Due giorni fa ho portato mio nipote a vedere il suo primo concerto e forse anche il suo ultimo. Tra pochi giorni compie 18 anni e siccome ama la musica, ho deciso di fargli questo regalo. Con noi è venuta anche mia moglie (non nel senso dell’orgia); nonostante la gravidanza in corso e il suo odio per gli Arch Enemy (che l’ho appena scoperto, si pronuncia arcienemy e non arkenemi) l’ho trascinata con noi perché io non riesco più a guidare la macchina: sono ormai un maniaco depressivo di merda catapultato in bocca alla fine del mondo, come quasi tutti quelli della mia generazione. Oltre alla band di Mike Ammott c’erano diversi gruppetti a far da spalla e tra di essi una delle band italiane migliori in circolazione, gli Hour of Penance. O meglio, avrebbero dovuto esserci.
Parola di Paolo Pieri.
Noi tre siamo entrati lo stesso e nonostante la sensibile perdita di attrattiva nel bill della serata, il titolare del locale, oltre a glissare sulla domanda se fosse vero che gli Hour of Penance se ne erano andati, ha fatto pagare comunque il biglietto 30 euro, dandosi la zappa sulle palle, in maniera irreversibile, come poi spiegherò. Nessuno ha protestato, ovviamente, i metallari romani, sebbene molto minacciosi d’aspetto sono una manica di pecoroni con le borchie. Almeno i presenti che si lagnavano fuori dal pub e poi si arrendevano al prezzo del biglietto senza dire nulla.Le band che hanno suonato prima degli Arch Enemy non mi hanno entusiasmato. Tralascio di nominarle anche perché non ho la più pallida idea di chi diavolo siano, roba del sottobosco italiano, tra death, black, pajatacore.
Avrei fatto volentieri a meno di tutto quel casino che mi ha saturato le orecchie e le palle per circa tre quarti d’ora, con buona pace di tutti i presenti. Aboliamo i gruppi spalla, meglio preservare l’udito per l’unica band che abbiamo pagato per vedere, cazzo. Come andare in un ristorante e pagare per mangiare una pizza ma essere constretti a sorbire tre portate non gradite di antipasti insipidi che ti levano la fame e ti impediscono di goderti l’unica cosa che volevi mangiare davvero. Un’altra cosa che non sopporto dei concerti è che quando le band di supporto non ti infliggono la loro cazzo di utopia onirica, ci pensa il mixerista con un sottofondo di canzoni, quasi sempre metalcore e nu metal, lasciate a ruotare per l’aere, in attesa che il gruppo principale scenda da qualche pianeta fino alla tua umile realità.
Gli Arch Enemy, alle 23:40, ancora non si presentavano, ma tranne qualche fischiatina qua e là, il pubblico è rimasto pacioso, quieto e piuttosto lucido, perché il prezzo del biglietto (che non dava diritto a nessuna consumazione) gli ha impedito di abbeverarsi a suon di 5 e 7 euro per qualsiasi liquame scarsamente refrigerato. Il locale dell’esibizione avrebbe dovuto essere il Blackout, ma tutto è stato spostato in questo Jailbreak. Tra le tante cose incomprensibili, a parte la geometria dei bagni, comunque puliti, non ho capito il criterio di far suonare la prima band mentre la gente comprava ancora il biglietto. Il risultato è stato che il gruppo suonava mentre il pubblico pagava e nessuno se lo inculava. Una volta dentro ho provato pena per il Arch Enemy: suonare in una una ciofeca di posto, gestito da gente antipatica e indisponente, un covo per inutili cover band, con un pubblico presente di appena duecento persone; cazzo, un gruppo che finisce sulla copertina di Metal Hammer per ogni cacata che pubblica: che sia in DVD o in CD o in Laser fucking disk e poi si riduce a fare i sorci in quella topaia.
Siamo rimasti fino a oltre la mezzanotte ad aspettarli. La versione ufficiale è che nessuno era andato a prenderli. Angela (si pronuncia Anghela, è tedesca) appena è salita sul palco, ha specificato che non li hanno fatti mangiare, bere e lavare. E noi, mi è venuto di pensare, abbiamo pagato 30 euro per aspettarvi in piedi quattro ore come dei pezzenti! E poi io quando inizio la mia giornata lavorativa mica vengo rifocillato dal titolare, o no?! Povere Rockstar! Comunque è inutile girarci intorno. Il concerto è finito all’una e mezza. È stato bello, devo dire, ma dopo la prima parte della serata così schifosa, l’aspettativa della gente era davvero bassa. Scapocciavano tutti, ma più per il sonno che altro. Gli Arch Enemy dal vivo sono bravi. La Gossow, che dicono non abbia voce, aiutata da tutti gli effetti che volete, ha cantato fino alla fine senza andare in riserva. Il repertorio era quello degli ultimi detestabilissimi album, che però dal vivo rendono, visto che in ogni brano c’era il momento per alzare il pugnetto e fare eh eh eh eh eh eh eh eh. Ammott è sempre un fuoriclasse, con quel tocco carnoso, preciso, pastosissimo, anche se a guardarlo bene sembra il figlio nascosto di Gianfranco D’Angelo. Notate lo sguardo che rivolge alla gente e ditemi se non pare l’attore nostrano quando si arrapa nei film con Alvaro Vitali.
Ogni volta che lo sento soleggiare io chiudo gli occhi e vedo i Carcass. Ho una sorta di erezione mistica, poi li riapro e davanti c’è Anghela che mi ribadisce un solo inequivocabile concetto: io sono bioooooooondaaaaaa! Peccato per tutte quelle aperture melodiche melense dei chitarristi: è neoclassicismo d’accordo, scippato dal barocco italiano di Albinoni e co., ma sono arie che in Italia giusto Al Bano e Fausto Leali o Massimo Ranieri e Loretta Goggi, avrebbero ancora il coraggio di usare. Oppure gli Stratovarius. E il pubblico dei metallari non se n’è lasciato sfuggire uno di hooooooooo ed eeeeeeeeeh, fuori tempo, che sembrava di stare al concerto della cover band degli Iron Maiden.
Morale: Una volta, quando qualcuno raggiungeva la maggiore età, gli si offriva una scopata gratis, nella maggior parte dei casi la sua prima. Era una cosa tribale, gallistica, detestabile quanto si vuole ma compresa da tutti, incluse le prostitute. Oggi se io portassi mio nipote a scopare gratis, per i suoi diciotto anni, sarei giudicato malissimo da tutti, tranne che dalle prostitute e così ho preferito regalargli un concerto che ha visto praticamente dormendo.