Intervista a Paolo Di Orazio

0 – Nome completo?

PDO: Paolo Di Orazio. Cognome difficile da comprendere, in Italia. Viene trascritto male da chiunque da che esisto. Quindi, molto spesso divento D’Orazio, o D’Onofrio. Una volta, in una trasmissione televisiva condotta da Fabio Fazio, avevo una sedia riservata a “Paolo Di Spazio”. La D è maiuscola, sono nobile nell’animo.

1 – Principali band con cui hai suonato?

PDO: Esordisco su vinile nel 1985 per un’etichetta indipendente inglese (Recloose Organisation) che pubblica l’ Lp della mia terza band in ordine di curriculum, i Passage Four, con cui ho fatto due o tre anni di plausi a Roma. La band che mi ha portato a una certa notorietà e a una vita professionale da musicista è Latte & i suoi derivati, costituita su mio impulso nel 1991 e portata avanti fino al 2010. Ho militato brevemente nella storica formazione punk Uniplux (1987-’88).  

2 – Il tuo primo concerto e come andò?
PDO:
1982, liceo scientifico Cavour, Roma, con la band Ph7 (cover Peter Hammill, Van Der Graaf, Bowie, Talking Heads e repertorio orginale). Andò liscio, senza alcuna paura. Portai la mia primissima batteria, una Eko, foderata di uno strano rivestimento color salume.

3 – La prima volta che hai guadagnato dei soldi con la tua musica e quanto?
PDO:
Venerdì, 5 settembre 1992, Civitavecchia, piscina comunale. 50mila lire più cena.

4 – Il momento più imbarazzante on stage?
PDO:
Nel 2001, con una band rock di cover e repertorio originale. L’ultima serata di questa band avviene proprio nel locale di punta della capitale da cui saremmo dovuti in realtà partire per bene. Il cantante però era completamente ubriaco e cantò il concerto fuori di testa, urlando cose senza senso e pure stonate.

5 – Il disco che ha cambiato la tua vita?
PDO:
Dopo aver suonato 14 anni da una formazione all’altra, vendo batteria e piatti nel 1989. In seguito ai primissimi successi di «Splatter», sono determinato a occuparmi di editoria a tempo pieno (in redazione Acme dalle 10 alle 19 tutti i giorni, e dopo cena a scrivere i miei racconti fino alle 4 o le 5 del mattino). Passo indenne due anni senza batteria. Un bel giorno del 1991, metto sul piatto il vinile “On Stage” dei Rainbow. Appena parte Kill The King, si riaccende la miccia: devo ritornare sulla batteria. Subito dopo, nascono i Latte & i suoi D. E la mia vita cambia di brutto.

6 – Hai mai rubato in un negozio di dischi?
PDO:
Mai. Né scarico illegalmente canzoni.

7 – Precedenti lavori non musicali che hai fatto?
PDO:
Portinaio in un residence. Free lance editoriale, prima e dopo la carriera musicale.

8 – Qual è il tuo peggior ricordo d’infanzia?
PDO:
Attraversare ogni mattina e ogni sera, al buio e da solo, un ponte sul Tevere per andare all’istituto dove frequentavo le scuole medie. Mi sono cacato sotto per tre anni, due volte al giorno, durante le stagioni fredde.

9 – Cosa pensa la tua famiglia delle band in cui suoni e soprattutto dei libri che scrivi?
PDO:
Che sono una persona preoccupante a livello psicologico, e un eterno sbandato. Nonostante tutto, mi vogliono bene come un figlio normale.

10 – Hai mai avuto problemi con la legge?

PDO: Sì. Il mio esordio di redattore avviene tra il 1986-’87 presso un service editoriale che si occupa di riviste porno da edicola. Scrivo racconti, redazionali, corrispondenza, test attitudinali per 11 rivistine mensili fotografiche per adulti. Viene un bel giorno la polizia a sequestrare tutto, e io sono lì. Portato in questura, mi viene bloccato il passaporto (stavo per partire per i Caraibi con un amico). Sono chiamato in tribunale – assieme ai collaboratori coinvolti, per rispondere del reato di “produzione di pubblicazioni oscene”. Grazie a mio padre, che all’epoca lavora in Cassazione, recupero il casino e la cosa decade.

11 – C’è una recensione negativa che ti ha particolarmente ferito?

