Hanns Heinz Ewers, qualcuno l’ha mai sentito nominare? Eppure in molte antologie dell’orrore potete trovare i suoi racconti, sempre gli stessi, certo, ma parliamo di capolavori.
Lo scrittore tedesco vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 è stato tante cose: attore, filosofo, poeta, autore di canzoni popolari e probabilmente tra tutto lui non avrebbe immaginato di essere ricordato solo per i suoi racconti grotteschi, neri, crudeli e disgustosi, insomma per le sue incursioni nel genere horror. Stessa sorte capitata a tanti altri giganti del genere, in vita si erano dedicati a cose ben più nobili, ricorrendo alla letteratura fantastica come una specie di sfogo, un divertimento innocuo e invece è proprio da lì che si sono guadagnati l’immortalità. Vengono in mente Le Fanu, M.R. James ed Ewers, appunto.
Personaggio popolare in patria e anche nel resto d’Europa, oggi esiste solo per i cultori del genere horror. In Italia sono uscite poche cose e quasi tutte introvabili. L’antologia “Il Ragno e altri racconti del terrore” risale al 1972 per le Edizioni Del Bosco e averla significa partecipare a zuffe tremende su e-bay, pagare cifre imbarazzanti e sperare che il volume arrivi in condizioni decenti, non puzzolente di muffa, con i cerchi di caffè sulla copertina e magari tutte le pagine spiegazzate. Una volta letto però è impossibile dire che il libro renda giustizia alla memoria di Ewers. Se escludiamo due o tre degli otto racconti scelti, siamo di fronte a un modesto e insoddisfacente campionario di scritti minori.
“Il Ragno”, è l’unico vero capolavoro presente e resta sempre agghiacciante. Storia di un appartamento dove la gente si suicida e di una donna misteriosa che da una finestra del palazzo di fronte se ne sta di vedetta a menar di uncinetto. Inquietante e poetico, erotico e pregno di malvagità entomologica, questo piccolo spiffero sul regno delle tenebre ci fa correre più di un brivido lungo la schiena.
“La Mamaloi”, è un piccolo classico incentrato sul voodoo, dove è comunque interessante notare la totale mancanza di magia. L’incubo che porterà il protagonista anziano, ricco, pedofilo e assai cinico, non è opera degli dei venerati nel fitto dei boschi dalla popolazione locale, ma della loro credulità inarrestabile, sottovalutata dal vecchio infame fino alla più atroce delle conseguenze.
Spesso i protagonisti sono tedeschi residenti lontano dalla Germania, per lavoro, vezzo o pazzia.
A parte il caso de “Il ragno” colpisce la totale assenza dell’elemento soprannaturale. Tutto l’orrore è frutto della scienza, della follia umana, dell’arte e dell’ignoranza. Alcuni dei racconti non possiamo nemmeno definirli horror, come il terzo migliore dell’antologia “Il cuore trafitto”, storia dall’atmosfera più vicina al noir americano, con un caso di suicidio e il rifiuto insolito da parte delle autorità di offrire allo sventurato l’attenuante della follia, impedendo alla famiglia di seppellire il corpo in terra consacrata e con un rituale cristiano. La figlia, donna fatale che stregherà il protagonista fino a spingerlo a rovinarsi per sempre le mani, si ostinerà a portare la salma del padre, neanche troppo amato, in giro per il paese in cerca di un cimitero e di un prete disposto a dargli l’estrema unzione.
Altro elemento di Ewers è la prosa, che oscilla dall’eleganza di un grande autore europeo, alla prosaicità spicciola di uno scribacchino pulp americano. Un’ambivalenza immancabile in tutti gli otto racconti che desta qualche perplessità ma non guasta la lettura. Tutti i racconti sono incentrati sulla demonizzazione della donna, vista come elemento corruttore, portatore di sventura e rovina, regina di un reticolato narrativo imbevuto di erotismo piuttosto spinto e malsano che non è da considerarsi come un difetto, anzi. La forza generale di Ewers, come quella dei più grandi autori del soprannaturale è la loro determinazione a mettere piede dove gli altri non hanno il coraggio di andare a curiosare e questo coraggio o disperata curiosità, rendono i loro sforzi narrativi, selvaggi e indomabili ancora oggi, preservandoli in vita.
Ewers era convinto che il nostro universo fosse solo il sogno di un essere perverso e per quanto sia piuttosto melodrammatica ed estremista come visione, non posso negare una certa simpatia di fondo verso questo scrittore figlio del suo tempo, senza dubbio, ma come dimostrano le sue creazioni, anche avanti. Traduttore e grande estimatore delle opere di Edgar Allan Poe, amico del famigerato mago Aleister Crowley e amante degli scritti di Villiers de L’Isle-Adam, Ewers aspetta con la tenace fiducia di un Grande Antico, che venga dissepolto da qualche valente editore e ricondotto ai suoi lettori bisognosi del suo pregevole mangime per incubi.