E dopo anni di lotte i verdi sono riusciti a bloccare la caccia. Doveva aprire il primo di settembre, ma è stato tutto fermo almeno fino al 26. Ne parlo perché mio padre è cacciatore. Io da piccolo ero socio del WWF e gli procurai una gran ferita nel cuore, capirai. Nel corso degli anni ho abbandonato le mie posizioni estreme e adesso mi sento neutro: se la chiudono o la tengono aperta, mi importa poco. Anche se però gli ambientalisti sono riusciti a piazzare questo bel colpo ai danni delle migliaia di cacciatori scalpitanti (che hanno dovuto riporre i loro fucili ingrassati nel fodero) i merli, i fringuelli e i passeri non possono certo godersi questo rinvio alle esecuzioni sportive dei cacciatori, perché sono già passati i Testament con il loro nuovo disco.
Dark Roots of Heart, titolo altisonante per il secondo episodio post reunion della storica band thrasharola, ha fatto strage di posteriori pennuti con largo anticipo sull’apertura delle attività venatorie, in un tempo di relativa tranquillità per i volatili, verso giugno, luglio, quando ancora erano solo degli entusiastici proclama cinguettanti di storici critici metallosi, che avendo sentito in anteprima il nuovo lavoro di Billy e co., si sono sperticati (cosa cazzo vorrà dire, sperticati, poi?) con parole superiori a qualsiasi speranza dei vecchi fan più irriducibili.
“Forse è il miglior disco dell’anno”
“Forse il miglior disco del decennio”
“Ma è meglio di Gathering?”
“Meglio di Gathering, probabilmente è il miglior disco della loro carriera”
“No. Il miglior disco della storia del Thrash”
“No. Il miglior disco della storia del medolz!”
“No. Il miglior disco della storia della musica”
Il sospetto che ci fosse un po’ di autosuggestione in simili uscite, mi era venuto quasi subito. A volte un appassionato si fa prendere dall’entusiasmo e diventa imbonitore meraviglioso e meravigliato”
Insomma, dopo certe parole, tutti quanti hanno iniziato a diventare per lo meno molto curiosi.
“Signorelli ha detto così”
“Mancusi ha detto così”
“Lester Bangs l’ha lasciato detto nella segreteria telefonica di una medium. Il disco nuovo dei Testament spacca il culo ai passeri”
“Spacca il culo ai fagiani, ai fringuelli, alle tortore”
“Spacca il culo”
“Il culo”
“Cuuuuuulo”
Con tutto questo tam tam, si è finito per parlare bene di Dark Roots of Heart ancora prima di averlo ascoltato, perché facendo la tara sulle sparate, veniva fuori comunque un mezzo capolavoro. E allora tutti si rallegravano per la rinascita della band di Chuck Billy, del Thrash, del Metal. Il benedetto ritorno del Thrash è ormai non più una spompatissima profezia che si rinnova dal 1994, ma una realtà tangibile e grazie a quelli da chi non ci saremmo mai aspettati un simile colpo di coda, un guizzo così cazzuto… I Testament
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yeeeeeeeeeeeeeeeeeeaaaaaah! |
Insultati per aver abbandonato il nuovo percorso cominciato con The Gathering per una reunion che nessuno voleva davvero più. Dopo un mattone come Formation of Bambolation, adesso esplodevano con il disco definitivo della loro carriera. L’ennesimo commovente e inatteso lieto fine per il meraviglioso mondo metallo! Incredibile, chi l’avrebbe mai detto? Chi si sarebbe mai aspettato delle canzoni così potenti, una freschezza da giovinetti per dei veterani che parevano fuori dai giochi…
“Il nuovo dei Testament? Stupendo!” |
“Sei riuscito a sentirlo?”
“Non ancora”
Poi ecco i primi assaggi: Native Blood, True American Hate, la cover degli Iron Maiden Powerslave!
Impressioni? Roba grossa, ragazzi! Sentite che produzione, che suoni, che tiro, che melodie!
E noi seguimmo il suggerimento e sentimmo e ci limitammo ad annuire senza aggiungere nulla perché eravamo confusi. Aspettiamo il disco intero, risentiamo tutto con calma…
Poi il disco uscì e subito nuove esclamazioni dinamitarde ai danni dei sederi dei passeri e anche degli ornitologi.
Bum Bum Bum!
Vicino a casa mia c’è una riserva di caccia e notte e giorno sentivo queste esplosioni. I guardiacaccia perlustravano il bosco in lungo e in largo senza trovare nessuno, solo un mare di piume che ingolfavano il parabrezza. Era colpa dei Testament. Se qualcuno li avesse avvertiti, i Verdi sarebbero arrivati fin sotto casa di Chuck Billy con gli striscioni di protesta: “Testament Assassini! Testament Mostri!”
Poi successe che il solito bastian contrario che affligge tutti i gruppi musicali di facebook ha dichiarato che il disco dei Testament era una merda, una palla noiosa e moscia da far cacare candelabri elisabettiani.
Blasfemo! fu il coro generale dei grandi critici e dei loro fedeli seguaci. Come osi dire male di un tale capolavoro? Sei sordo, per caso? È la gelosia di un menomato la tua!
Le cose sembrarono tornare alla calma, fino a che qualcuno non mise mi piace sotto al commento del sordo livoroso. Poi un altro e poi uno ancora e un commento laconico in coda: niente di che…
Da lì ecco uscire allo scoperto altra gente, altri sordi, ciechi e folli tutti uniti a disconoscere un simile miracolo artistico.
E dopo tutto questo mi è toccato sentirlo ‘sto album, per capire e scegliere una volta per tutte da che parte mettermi.
Ma prima di andare avanti a parlarne vorrei riassumere la storia dei Testament, parlare della sfiga madornale che li ha sempre accompagnati, in tanti anni di onesta e decorosa attività musicale.
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Come passa il teeeeeempo… |
La loro prima grande sventura è stata quella di pubblicare il capolavoro definitivo all’inizio. Ne pagarono le conseguenze per tutto il resto della carriera. “The New Order”, “Pratice What You Preach”, “Souls of Black” e “The Ritual”, ebbero sempre una certa accoglienza perplessa e dubbiosa. Ricordo un vecchio HM in cui scrivevano, a proposito di “Souls of Black” che era solo questione di tempo, ma la band da anni ormai aveva iniziato a mostrare i propri limiti e questo disco era la dimostrazione che qualcuno doveva averli sopravvalutati agli inizi”. Considerato per tanti anni il punto più basso dei loro primi cinque lavori in studio, quel disco è cresciuto parecchio col tempo e oggi si difende bene, ma negli ’80 c’era così tanta roba buona da farlo apparire come una cosa sciattosa e da dimenticare. In realtà era un buon lavoro, come tutti i dischi della band fino a The Ritual compreso, ma tanto la gente la prima cosa che pensava era: non è come “The Legacy”. Ancora oggi qualcuno azzarda a dire una cosa del genere, ma di solito parla per prassi, visto che The Legacy è uno degli album thrash più citati e meno ascoltati del genere. Io per esempio l’avrò sentito una volta e mezza e anche se posso immaginare l’impatto che ebbe quando uscì, devo ammettere che amo molto di più The New Order e Practice. Ho passato molto più tempo su questi album imperfetti, con episodi trascurabili, ma che vantano anche canzoni grandissime divenute equini da macello per i concerti del gruppo. Oggi possiamo dirlo poi che quegli album erano grandi, non siamo più nel 1991, HM e Metal Shock sono morti e forse va pure bene così, anche perché ci sono sì un sacco di pregiudizi e di ignoranza ma almeno qualche band del passato non subisce più i tartassanti rimbrotti che era costretta a infilarsi tra le chiappe quando l’ignoranza era sempre presente, ma cambiava obbiettivi su cui sfogarsi. Non capisco perché c’era per esempio questa gran voglia di rompere i coglioni a uno dei gruppi migliori della Bay Area.
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I Testament in versione Joni Mitchell |
E se i Testament furono trattati di merda già negli anni più commerciali del metal, le cose non migliorarono certo negli anni ’90, l’epoca del grunge zero. Qualcuno che ha vissuto in prima linea quella decade (Stefano Giusti e Niccolò Carli) si ricorda una bella accoglienza per “Low” e “Demonic”, in anni in cui era dura per gente come Iron Maiden e Metallica non finire nel tritazebedei dei fan italiani.
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Cazzo sììììììì |
Nel 1996-97, il Thrash era fuori moda e bistrattato dai Blacksters dominatori, metteva tristezza peggio dei My Dying Bride e non conveniva parlarne ad alta voce.
Quando uscì “The Gathering”, che non è un vero e proprio disco dei Testament ma un lavoro “all star band” irripetibile, furono in tanti ad accoglierlo come un album madornale, un cazzo di capolavoro insperato che avrebbe fatto sorridere i metallari più sconsolati.
Anche lì ci furono diverse persone che dopo l’onda di entusiasmo degli addetti e dei fanatici, suggerì che non era poi tutto ‘sto granché, ma li radiarono via da tutte le chat metalliche della rete.
Quando lo sentii non mi sorprese moltissimo e ancora oggi, se mi capita di ascoltarlo lo trovo gustoso, potente, ma non tutto questo capolavoro di tecnica e ispirazione. Ci stava tuttavia in quegli anni che un disco così rivitalizzasse l’ambiente e suscitasse così tanto clamore isterico tra le penne illustri. Che oggi occupi un posto sacro nella discoteca metal del “saettone” purosangue è un fatto, ma insomma, onore ai Testament per quel disco. Punto.
Bello poi anche perché sapeva di rivincita, di forza vendicativa sprigionata da una band che artisticamente veniva trattata come una carcassa deambulante diretta verso il crepuscolo della senilità più dolorosa. Checchenedicano il Giusti e il Carli.
“Meglio di The Gathering?” è stato chiesto.
Risposta mia: “Ma certo che no, scemi”
Tra l’altro sia The Gathering che The Dark Roots of Heart per quanto ottimi episodi per un gruppo che vanta trent’anni di carriera onorevole, sono poca cosa rispetto a Practice What You Preach o The New Order, per il semplice fatto che non ci sono canzoni che possano competere con quelle. D.N.R., è un gran bel pezzo ma non è nulla in confronto a cose come Practice o Disciples Of The Watch. Altro punto e a capo.
Riguardo l’ultimo album inoltre bisogna aggiungere che il songwriting è di molto inferiore a Gathering, che la produzione è una grandissima presa per il culo che ha fatto fessi quasi tutti i grandi intenditori del genere e soprattutto il vero e unico pregio dell’album è stato accolto da molti come il più grande dei difetti.
Ma andiamo con ordine.
Copertina:
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ooooooooooooooooooooooooooohhhhhh… |
Le canzoni. Sono buone, per carità. Da tempo non si sentiva un ritorno così deciso al thrash crepuscolare, quello post Masters of Puppets dell’87-90, quando le band allungarono la durata delle composizioni, resero il sound meno ruvido e più accessibile e aggiuunsero in modo deciso parecchia melodia. Brani come Dark Roots, Native Blood e True American Hate sono questo e non mi stupisce che qualche pischello amante degli Slayer o dei Kreator/Sodom/Destruction, abbia liquidato il momento più accattivante del disco come “palloso, monotono, fiacco”. Il Thrash di prima della caduta era proprio così. Non spingeva più a mille ma sperimentava, giocava con gli arpeggi, con la progressione e i controcanti, dando spazio pure a una ballad, nella speranza di fare qualche soldo vero. Le tematiche non erano più livorose invettive verso la società. Ricordo brani sul Marchese De Sade (Exodus), concept sui Serial Killer (Kreator) o sul Vietnam (Sodom), menate sulla violenza domestica (Dark Angel), insomma si cercava di osare, di crescere e finire tutti come i Metallica, ovvero pieni di grana, cazzo!
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adorabili… |
I Testament ci provarono con The Ritual. A quanto pare fu il grande Skolnick, il genio indiscutibile, che impose un cambio di stile: niente più riff tirati, ma qualcosa di minimale e possente come il “Black Album”. Louie, il batterista, ci mise del suo rifiutandosi di suonare ancora la doppia cassa e il risultato lo conosciamo tutti. Disco interessante, con qualche bella melodia, ma discontinuo e palloso. Figurati se portò i soldi. I due responsabili poi se ne andarono a suonare Jaaaaaazzz e lasciarono Petersen e Billy a rimettere insieme i cocci e disconoscere quella ciofeca poppettona, pigiare di nuovo sul pesante, fino ai confini del death metal e dare la colpa agli assenti dello scivolone più umiliante della loro storia.
Ecco però, oggi che sono di nuovo tutti uniti e si vogliono ancora taaaanto bene, Dark Roots recupera proprio quel discorso e nonostante l’operazione nostalgia così palese, i suoni delle chitarre sono molto più asciutti e composti, rispetto ai sardelloni grassi di The Gathering e Billy si rimette a canticchiare sul serio, come non accadeva da quasi vent’anni. A livello produttivo si è cercato di tornare indietro, molto più indietro del 1997 o del 1994, sperando di riguadagnarci in aggressività, ma il risultato è proprio l’opposto, ovvero la fiacca denunciata dai pischelli, avvezzi a suoni molto più violenti, ma solo perché più finti.
Finto. Il punto è proprio questo. Il Metal di oggi è fintissimo, quasi quanto quello degli anni ’80 e nonostante i Testament abbiano cercato di rispolverare il sound più spoglio e vero dei primi anni ’90, quella batteria triggherata da cima a fondo vanifica il tutto. Solo i gruppi stoner e doom non ricorrono a queste magheggiate, ma nei generi più estremi si tende a rimpiazzare i suoni veri della batteria con dei suoni tarocchi, in modo tale che sia tutto più preciso, così da poter trasformare le sfuriate di violenza iper-tecnica non come la cloaca di baccano che dovrebbero essere, ma come una gradevolissima macedonia (dove si sente solo la fragola) di rumori tutti addomesticati e tenuti al proprio posto. Il lavoro sulla batteria tende a ucciderla, quella vera, intendo. Gene Hoglan ha suonato le sue parti, ma non le sentiremo mai, perché il lavoro da studio ha permesso di annullare tutte le dinamiche, i colpi sono tutti appiattiti allo stesso volume, alla stessa intensità. Questa è una cosa molto moderna e la potete trovare in ogni band metal di cui elogiate la bravura dei batteristi e soprattutto l’ottima produzione. La produzione è ottima perché fintissima. È un inganno, tutto qui. I Testament non tornano a un bel niente. Fanno un disco moderno spacciandolo per qualcosa old school e tanti se la bevono come un bel frappé di sperma di gorilla spacciato per bananas. Vi ricordate il suono di batteria dei Cradle Of Filth di Cruelty And The Beast? Era osceno, sembrava una farfallina che batteva contro un vetro no? Esatto. Ecco, fu un tentativo ormai preistorico di triggherare tutta quanta la batteria. Al tempo gli ascoltatori insultarono Barker e la band di Dani Filth giudicandoli falsi, plasticosi, ignobili artefattori, ma oggi che lo fanno tutti però molto meglio, ecco che gli stessi detrattori dei Cradle, dicono bene dei Testament.
Terzo punto e poi chiudo è il difetto che proprio non è andato giù nemmeno a coloro che hanno comunque apprezzato Dark Roots, in realtà, a mio modestissimo avviso, è l’unico pregio effettivo di un compitino fatto apposta per soddisfare la boria nostalgica di un pubblico anziano e rompiballe.
Cold Embrace.
Questo brano, che riprende il giro di Horse With No Name degli America e lo rallenta, è il tentativo di andare oltre le cose più melodiche di The Ritual. La voce di Billy è molto gradevole ed è un delitto pretendere che si limiti a strozzare quelle due o tre linee melodiche abusate. Ha un timbro assai evocativo. Quando si lascia andare alla melodia pura di brani come “Return To Serenity” o “The Legacy”, non so voi ma mi si aprono spazi enormi nel cervello, vedo una superficie bianca che sfocia in un mare da pubblicità dei villaggi vacanze. La cosa più strana è che sebbene io detesti il mare, la pubblicità e i viaggi, amo questo scenario e mi ci abbandono come sotto l’effetto di una droga confortevole. Chiaro?
Qualcuno mi ha detto che Dark Roots è il disco che avrebbero dovuto fare i Metallica per riguadagnare un minimo di credibilità e riconquistare il proprio posto nel genere per cui ancora sono considerati gli imperatori indiscutibili (altro che “Death Magnetic” che è una specie di And Justice For All in chiave Alternative) Io credo che in realtà quel disco stia arrivando e che come sempre i Testament, comunque al centro dell’attenzione per questa specie di capolavoro stermina poiane, saranno cancellati da quella specie di “Black Album” parte seconda che Lars e James stanno ultimando per la gioia dei loro fan più numerosi e generosi e se adesso se la sono vista brutta i pennuti, quando arriverà il nuovo dei four horsman, non ci sarà più scampo per lepri, cinghiali e ambientalisti. Mi domando a cosa potranno sparare i cacciatori impenitenti come mio padre.
Ai metallari?
Francesco Ceccamea