FATAL REPORT – METAL CAMP 2009

– Senti qua, si monta in macchina sabato mattina e si va al Metal Camp, ok?

– Chi suona?
– Cazzo ne so? Quello che davvero conta è che si arriva nel primo pomeriggio e si beve birra a due euri ogni mezzo litro. Meno della metà di quello che costa qua da noi.
– Ok, mi hai convinto. A che ora?
Questa è, grossomodo, la conversazione tenuta da me e un conoscente qualche giorno prima che io assistessi al mio primo Metal Camp, nell’estate del 2009. 




Inizialmente il piano era di affittare un camper e andare a Wacken ma, dopo aver consultato google earth, ci rendemmo conto che il luogo non era esattamente al di là del confine e che avremmo dovuto guidare fino quasi in Danimarca. Così decidemmo di dirigergi altrove, verso una meta che non ci costringesse a squadrarci il culo sul sedile troppo a lungo. A oggi, il progetto Wacken non è ancora stato del tutto archiviato, d’accordo; il fatto è che io sono troppo pigro per organizzare il viaggio e, come si sa, la gente pigra tende a deambulare con i propri simili così non abbiamo più combinato un cazzo a riguardo. 



Ah, prima di proseguire, una doverosa considerazione: tutto ciò che si dice circa il fatto che chi non ha voglia di combinare un cazzo, tende a stare sulle spalle di chi invece si dà da fare nella vita, è solo un mucchio di inverosimili stronzate.
Chi ha voglia di fare e, più in generale, ha un progetto per la propria esistenza, tende a essere un/a gran rompicoglioni e nessuno ama stazionare nelle immediate vicinanze di certi figli di troia, ancora meno i pigri bastardi come me.
A pensarci bene, i pigri bastardi come me, hanno capito tutto nella vita.
Comunemente si dice che quelli a cui non scende il culo di fare una merda di niente senza che prima un montacarichi ci obblighi ad alzare le chiappe dal divano sono nient’altro che rifiuti della società ma, nella realtà dei fatti, il progresso del mondo avviene proprio grazie a noi.
Ogni miglioramento è avvenuto perché qualche pigro figlio di troia non aveva più voglia di fare qualcosa. Mi spiego meglio: perché alzarsi in piedi per cambiare canale quando c’era la pubblicità? Fanculo al mondo, meglio lessarsi le palle e imparare a memoria ogni signolo motivetto della reclame, dal tema dei Ferrero Rocher alla canzoncina dei Ringo Boys (Hey, vieni anche tu! Tu che non capisci un cazzo, vieni anche tu nei Rinco Boys!). È andata così finché uno stronzo nullafacente ha inventato il telecomando.

E lo stesso vale per internet, niente stronzate a base di rete di comunicazione militare e cagate del genere. Una volta, se volevamo spedire una lettera a qualcuno, eravamo obbligati a prendere un foglio di carta, cercare una penna, stare attenti a cosa si scriveva perché, in caso contrario, si era costretti a rifare tutto da capo, uscire per andare dal tabaccaio a comprare un francobollo e imbucare. Insomma: una gran rottura di coglioni. E per ottenere informazioni? Certo, c’erano le enciclopedie ma non erano comunque mai complete al 100%, così, se qualche insegnante rompicoglioni ci assegnava una ricerca su… boh… gli stracazzi di popoli che vivevano in Mesopotamia quattromila anni fa, era probabile che non avessimo niente in casa per ricavare le notizie che ci servivano. Così eravamo costretti a sfancularcene in biblioteca a consultare tomi, ricopiare a mano quello che ci serviva (perché le fotocopie costavano), tornare a casa e copiare nuovamente tutto in bella copia. Un’altra rottura di coglioni immane. In poche parole: anche internet esiste solo grazie ai pigri figli di troia come me che vogliono liberarsi della rotture di coglioni una volta per tutte. È proprio andata così, io lo so e voi lo sapete.

In ogni caso, stavo parlando di come il mio primo Metal Camp sia stato qualcosa di assolutamente irripetibile, l’esperienza bulla e spandona finale.


In pratica, cominciammo a bere ancora prima di partire: birretta alle undici di mattina, quindi salimmo in macchina in preda a un’euforica allegria e ci dirigemmo alla massima velocità consentita verso Tolmino.
Appena giunti sul luogo, ricordo che adocchiammo immediatamente alcuni garage di abitazioni private opportunamente trasformati in bettole appositamente per l’occasione. All’interno degli stessi era possibile gustare panini con la salsiccia e, guarda un po’, birra. Il tutto a un onestissimo prezzo.
Così ci concedemmo un po’ di fluidi con la scusa che faceva un caldo porco e avremmo dovuto spendere il resto della giornata all’aperto, sotto il sole di Luglio. Dopo un po’ ci incamminammo svogliatamente verso la zona concerti… in equilibrio precario e in preda ad ulteriore allegria euforica. Naturalmente, lungo il tragitto, alcuni di noi si fermarono ai bordi della stradina sterrata per svuotare le veschiche (come si sa, la birra è piena di vitamina p).

