante non era italiano, ma inglese. Un bel tipo, un figone d’artista, proprio come andavano di moda nell’Ottocento: capelli lunghi, viso pallido ed espressione onanistico-depressiva. Prigioniero della passione e schiavo della sensualità, costui trovò il fulcro di tutti i suoi desideri inappagati nella bellissima Elizabeth Siddal. 
Elizabeth, proprio lei.
In quel giro di artisti, Elizabeth era considerata una specie di dea in terra, un pezzo di sniacchera così incredibile che gli artisti facevano tutti a pugni per infilarla nelle loro tele, nei loro versi, per imprigionarla sotto i loro lombi. Tra i pochi che vi riuscirono, solo il caro Gabriel se la sposò, consacrando non solo la sua arte, ma anche la sua vita sentimentale a lei. 
Era così bella. Per farvi un’idea potete rimirare quella carneade di piacere nel quadro di John Everett Millais che ho posto proprio qui sopra.
Il quadro si intitola l’Ofelia.

Esatto, proprio quello che avrete visto tante di quelle volte nei libri di scuola. Ebbene, era lei, Elizabeth, che a furia di denudarsi e posare si ammalò di tisi e morì giovanissima. Rossetti ne fu distrutto e quando la seppellirono, al cimitero di Hihgate, lui decise di chiudere nella bara con lei un malloppo tanto così di versi ispirati alla sua figura. Che romantico, taaaanto ottocentesco, vi pare? Senonché, il nostro pittore, dopo un po’ di tempo, guarì dal dolore per la scomparsa dell’amata. Il ricordo di Liz, nella sua memoria appassì e con esso l’amore, di contro crebbe in lui la convinzione di essere tutto sommato un pittore mediocre e di aver sbagliato nella vita, in quanto la sua vera vocazione erano i versi, la poesia, che cribbio. 
Pensò bene di pubblicare i suoi scritti più ispirati, ma quando iniziò a cercare nelle pile di manoscritti che aveva in casa, non trovò nulla che fosse all’altezza del suo grande talento. Poi ricordò con una disperazione soffocante di aver chiuso in una bara con una morta, quelli che nella memoria gli apparvero come i componimenti più ispirati e convincenti che avesse mai creato. La sua via per la gloria e per l’immortalità era, destino gaglioffo, rinchiusa sotto terra, sepolta con i vermi e con le ossa di quella sciocchina che aveva sposato in preda a chissà quale miraggio preraffaelloso. Insomma, bisognava fare qualcosa, ma il pensiero gli faceva venire le vertigini inguinale, sudare le mani, battere forte il cuore e mancare l’aria.
Ma era una cosa da fare, punto e basta. 
Così, una notte, avvenne la riesumazione. Il malloppo di versi era sempre lì e anche Elizabeth c’era ancora, tutta integra, a quanto disse chi la vide. Tale e quale a come l’avevano messa giù il giorno del funerale. Poco importava a Gabriel però, lui ebbe a mala pena la grazia di salutarla un secondo prima di avventarsi sul pacco di fogli, soffiarci via gli scarafaggi e tornarsene tutto allegro a casetta sua.
Ovvio, la notizia fece il giro del paese e anche oltre. Immaginate: dei versi lasciati a decantare in compagnia del cadavere della donna che li aveva ispirati. Straordinario. Bisognava acquistare il libro, leggerli, divorarli. 
La raccolta di poesie infatti andò alla grande, ma scandalizzò l’opinione pubblica e fu stroncata da tutti i critici del Regno Unito. Insomma andò così di schifo che Rossetti si pentì di aver riportato alla luce quel pasticcio sconcio di sensualità greve e sentimentalismo soporifero, un groviglio necrofilo che finì per disgustare chiunque e lui per primo. 
Il poeta ex-pittore capì che forse la sua vocazione non era nemmeno la poesia e finì i suoi giorni a drogarsi e a disprezzarsi per aver compiuto un gesto tanto scellerato. Chiese ai famigliari di essere sepolto lontano da Highgate, dove sentiva che la punizione eterna aspettava solo di poter mettere le grinfie mefitiche sui suoi disprezzabili resti.



Francesco Ceccamea