PDO: No, nessuna. Cioè, non ho avuto mai recensioni ufficiali negative. Qualcuna tiepida, ma va benissimo così. Mi urtano da morire, però, le osservazioni senza senso. Che non sono critiche, ma sfoggio di pessima personalità. Dando per scontato che tutto quel che faccio possa non piacere a tutti, le critiche intelligenti le accolgo sempre ottimamente.

12 – C’è qualcosa nel tuo passato musicale che hai fatto esclusivamente per soldi?
PDO:
Non ho avuto questa sfortuna.

13 – Il periodo più difficile della tua carriera?
PDO:
Dopo sette anni di attività mastodontica (1500 spettacoli dal vivo e numerose apparizioni televisive su ogni emittente nazionale), gli Lsd nel 1998 ricevono proposte di contratto da parte delle cinque major discografiche, per un programma lavorativo mass mediatico di lancio definitivo (1 Sanremo, 1 radio network, 1 video per Mtv). Contemporaneamente, una solida agenzia di spettacoli ci pianifica un tour italiano nel posti più cool del rock. Tutto viene buttato nel cesso: i miei due frontmen rifiutano di firmare, abortendo la band a favore di una loro carriera “solista”. I due hanno rischiato di essere pestati a sangue, ma io e gli altri (coi quali abbiamo dedicato completamente la vita al progetto) ci siamo fermati prima. Io mi sono fatto sei mesi di depressione a letto. Ritrovare un lavoro e recuperare contatti editoriali abbandonati per sette anni è stata una fatica micidiale. Pesante. Ho perduto l’autostima e non avevo voglia di scrivere, o propormi come sceneggiatore. Per organizzarmi un guadagno, ho dovuto imparare a impaginare libri e riviste.

Ho recuperato la mia centratura nel 2005 grazie ai miei due amici Semerano e Andrea Domestici, coi quali ho ricominciato a scrivere sceneggiando fumetti. Ora, con Andrea, siamo in edicola sul quattordicinale «The garfield Show» con la gothic novel “Artibal”, pubblicata in Francia nel 2009 da Clair de Lune.   
 

14 – Quali sono i tuoi hobbies inconfessabili?

PDO: I miei hobbies sono relegati, per ragioni di tempo e scarsa resistenza da sveglio, alle cose che nutrono la mia creatività e la coinvolgono. Cioè, le mie attività si alternano per compensarsi: quando faccio il grafico ho bisogno di scrivere. Quando scrivo tanto, poi mi diverto a impaginare, e quando voglio rompere con tutto disegno o dipingo. Precisamente, visto che non guadagno disegnando, allora sì, effettivamente posso dire che il mio hobby è il disegno. Oppure, cercare nella rete video musicali o accumulare nozioni. Nulla di trasgressivo, quindi: libri, film, passeggiate, navigate. Ogni tanto agito la mia esistenza con una relazione, ma già non stiamo parlando più di hobbies, quanto di ricerca sperimentale antropologica nel rapporto uomo-donna.

15 – C’è una rockstar del passato che proprio non sopporti?
PDO:
Sting.

16 – Quali sono i tre più grandi batteristi della storia del Rock?
PDO:
Ian Paice, per l’inventiva dei suoi anni d’oro (nei dischi “Machine Head”, “Burn”, “Made in Japan”) e la classe acquisita in maturità. John Bonham, per i groove e la precisione millimetrica dei fill. Phil Collins, per il senso orchestrale del batterismo.

17 – Dimmi la line-up della band dei tuoi sogni.
PDO:
Ozzy (voce solista), Eddie Vedder (controcanto), Steve Vai (chitarra solista), Jerry Cantrell (chitarra ritmica, cori), Steve Harris (basso ritmico, cori, songwriting), Billy Sheehan (basso solista), Will Calhoun (batteria), Jon Lord (Hammond – sempre amplificato Fender, pianoforte), Trent Reznor (songwriting), (Steve Albini, producer).

18 – Cosa ascolti prima di salire sul palco?
PDO:
Nulla. Le canzoni, ogni canzone del mondo ha un potere su di me, nel bene e nel male. Dal momento che io non leggo spartiti, imparo il repertorio a memoria e lo eseguo per sempre allo stesso modo con piccolissime varianti improvvisative. Questo offre sicurezza alla formazione e a me stesso; per potermi divertire durante lo spettacolo sfruttando la memoria muscolare delle braccia (un repertorio musicale è una mappa registrabile di azioni che poi vengono replicate in default dal cervello; non una memoria mnemonica ma di azioni (in) condizionate). Ma, prima di salire, ho bisogno di avere la testa sgombra da qualunque cosa che non riguardi la mia scaletta.

19 – Hai qualche rimpianto esistenziale?
PDO:
No. Mi piaccio così. E se a qualcuno sto sul culo (raro), non è un problema mio.

20 – Ti piacciono i fiori?
PDO:
Moltissimo.

21 – Faresti il fioraio?
PDO:
A Roma, i fiorai, pare siano stazioncine del narcotraffico. Potrei prendere brutte strade.

22 – L’esperienza sessuale più bizzarra?
PDO:
Anni fa ho conosciuto una donna per telefono, cercandone invece un’altra che abitava nella stessa casa. Si è sviluppata immediatamente una pazzesca intesa mentale. Abbiamo parlato ore, notti intere al telefono, per un arco di tempo piuttosto lungo. Finché si è deciso il fatale incontro. Nessuno dei due conosceva in volto l’altro. Ci siamo incontrati a casa mia al buio e il gioco era di capire come eravamo fatti leggendo i nostri lineamenti al tatto. Il climax fu immediatamente insostenibile. Ho capito in breve in cosa consiste l’ebbrezza della dark room. L’evoluzione naturale della conoscenza biblica è stata pressoché rapida, sempre rigorosamente in oscurità profonda. Poco prima del sorgere del sole, le prime luci dell’alba hanno completato la bellezza dell’incontro. Non so se consigliarlo, per vari ovvii motivi. Io ho avuto fortuna. Non lo ripeterò.

23 – Quando hai perso la verginità e con chi o cosa?
PDO:
A 20 anni, con una donna di 35. Tecnicamente, in ospedale nel 1975, a 9 anni, con una operazione chirurgica, come racconto nel… ma sono folle?! non devo sputtanare il mio romanzo.

acquistabile on line direttamente dal sito della casa editrice www.unipass.it, nei migliori mail order e in alcune librerie specializzate

24 – La tua perversione preferita?
PDO:
Aspettare al varco che gli idioti si facciano male con le loro piccole tremulanti mani.

25 – Un gruppo con cui hai diviso il palco e che non puoi più nemmeno vedere scritto?

PDO: Nel senso, insieme alla mia band? Elio e le storie tese, insieme sul palco e nel camerino. Bravissimi. Però non mi fanno ridere, cantano delle cacate pazzesche. Il batterista, oltreché bravissimo, è anche simpatico. E’ l’unico che si è degnato di scambiare una parola con me. Gli altri non ti filano di striscio. Il gruppo in cui ho militato io e che non posso nemmeno veder scritto, non riesco a scriverlo; ma non lo conoscerebbe nessuno, al di fuori del Grande raccordo. Cover di Elvis.

26 – Ti sei stupito quando Halford ha ammesso la propria omosessualità?
PDO:
Assolutamente apprendo qui dell’outing halfordiano. Non mi stupisce, perché mi è sempre parso un personaggio inafferrabile. Ammiro moltissimo il suo gesto. Chi sfida il costume e il benpensare e dice semplicemente chi è, senza cantarla coi misteri, è una persona esemplare.

27 – Per un’Italia migliore voteresti Grillo, Richard Benson o Pino Scotto?
PDO:
Pino Scotto. Per vedere uno spettacolo di Grillo, il biglietto, se non erro, è piuttosto salato. Stride di brutto con le sue prediche ansiose e che non cambieranno nulla nemmeno se si crocifigge a pizza San Pietro.

28 – Ci sono molti gay nel mondo del metal, secondo te?
PDO:
Probabile, ma non mi è necessario saperlo. Il metal, secondo me, è una filosofia estetica e di vita e così, riferendomi alla domanda precisa, non riesco a immaginare che non possa piacere anche a uomini e donne omosessuali. Anzi, secondo me, il romanticismo di fondo del metal, la dolcezza e la poetica di cui si innerva e che i detrattori dalla smorfia facile non vedono, è universale.

29 – In quale animale ti identifichi?
PDO:
Il leopardo.

30 – Quanto tempo dedichi alla musica, ogni giorno?
PDO:
Come ascolto, almeno 4-5 ore. Invece, la mia attività batteristica è per ora ferma in attesa di decollare con nuovi progetti.

31 – Quanto tempo dedichi alla scrittura ogni giorno? Cosa rimane per il tuo povero pene?  

PDO: Ahahahaha!!! Scrivo dalla mattina alla sera, alternandomi alle fasi più meccaniche dell’impaginazione grafica. Quindi, al mio povero pene restano le delizie della sera e della notte. Autonomo (eh, sì, anche alla mia età. Embè?), o con i favori di una benefattrice, la notte è – classicamente – il tempo migliore.

