Cogliamo l’occasione per presentarvi anche le due mascottes di Sdangher!, Krash & Thrash, donateci dal Rizzi in persona!
“Heavy Bone è una vera e propria icona rock splatter che celebra la contaminazione massima tra Rock e fumetto” (Paolo di Orazio)
Otto storie dedicate alla mascotte del metal scritte da Enzo Rizzi e disegnate da un team d’eccezione: Alessio Fortunato, Arjuna Susini, Lelio Bonaccorso, Fabrizio Galliccia e Walter Trono.

Quando ho iniziato a leggere questo fumetto non mi aspettavo niente di buono per due motivi: il primo è che avevo già letto “La storia del Metal” e ne ero rimasto piuttosto deluso, i ritratti delle bands erano le riproduzioni a matita delle foto più famose che gia conoscevo fin troppo bene, con la differenza che Rizzi aveva reso quei volti pippati, allucinati e provati dalla spietata via del rock, un po’ più belli che nella realtà patinata e artificiata da fotografi e truccatori sapienti. Il secondo motivo è che, di solito, da tipico italiano, tendo a diffidare quasi di tutto quello che viene prodotto nel mio paese, a meno che non si tratti di vestiti, cibo e saggistica culinaria. Di conseguenza un fumetto, per di più ispirato all’universo del metal, per nulla facile da restituire in altro modo che non sia con uno strumento musicale elettrico o una motosega, doveva essere una cosa talmente rozza e stupida che di sicuro non sarei nemmeno riuscito a finirlo. E poi è inutile che ci giriamo intorno, spesso e volentieri sono uno stronzo. Tale mi sono sentito dopo appena poche pagine di Heavy Bone.

Perché questo, cara gente di poca fede, è un fumetto potente e spietato. Un fumetto con le palle e non vi impressionate, parlo solo in senso figurato.
Per un po’ di tempo è andata di moda la controtesi che il rock fosse solo opera di Dio e che il demonio in realtà lo odiasse e volesse farlo morire. Direi che Heavy Bone non faccia altro che sottoscriverla. Il diavolo, l’inferno è nemico del rock e vuole usarne il linguaggio a scopi puramente propagandistici e ipnotizzanti, totalitaristici, al fine di conquistare il mondo. Il personaggio Heavy Bone è una sorta di Devil Man, ma con molto più senso dell’humor. Di aspetto fisico è un misto tra il Conan di Frank Frazetta e i cenobiti di Clive Barker. E’ il killer delle rock star, il responsabile unico dietro alla morte di Elvis, Lennon, Morrison, Joplin e di tutto il club dei 27. Heavy Bone, la perfetta incarnazione dello spirito metallaro: rozzo, cafone, violento, affamato e troppo intelligente per darsi da fare oltre il minimo necessario al soddisfacimento dei propri bisogni da viscido pezzo di merda super-dotato, immortale e ingordo consumatore di sostanze obnubilanti.

Lo scenario in cui si muove è ancora più marcio dello zombie che egli stesso è: tra l’inferno satanico e l’ambiente del rock, demoni mangiacarne e discografici mangia anime, spacciatori senza scrupoli e guitar hero formato “Quasimodo Pasquale”, in tutto questo non si sa quale sia il peggio in cui capitare. Il piglio dell’autore è da vero duro: Rizzi non ha problemi a cambiare la storia, distruggere icone e tutto il campionario di idiozie, leggende e aneddoti sconci tanto cari a XL, rigurgitando il tutto in una salsa vomitosa striata di rosso e olezzante di zolfo! Non ha paura a pasticciare con il rock, le sue leggende, i suoi mostri e il suo folklore, i dischi da non girare al contrario e le groupies pronte a “calcare” cazzi celebri; né a rimescolare il tutto con la pedopornografia, la violenza sessuale, le droghe e gli sbudellamenti, condendo una macedonia splatterosissima con aggiunta aerea di una bella manciata di sale e pepe.