Ora, non ricordo chi stesse calcando le tavole del palco quando finalmente giungemmo nei pressi dello stesso, ma si trattava comunque di qualche bastardo sconosciuto che sferragliava alla cazzo, sperando di ottenere l’attenzione dei pochi convenuti sotto lo stage e riuscire a vendere almeno una decina di t-shirts confezionate a Shangai. Per quanto riguarda noi, ci dedicammo a tracannare altra Lasko pivo venduta a prezzi onestissimi.
Tutto secondo i piani, finché accadde l’irreparabile: decidemmo di abbandonare la zona del palco principale per dare un’occhiata a quanto accadeva nelle immediate vicinanze e ci imbattemmo in un chiosco gestito da un paio di fanciulle slovene molto decorative (in poche parole, non c’era uno solo di noi che si sarebbe tirato indietro qualora si fosse presentata l’occasione di far loro una dilatazione con raschiamento per mezzo di cazzo).
Le due si occupavano di commercializzare grappe aromatizzate con vari tipi di frutta e, un hicchierino dei loro nettari, costava solo un euro. Gente onesta, gli sloveni, hey!
Nel giro di nemmeno un quarto d’ora, osservavo con grande attenzione il cielo e, nonostante non fossero nemmeno le quattro del pomeriggio e il sole splendesse radioso, riuscivo a distinguere tutti i principali corpi celesti che adornano la Via Lattea.
Da quel momento in poi, tutto cominciò ad andare per il verso più giusto che si possa immaginare, niente di meglio al mondo, gente.
Cominciai a vagare nella zona retrostante il palco principale in preda a visioni mistiche, quindi riconobbi quella che sembrava una panchina e decisi che fosse il caso di accomodarmi sulla stessa per riflettere sulla vita e il senso della stessa.
Mentre stavo ponderando sulle modalità con le quali le parrucchiere si tagliano i capelli (da sole?), una creatura con i capelli rasta, un paio di piercings sulle labbra e un culo innegabilmente a norma iso9001, si accomodò vicino a me e cominciò a chiacchierare del più e del meno.
Incredibilmente mi resi conto di essere in grado di sostenere una conversazione in inglese nonostante il mio tasso alcolico si avvicinasse pericolosamente al livello “raduno degli alpini”.
Disse di essere svedese e di chiamarsi… ok, adesso non ricordo come cazzo si chiamasse ‘sta ztronza, ma era comunque uno di quei nomi nordici con finische con “ike”, tipo “Ulrike” o qualcosa del genere. Le dissi che, qualora le sfuggisse quello che dicevo, ciò era dovuto al fatto che avevo in corpo un bel po’ di sostanze alcoliche – ricordo anche la frase: “Mind you, I might sound as if I had a rock in my mouth, but that’s because a had a couple of drinks too many, ok?” – e lei sorrise come se avesse appena ascoltato la frase più divertente della sua vita.
Alla fine non me la sono scopata, nel caso qualcuno si chiedesse come è andata a finire.
In poche parole, dopo un po’, preso dalle elucubrazioni sul senso della vita, cominciai a chiedermi se per caso non ci fosse una lontana possibilità che questa primizia nord-europea desiderasse il mio spiedino dell’amore all’interno della sua crepa umida. Voglio dire: sorridere, sorrideva un sacco; in più era venuta LEI, di sua spontanea volontà, ad accomodarsi vicino a me. E aveva attaccato LEI bottone. insomma… qualsiasi bastardo eterosessuale là fuori farebbe uno più uno, no? Bon, proprio quando ero sul punto di chiederle se per lei fosse ok fare un giretto giù al boschetto nelle vicinanze delle sorgenti dell’Isonzo, si materializzò il suo fidanzato, anch’egli svedese e amichevole. “Fanculo la mia vita!”, pensai.

E fanculo anche a voi due!
Lui si accomodò sulla stessa panchina e disse che l’anno precedente era stato a Wacken, che era un casino infernale e che, alla fine dei conti, Tolmino era la soluzione ideale. Gli diedi ragione. Quello sorrise, mi diede una pacca sulla spalle e disse che sarebbe tornato subito. Si alzò e mi lasciò nuovamente solo assieme alla sua fidanzata rasta che ormai non popolava più il mio immaginario erotico. Dopo qualche minuto tornò reggendo tre bicchieroni di Lasko pivo in un modo che faceva supporre che avesse una certa dimestichezza con gli stessi.
Gente davvero molto amichevoli, ‘sti svedesi: ti offrono da bere dopo nemmeno due minuti che ti conoscono e senza nemmeno chiederti come ti chiami. Peccato che faccia un freddo bastardo da quelle parti, altrimenti uno come me potrebbe addirittura pensare di trasferirsi e tutto.
– “No, sul serio, sono pieno.” (“Seriously, you have no clue how loaded I am!”) ma il figlio di troia albino, da quell’orecchio, non ci sentiva proprio un cazzo, hey!
Insomma, se mi offri una birra, io mi sento obbligato a ricambiare, no? Così entrammo in un circolo viziosissimo e, nel giro di nemmeno un’ora, avevo in corpo tanto di quel liquido che cominciai a vedere cose che, in realtà, non stavano accadendo. Gli svedesi mi parlavano e ridevano. E ridevo anche io ma, a quel punto, avevo perso l’uso della favella per almeno l’ottanta percento.
Li salutai calorosamente, per quanto fosse possibile e mi alzai faticosamente per ricominciare a vagare senza meta.
Nonostante fossi letteralmente in orbita, cercavo in ogni caso di camminare con una parvenza di dignità, non volevo che la gente attorno a me si accorgesse che ero in condizioni più che pietose. Inoltre l’alchol mi aveva reso paranoico, guardavo con sospetto tutti coloro che avevano la barba troppo lunga e la corporatura troppo robusta e, in breve, mi convinsi che mi stessero seguiendo per derubarmi e addirittura violentarmi. Un vero e proprio inferno: non si può capire quanta gente del genere giri a un festival metal finché non ci vai: praticamente uno su due.

 

Decisi di tornare nella zona del main stage e cercare di recuperare un po’ della salute persa per strada. Sfortunatamente, lungo il tragitto, era necessario passare davanti al chiosco delle grappe con le due fighe slovene. E, porca troia, quelli con cui ero venuto a Tolmino stazionavano ancora nelle immediate vicinanze… ed erano ancora intenti a fracassarsi il fegato di grappa. Uno di loro, in particolar modo, dimostrava di essersi divertito un sacco: stava appoggiato con la schiena a un albero e sembrava che le foglie dello stesso rappresentassero per lui uno spettacolo irripetibile dato che il suo sguardo seguiva il movimento dei rami mossi dalla brezza estiva; ogni tanto cercava di cambiare posizione ma tutto ciò che riusciva a fare era abbracciare il tronco per non rovinare a terra.

Con un barlume di responsabilità, cercai di cambiare direzione.
“Brutto stronzo! Dove cazzo vai?”
Troppo tardi. Venni ancora una volta risucchiato in un turbine alcolico a base di grappe aromatizzate alla frutta. Raccontai della svedese che avrei voluto scopare e del suo fidanzato che era comparso dal nulla e delle altre birre che ero stato costretto a ingollarmi ma fu tutto inutile: prima ancora che riuscissi a terminare il mio resoconto biascicato, avevo già in mano un paio di bicchierini con fluidi di due diverse tonalità.
Le band continuavano a suonare e, di tanto in tanto, oltre al casino infernale che facevano, mi arrivava qualche “THANK YOU! WE LOVE YOU ALL! SEE YOU NEXT YEAR! GOODBYE!”. In sostanza, il tempo sembrava correre più velocemente del solito e noi ci stavamo perdendo tutti i concerti. Era chiaro che ormai, della musica, del mondo, della bomba atomica, del 21 Dicembre 2012, dei maya, di Roswell e di tutto il resto, non fregasse più una merda a nessuno di noi.
Mi allontanai ancora, questa volta nemmeno prendendomi la briga di fingere di essere sobrio: rotolavo sul terreno, cercavo di rialzarmi, facevo uno o due metri a quattro zampe, riuscivo in qualche modo a recupeare la posizione eretta, gamba destra davanti alla sinistra, gamba sinistra davanti alla destra, gamba destra davanti alla destra.. cioè no, ho sbagliato, muso a terra, un altro paio di metri rotolando e così via.
Quindi persi conoscenza.

Mi risvegliai qualche ora più tardi. Era notte fonda. Mi trovavo in macchina, sul sedile posteriore, con la faccia stampata contro il vetro del finestrino, un baratro nel cervello e un cavallo nero che cavalcava all’interno dello stesso. Avevo i vestiti bagnati e, sotto il culo, qualcuno aveva sistemato un asciugamano in modo che non bagnassi il sedile.
Mi raccontarono di avermi trovato con metà del corpo a mollo sulla spiaggia dell’Isonzo. Attorno a me c’era un gruppetto di metallari tedeschi, che dopo essersi divertiti a scattarmi foto e a ridere di me, erano piuttosto preoccupati e sul punto di chiamare un’ambulanza. I miei amici gli avevano spiegato che era solo una questione di tempo prima che tornassi in me e che un paio di giorni di tranquillità e un mal di testa che era tutto un programma avrebbero rimesso le cose al posto giusto.

Metal Camp. Festival internazionale con stelle internazionali del metal estremo e tutto quanto. Certamente, amico. Vieni a Tolmino e goditi la musica con responsabilità!

(Scassonio Rompiglioni)