32 – Pensi che sia utile a un artista avere qualche dipendenza tossica?
PDO:
Dunque, dunque, me lo sono sempre chiesto. Potrebbe essere utile. Io non lo faccio, solo perché ho paura di ammalarmi e soffrire (non di morire). Però poi penso che se ti serve roba per scrivere, o per suonare, allora sei un automa con la spina staccata. Dalla mia infanzia io ho sempre voluto avere il controllo totale della mia creatività. Già scrivere o suonare è una forma estrema di astrazione. Mi è capitato, non volendo, di bere troppa birra prima di un concerto. Ho suonato senza creare problemi agli altri, ma non capivo assolutamente nulla. Non mi piace. Non è da me. Magari va bene per altri.

33 – Cosa non ti piace di questo folle e schifoso mondo?
PDO:
L’ipocrisia. La stupidità. L’arroganza e l’ignoranza, lo sfascio ambientale, l’arretratezza. Io sono per l’ anarchia, ma quella diversa dai canoni conosciuti. Quella della “non azione politica”. Un esempio utopico: alle prossime elezioni, nessuno va al seggio. Questa sì che sarebbe una rivoluzione. Senza casini, morti e feriti. Sarebbe la reazione più cazzuta della storia moderna. Dopodiché, se il governo insiste barando, allora si passa a menare le mani.

34 – Cosa ne pensi dell’editoria italiana?
PDO:
Si potrebbero fare moltissime cose: esistono scrittori, disegnatori bravissimi. Ma, per il nostro territorio, quel che non passa per la televisione raggiunge pochissimo pubblico. L’editoria italiana è la dogana delle minchiate, dei libri di cucina e di quelli che parlano di scopate, e le operazioni paracule coi nomi calcio-poltico-televisivi. Tra gli autori italiani di fiction, guarda caso, ma credo sia proprio un caso, abbiamo una paccata di libri alla Dan Brown. Finiti i vampiri, anzi mai cominciati visto che nessuno ne è capace senza scimmiottare Twilight, ora è il momento dei libri maledetti. Non abbiamo fantasia e gli editori vogliono il clone del clone del clone. Tutti grandi autori alle loro opere prime, ma che hanno a che fare con il cinema e la tivù. Caso strano.

35 – Credi che i Metallica faranno più un bel disco?
PDO:
Se mettono la testa a posto e decidono di diventare persone serie sì. Io lo aspetto dai tempi di Load (S&M è inascoltabile, mi manda al manicomio e i successivi non mi piacciono per nulla).
Se fossi io il loro produttore, imporrei ai quattro horsemen di:
1) aspettare una sana ispirazione di gruppo dando alle stampe una versione di “And Justice…” col basso mixato degnamente,
2) ammettere che Some Kind of Monster è una presa in giro venuta male della serie “The Osbournes” e recuperare in maturità individuale coesiva (ah, rifare il montaggio: non si può vedere Lars prima coi capelli corti, poi, lunghi, poi corti),

3) convertire il songwriting a canzoni di minutaggio contenuto, curando la melodia,
4) tagliare, appunto, i capelli di Lars a zero (sembra un impiegato di mezza età) e fargli capire che se esegue pattern semplici senza fill lunghi mezza strofa non andrà all’inferno.

36 – Qual è il tuo piatto preferito?
PDO:
Paiste 2002 e Signature. A tavola, spaghetti al sugo di olive.

37 – Ti definiresti un artista “underground”? Che senso ha, oggi che tutti possono raggiungere milioni di persone grazie a internet, sentirsi ancora underground?
PDO:
Io sono l’ultimo degli underground perché proprio non mi va di mettere in piedi un blog, comprarmi l’iPhone e twittare. Mi annoia, mi stanca, è una faticaccia. Mediaticamente parlando, ho iniziato – grazie alla fiducia che gli editori Acme hanno riposto in me all’epoca – nella trincea della posta di «Splatter» e «Mostri». Credo fermamente che il rapporto umano diretto sia alla base di un percorso comunicativo di massa. Facebook è comodo, non vado oltre questo sistema che mi permette di divulgarmi con l’apertura positiva di quei tempi. O con l’antipatia che occorre, se vengo aggredito senza motivo da qualche venditore di caciocazzo. Moltissimi sostenitori mi scrivono sorprendendosi della mia disponibilità. La comunicazione è il mio sangue, se oggi la eliminassi, sarei perduto. Sentirsi underground con un blog o twitter significa non aver capito nulla di se stessi e del mezzo a disposizione. Difatti è facilissimo distinguere le persone autentiche da chi assume maschere patetiche dell’autore scomodo dietro il filtro meta-privato della connessione globale. I SN sono utili, dipende naturalmente come li usi. Io mi trovo bene con FB, perché amo le persone, lo scambio sano di idee. Io vedo le persone, attraverso FB, e loro vedono me. Blogspot non è così e a me non piace. Per me è internet un ponte verso gli altri, non può essere uno scudo per non farmi vedere dagli altri. Blogspot fa trend, c’è chi si sente figo con un blog e un linguaggio da bimbominkia post-tarantino. Io resto su qualcosa che mi faccia sentire il confronto diretto. Posso dire quel che voglio col mio canale preferito, anche se non è il massimo della comodità.

38 – Cosa ne pensi dei Gwar?
PDO:
Assurdi. Non mi piacciono, ma ciò non significa nulla.

39 – Definisciti con un insulto.
PDO:
Motherfucker.

40 – Anche se non ci sei dentro con tutte le scarpe, ti sei fatto un’idea di com’è lo show biz?
PDO:
Posso dire di esserci stato con tutte le scarpe per anni. La verità? Be’, è stato favoloso, indimenticabile. Vivi di adrenalina tutti i giorni. Lo show biz, pur essendo materia reale, è un mostro che deforma il reale. Se ci sei dentro e non hai le palle, ti stritola perché, come nel mondo al di qua dello schermo, di stronzi a sonagli ce n’è a migliaia. Ma ci sono anche persone fantastiche. Non me ne ricordo una.

41 – Ti vuoi fare qualche domanda?
PDO:
Preferisco di no. Mi piacciono più queste.

42 – Credi alla reincarnazione?
PDO:
Sì.

43 – Se ti offrissero una bella cifra, suoneresti nel nuovo disco di Silvio B?
PDO:
Assolutamente sì, nonostante lo vorrei sminuzzare nel tritacarne a manovella. Perché il nemico lo devi conoscere. Anche con le donne, io sono fatto così. Non mi bastano cenni di pericolo: devo andare fino in fondo a sfidare zanne e artigli. A Bilvio chiederei trentamila euro, per suonare nel suo disco. E lo farei bene, benissimo. Una volta incassata la cifra, studierei col tempo, entrando nel suo mondo, come manipolarlo a mio favore. E’ pur sempre un homo sapiens.

44 – Hai mai pensato di smettere?
PDO:
Sì, ma ho sempre rimandato continuando perché non si sa mai.

45 – Ti è mai capitato di conoscere un tuo mito e non vederlo crollare ai tuoi piedi?

PDO: Stewart Copeland. Al contrario, e ci tengo, Gene Simmons: pessimo. L’ho incontrato al Comicon di San Diego nel 2000. Ha lo sguardo bovino e dice solo cazzate.

46 – Credi in un dio?
PDO:
Se lui smettesse un giorno di credere in me, sarei finito.

47 – Se potessi rubare un romanzo a qualcuno, quale sceglieresti?
PDO:
Se il fine è pubblicare in Italia col mio nome, sarebbe inutile qualsiasi furto. Se mi chiamassi Romina Power o Claudio Baglioni o Briatore o Fiorello, ruberei il Mastro Don Gesualdo, Il fu Mattia Pascal o Gioco Dannato di Clive Barker. American Psycho no, l’hanno già copiato, se qualcuno se n’è accorto.

48 – Le tue ex cosa rimpiangeranno di te?
PDO:
Il numero delle mie ex si aggira sulla sessantina. A 46 anni, ognuna mi troverebbe coerente come una quercia, come l’ultimo giorno in cui ci siamo visti. Credo la mia semplicità, fondamentalmente, e la mia lealtà. Sono un single convinto, con cicli ellittici di monogamia seriale.


49 – Come ti piacerebbe morire?
PDO:
Sotto il sole cocente di mezzogiorno, nel ventre di una barca di legno, sulla riva di un mare calmo.

50 – Dimmi qualcosa di tremendamente osceno
PDO:
Quando qualcuno parla troppo e non la pianta: «Tuo nonno pederasta non sa dove sbrodare lo scolo. Corri subito a fargli una pompa o si macchia nuovamente i pantaloni, stronzo. E visto che ci sei, per cortesia, fagli un succhio al prolasso!».

Grazie Paolo!