Pensare che ci sia in giro gente convinta che …And Justice For All sia un capolavoro del metal è piuttosto deprimente. Certo, è uno dei momenti salienti della storia del thrash, ma in senso negativo.
I Metallica non hanno inventato questo genere. Meglio di tanti sono riusciti a svilupparlo, farlo maturare, esplorarne tutte le potenzialità e infine sì, ucciderlo. Che poi è normale, Mairaluce. Tutti i generi nascono e muoiono. In un ipotetico cimitero del rock, sulla lapide del progressive ci sono le date 1968-75. Su quella del punk c’è scritto 1977-81, su quella del thrash metal 1981-88. Poi ci sono le rivisitazioni, i tentativi di rianimazione, la pura necrofilia, ma è tutto inutile, a meno che non vogliamo pigliarci per il culo.
…And Justice For All è uno degli album più significativi dell’intera storia dei Metallica? Ouyes, il primo dopo la scomparsa di Cliff Burton, se escludiamo l’ep di cover, “The $5,98 E.P.”. E’ anche il disco più complicato tecnicamente, quello in cui il duo Hetfield/Ulrich porta al limite estremo le proprie capacità compositive.
Una cosa che mi è sempre piaciuta di questi due ragazzi è che non avevano assolutamente talento per la musica, ma con grande dedizione e cocciutaggine sono riusciti a raggiungere livelli di abilità esecutiva e complessità strutturali nella scrittura dei pezzi, incredibili, date le premesse, ovvero il tempo in cui erano così incapaci e sfigati da passare i pomeriggi a suonare nella camera di Lars, una cover dei Budgie che non gli veniva neanche a zampate nel culo. Questa complessità nelle canzoni alla fine ha portato una cosa sola, però: la noia.
In quegli anni, se i Metallica avessero riempito di scorregge prprprprprprprgium gium gium “…And Justice For All”, di sicuro avremmo trovato rutti, flatulenze riverberate e conati di vomito sui dischi dei Dark Angel, Overkill, Testament ed Exodus. Erano tutti lì, in attesa di copiare la prossima mossa dei friscos, a parte gli Slayer ovviamente.
Quindi, dopo il 1988, ecco che tutte le thrash metal bands iniziarono a diluire fino a 9 o 12 minuti brani che avrebbero potuto esprimersi in non più di 3 o 4. Fu un disastro generale.
Per non parlare dei suoni. Dopo “…And Justice For All” il basso sparì dalla maggior parte delle produzioni thrash di fine anno ’80. Peccato che i quattro caballeros non tolsero quello strumento dal loro disco per motivi artistici. È storia conosciuta: chi decideva tutto nei Metallica erano Lars e James, al tempo alcolizzati e fuori di cervello. Assunsero quel bravo ragazzo di Jason Newsted e, dopo averlo umiliato e seviziato ogni giorno per tutto il primo anno di militanza nella band, decisero di eliminarlo dal missaggio finale dell’album. Fu Lars il colpevole, ma solo perché James espresse in modo così impastato la sua opinione che nessuno capì mai se fosse favorevole o meno. Del resto era Lars quello che dopo il primo mese di permanenza del piccolo Jason aveva chiesto agli altri di mandarlo via perché si era reso conto che, al di là delle sue indubbie doti esecutive, gli stava proprio sulle palle. Un album senza basso è la dimostrazione che i due capi dei Metallica non c’erano con la zucca, ma riuscirono lo stesso a non rovinare “One”, motivo unico per cui siamo ancora qui a parlare di loro con un certo rispetto.
