Picchioni Ernesto, noto tra la gente di Nerola come “Bruttafaccia” e “Sparafacile”. Il primo Mostro del dopoguerra. Un tenebroso “ladro di biciclette”, ma molto peggio di quelli di cui parlava De Sica nel famoso film neorealista. Era un contadino, scarpe grosse e cervello fino, sì, ma neanche tanto. Era un brutale predone, assassino per pochi spicci, mosso dal bisogno, che tutti abbiamo anche oggi, di trovare un sistema per arrotondare, giungere sani e stremati ma salvi, alla fine del mese. Dopo la guerra c’era la fame, ce ne parlavano tanto i nostri poveri nonni, ricordate? Che cosa inventò quindi il Picchioni per risolvere il problema della fame? Una cosa semplice semplice. Nei paraggi del casale dove viveva con la sua famiglia, spargeva in terra dei chiodi. I viandanti in bici (allora ce ne erano davvero tanti, l’automobile era ancora un lusso che non poteva permettersi quasi nessuno) bucavano una ruota e chiedevano aiuto a lui, unico residente nell’arco di chilometri. Una volta entrati in casa, i malcapitati si beccavano una botta in testa e poi un’altra e un’altra ancora fino a quando non crepavano. Dopodiché, Picchioni prendeva tutto quanto: vestiti, portafogli, mezzo di locomozione. Soprattutto quello. La bicicletta per l’assassino era quasi un’ossessione mentre il resto, cioè il corpo, lo nascondeva senza neanche tanto scervellarsi nell’orto dietro casa, sotto terra. Avanti il prossimo. Tutto questo davanti agli occhi della sua famiglia: i figli e la moglie erano testimoni di quelle atrocità ma non erano un problema perché se ne avessero parlato in giro, li avrebbe uccisi e c’era da credergli.
Picchioni andò avanti per anni, indisturbato fin quando i parenti, approfittando di un raro viaggio in un paese vicino, stanchi di vivere sotto il gioco violento di quell’essere spietato e sanguinario, si precipitarono dai carabinieri, chiedendo asilo. La moglie di Picchioni raccontò tutto quanto ma non fu facile crederle subito. Era troppo inverosimile: un massacratore di viandanti in quel posto così tranquillo e noioso? Come è possibile? Il maresciallo decise comunque di andare ad aspettarlo a casa, tanto per vederlo in faccia, questo ‘mattatore’, poi decidere cosa fare.
Picchioni tornò alla guida di una specie di bicicletta motorizzata altresì nota come “Cucciolo”, ultimo ridicolo bottino derivato dall’omicidio di un commerciante, tale Alessandro Daddi.
Il mostro capì subito, appena vide il maresciallo e i suoi uomini davanti alla porta di casa. Non fu facile catturarlo: anche se era piccolo Picchioni era tozzo e si dimenava moltissimo. Alla fine riuscirono comunque a portarlo in questura. Il mattino dopo, tutti i giornali raccontarono una storia che sconvolse l’Italia come non capitava dai tempi di Girolimoni.
Le forze dell’ordine iniziarono a scavare nell’orto, davanti a tutti – l’intero paese era accorso a vedere lo spettacolo atroce e con esso c’erano giornalisti da ogni dove.
Tirarono fuori i resti di otto persone, anche se qualcuno pensa che ce ne fossero almeno il doppio e che probabilmente diverse altre vittime erano sparse per la campagna, in cimiteri improvvisati dal Picchioni stesso. Quando lo condannarono ufficialmente, l’intero paese assaltò la sua casa, distruggendola. E si dice anche che negli anni successivi, i ruderi dell’abitazione furono (e forse lo sono ancora) lo scenario di riti satanici e altre oscenità irriferibili. Il mostro di Nerola non fu ucciso sulla sedia elettrica o impiccato; siamo in Italia, mica in Texas. Passò il resto dei suoi anni a fare le ragnatele in una cella sorvegliatissima, a spese dello stato. Per molto si lavorò a un tentativo di riconciliazione tra lui e i suoi famigliari: dopotutto era un papà e un marito, il sangue è sempre sangue e qualche prete pensò bene che uno come lui fosse comunque una creatura di Dio e che quindi dovesse avere dei sentimenti da far germogliare. Di certo i figli lo amavano e la moglie desiderava stargli vicino. Tante speranze però bruciarono quando Picchioni tentò di far fuori tutta la famiglia insieme, a mani nude, durante una delle numerose riunioni “riappacificanti”.
Non solo i famigliari. “Sparafacile” se la prese persino con il papa Pio XII. In visita a Regina Coeli, sua santità subì un’aggressione dal mostro di Nerola, evidentemente in vena di anticlericalismo. Per questo Picchioni venne spedito nella prigione di Porto Azzurro sull’Isola D’Elba, dove morì d’infarto poco tempo dopo. Le cronache di quegli anni lo definirono Mostro. Il primo di tanti assassini battezzati così dalla Stampa italiana allo scopo di trasformare dei volgarissimi criminali quasi in eroi negativi, esaltando i loro omicidi fino a trasformarli in autentici spauracchi per le notti insonni dei fidi contribuenti statali. Rispetto ai Serial Killer anglosassoni o russi o anche italiani che seguirono, Picchioni non aveva certo l’aspetto e lo spessore di un vero ‘villain’ da grande schermo. Non era un Salvatore Giuliano, per intenderci. Era troppo brutto e piccolo. Era anche ignorante e grezzo, per quanto poi si fosse dichiarato a più riprese comunista, causando non so quanti problemi alla sinistra in quegli anni di inizio Repubblica. Spaccava crani con la facilità con cui avrebbe tirato il collo ai polli e i pochi spicci che scuciva ai cadaveri, li investiva giusto in qualche bevuta nociva all’osteria di Nerola. Oppure ci ricomprava i copertoni delle biciclette su cui gli sfortunati viandanti stavano andando chissà dove, prima di cadere nelle sue grinfie. Tra le vittime accertate, ritrovarono anche un ragazzino.
Insomma, feroce, spietato, ma abbastanza modesto nelle pretese e del tutto privo di una qualche morale. L’Italia massmediologica partorì ben altro, uno spettacolo catodico di “bestie umane” assai più affascinanti e coinvolgenti. La vicenda di Picchioni è solo il rozzo inizio di un nuovo genere di intrattenimento. ( Francesco Ceccamea)