Ci si diverte, ma in modo contenuto. Si ghigna più che ridere e, se Heavy Bone non brilla per acume critico, i suoi avversari sono talmente deficienti da portarlo sempre ad avere la meglio su di loro, in modo quasi accidentale. Personalmente non vedevo tanta aggressività narrativa tricolore dai tempi di Andrea Pazienza, e Rizzi è bravo a nutrire le contraddizioni che albergano non dentro ai suoi personaggi, abbastanza schematici, ma in noi lettori: il suo Heavy Bone è un morto vivente e nel proprio stomaco si muovono due mostriciattoli famelici (Rock & Roll) che danno senso a una delle più sceme canzoni dei Motorhead; è brutto, putrido e cattivo, ma cazzo se il buon Enzo non riesce a rendercelo simpatico e ancora peggio, sensuale. I riferimenti alla sua supervirilità paradossale, visto che è un rifiuto carnale degli inferi, aumentano la nostra confusa attrazione/repulsione verso di lui, che tra uno squartamento e un pasteggio cannibalico non si fa mancare qualche pompino e una o due cavalcate verso Sodoma.
Sono diversi i disegnatori incaricati di mettere in immagini la fantasia audace di Rizzi e questo rende “Diabolus in Musica” piuttosto intrigante anziché pesare sulla resa complessiva della storia. Ogni autore riesce a tirar fuori aspetti dello zombie rockettaro sempre diversi ma coerenti con il personaggio stesso, fino a dare la sensazione di esplorare, a ogni cambio di mano, la sua natura color pece, vorace come una tenia e, comunque, irresistibile in ogni sua manifestazione violenta.
Il pregio più grande di questo fumetto poi è l’origine inequivocabile della sua estetica.

Se per il contenuto delle storie sembra di ascoltare i vaneggiamenti di un Lemmy sotto effetto allucinogeno dopo una gita forzata nel ranch di Charlie Manson, la rappresentazione è un sunto del meglio di decine e decine di copertine immortali che puntellano la storia del Metal. Dai dischi di Iron Maiden, Judas Priest, Motorhead, Manowar e Guns ‘N’ Roses, ogni vignetta potrebbe essere un’ideale artwork per una cover di un album. C’è l’eccesso grafico, doloroso, shockante e provocante di quelle creazioni, riprodotte nei diari, sugli zaini e ristampate sulle magliette o rattoppate sul jeans di centinaia di metallari che finalmente trovano un palco e un burattinaio in grado di renderle vive. C’è più storia del metal in questo “Diabolus in Musica” che in quella che Rizzi ha tentato di raccontare con il suo Heavy Bone – La storia del Metal in cui troviamo sempre il suo bel tocco, per carità, ma in un esperimento di fondo piuttosto sterile. Heavy Bone è tutto un altro paio di cazzi, perché il background del metallaro applicato all’originalità del personaggio e delle sue avventure fa vivere il nostro genere preferito non più dai solchi del vinile o dalle bocche ottuse di un amplificatore, ma dal bianco e nero di un genere che ha sempre saputo riproporre il linguaggio del rock molto meglio del cinema, persino in certe cose di Dylan Dog ai tempi in cui non si era ancora trasformato nella Fatebenefratelli S.r.l.
Poi, come non parteggiare per un demone che fa fuori quelle odiose, tronfie, sbavanti, etiliche entità profetiche di un bel nulla? Anzi, non gli perdoniamo di essersi lasciato sfuggire Lou Reed, Bono, Sting e troppi altri. Avremmo un lunghissimo elenco che tu, caro Rizzi, potresti far recapitare al tuo Mefistofele in decomposizione, ma sospettiamo sia deleterio per tutti e quindi ci tratteniamo, perché forse Heavy Bone, risparmiando gente come i fratelli Gallagher alle fiamme degli inferi, ha fatto un favore all’umanità. Altrimenti avremmo un anniversario in più da subire, con la liturgia linkeggiante di Facebook, You Tube e Twitter. Prendete Cobain, che nel mondo di Bone si chiama Cocain; quando era vivo potevamo tutti tirargli i colpi, prenderlo per il culo, detestarlo e disprezzare la sua musica e chi l’apprezzava, mentre oggi sembra di bestemmiare e rischiamo il linciaggio ad aprire una riserva su tutta la botulinica ammirazione necrofanatica verso i Nirvana, in questa alba di bimbiminkia conanti. Forse è per questo che Heavy Bone ormai si limita a uccidere dei pischelli in cerca di contratto, con le magliette dei Lacuna Coil, piuttosto che Axl Rose o Madonna: perché ha capito che la morte è una benedizione per il rock e le sue starlettine.
Il mondo ha solo bisogno di altri zombie da venerare e il rock è stato sempre una delle fabbriche più produttive.
(Francesco Ceccamea)