Quella canzone è “il capolavoro”, il resto del disco è una catasta di riff e melodie diluite fino alla nausea. Se vogliamo essere generosi possiamo salvare l’intro di “Blackned” e qualcuno, ne sono sicuro, salverebbe anche il resto del brano ma secondo me è una caotica accozzaglia di idee che non esplode mai, nata male e strutturata peggio. Il suono poi, è secco quanto una scorreggia di Tutankhamon e non aiuta, anzi credo sia uno dei motivi determinanti della piattezza generale di questo disco: non c’è spessore, nessuna sfaccettatura. La titletrec, che si ispira a un mediocre thriller giudiziario con Al Pacino che Hetfield e Ulrich si misero a vedere con carta e penna prima di scrivere quella roba che, a parole, voleva parlare male del sistema giudiziario americano, per pontificare e smerdare il proprio paese, ma che in realtà è uno sfogo baresco dopo aver visto un film dossier da pomeriggio 5 che parlava in modo pessimistico di giudici e avvocaticchi. Quanto alla musica si comincia con un arpeggio d’atmosfera che vorrebbe essere neoclassico ma non lo è perché non puoi scrivere qualcosa di simile alla musica classica se non la conosci e i Metallica ne sapevano davvero poco di Bach e Vivaldi perché era Cliff il vero esperto in materia, quindi questa cacatina di arpeggio è solo la parodia di una lingua di cui si conoscono i suoni ma non le parole. Il resto della canzone è un continuo stoppato pieno di stacchi, finezze e sfinitezze varie che ha fatto la parodia di quanto i Metallica erano riusciti a creare nei momenti più sperimentali e spessi dei due imprescindibili dischi precedenti. E’ difficile poi non pensare che a suonare quasi tutto il disco siano in due. Kirk Hammett (Mister ‘sì’ come lo chiamava Mustaine) è quello che fa i soli, ma il resto sono dodicimila chitarre sovrapposte e tutte suonate da Hetfield che ci canta sopra con i soliti gorgeggi a metà tra un bevitore tirolese e un italo-americano che intona qualche oscuro canto del suo paese natio, mentre Ulrich picchia duro i tamburelli alla cazzo di cane.
Non si capisce il discorso sulla potenza proverbiale dei Metallica. Bisognerebbe parlare di due gruppi, uno che registra ed uno che si esibisce, visto che sul disco suonano in due e tre quarti, come un side project black metal, mentre dal vivo sono in quattro.
Proseguiamo con la scaletta fino a quella che è la svolta che ha salvato il culo a Hetfield e co. Dopo giri e controgiri estenuanti, alla ricerca di un momento di musica vera tipo ecce “One”, quando non sapevano più dove sbattere la testa eccoti la sculata: “Harvester Of Sorrow”. È lì la via di fuga, tutto quello che poi faranno sul Black album. Un bel riffone sviluppato su una struttura sostanzialmente pop-rock. Il duo Hetfield/Ulrich capì che era la sola via per continuare a vivere, anzi a sopravvivere. Perché di solito nell’arte la prosperità commerciale coincide con l’immiserimento artistico inteso nel senso più alto, mi spiego? Quindi, nel momento in cui facevano un sacco di soldi, artisticamente si trattava di tirare avanti. Abbandonarono così tutte le velleità progressive e ipertecniche, i rimandi alla musica classica, le strutture articolate fatte di stacchi e accelerazioni, roba per cui non si erano mai sentiti all’altezza, se non grazie a Burton che gli diceva come e perché, iniziarono un nuovo corso verso la musica pop. La cosa peggiore di …And Justice… poi è lo strumentale che è anche il tentativo degli ex compagni di omaggiare Cliff. “To Live Is To Die” è il momento più caotico, noioso e meno ispirato di tutto l’album, con un montaggio delle varie parti, arpeggi malinconici e riff banalottoli, seguendo un criterio quasi da schizzati a spruzzo. Erano ubriachi persi, in quel periodo e tutta quella montagna di riff e melodie senza vita sono il frutto di menti compromesse da birra e superalcolici ma è anche vero che l’ultimo disco, “Death Magnetic”, l’hanno creato in condizioni di assoluta lucidità facendo peggio che da sbronzissimi.
Cliff morì, i due Metallica provarono a continuare sulla strada che aveva insegnato loro l’amico ma ottennero risultati penosi, così invertirono la rotta fino a trasformarsi in quella paccottiglia di country, southern rock, pop e psichedelia sentita nei due “Load”. Quanto godo a vederli oggi, mentre cercano di tirarsi fuori dalla merda in cui si sono cacciati 16 anni fa, provando a riprendere il vecchio discorso. Il punto di riferimento da cui sono ripartiti per “Death Magnetic” è proprio “…And Justice For All” e non me ne stupisco perché è l’unico disco metal che sentono di aver fatto da soli. Tutti a chiedersi perché, se dovevano ripetersi, non si sono ispirati ai tre dischi precedenti. Perchè? Non certo “Master Of Puppets”, testamento del grande Burton, o “Kill ‘Em All”, disco concepito da sette/otto persone, Mustaine incluso. Quello che viene fuori dall’ascolto dell’ultimo “Death Magnetic” è una band che non sa scrivere musica o che non si ricorda più come farlo nella più generosa delle ipotesi. Come possono scrivere metal se, come ammise Ulrich nel 1997, non l’avevano mai suonato in vita loro? Siamo tutti d’accordo nel dire che il Black Album è il più grande disco di hard rock dopo “Back In Black”, vero? Ecco cosa sapevano fare quei due, Lars e James, del roccioso, potente, raffinatissimo hard rock scorreggione. Lars disse che i Metallica non avevano mai suonato thrash metal, che il metal era morto, e che i metallari erano dei patetici ubriaconi. Era puro trolling to infinity ma quanto mi ferì. Io amavo la sua musica, amavo i Metallica. Con Napster il mondo si accorse della loro arroganza, ma noi del medol lo sapevamo già da prima.
Quando uscirono “Load” e “Re-Load”… che dischi, ragazzi. Qualcuno se li ricorda? Nessuno avrebbe avuto da ridire del cambio di rotta, sia chiaro una volta per tutte, se prima dell’uscita del disco non avessero riempito le riviste con proclami di quanto sarebbero stati potenti e aggressivi i nuovi album. “Load” potente e aggressivo? Certo. C’erano gli indizi che in realtà le cose non stessero così, ma li potemmo rilevare con il senno di poi, non mentre ci bevevamo le prime dichiarazioni sul successore del Black Album. Se ci avessero detto guardate come siamo vestiti, vedete le nostre nuove pettinature? Bene, faremo un tipo di musica che si intona con il nostro look, esattamente come abbiamo sempre fatto, ma dovevano vendere e fanculo la schiettezza verso i fans, rivendicata in mille proclami neanche fossero stati i Manouor. Ah, se ripenso alla sofferenza che mi causarono i quasi ottanta minuti di ascolto di Load, chi me li renderà mai indietro? Brani come “Bleeding Me” e “The Cure” sono dolore e morte al cervello. Per non parlare di “Re-Load”, cazzo! “The Memory Remains”, “Carpe Diem Baby”. Insostenibili! INSOSTENIBILI! Li ho riascoltati a distanza di quattordici anni dall’uscita, pochi mesi fa. Ne è passato di tempo, mi sono detto, sono cresciuto e magari, dopo questa stagionatura, capirò ciò che i Metallica fecero di bello e di buono in un periodo in cui il pubblico non era pronto ad accogliere così tanti cambiamenti, perché forse loro erano avanti e noi troppo chiusi per poter andare oltre al trucco in faccia di Ulrich ed i vestiti Armani di Hetfield. No. A distanza di tutti questi anni direi che, se possibile, questi due lavori sono ancora più noiosi, tristi e desolanti. Quando è uscita la notizia che a Guantanamo torturavano i prigionieri con i dischi dei Metallica, io e molti altri metallari non ci siamo certo domandati quali album avessero scelto per far crollare i detenuti iracheni. Load e Re-Load che erano, sono e forse saranno sempre dischi di merda. Sono volgare? L’importante è non essere frainteso.
Per non parlare di “St. Anger”, l’album in cui i Metallica riuscirono a fare peggio tornando a picchiare con la doppia cassa e urlando tutta la rabbia da miliardari condannati alla noia, alla lucidità ed a vendere perennemente il culo…
E Death Magnetic poi? Con Rubin che ha preso non so quanti miliardi per dirgli ciò che il loro caro amico Pepper gli avrebbe ruttato in testa in un qualsiasi momento delle loro sbornie analcoliche insieme ai Down. “Tornate a fare medooool, quello vero!”
E Death Magnetic poi? Con Rubin che ha preso non so quanti miliardi per dirgli ciò che il loro caro amico Pepper gli avrebbe ruttato in testa in un qualsiasi momento delle loro sbornie analcoliche insieme ai Down. “Tornate a fare medooool, quello vero!”
E Lulu?
Nuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuoooooooooooooooooooo…