SKELETONWITCH – LA STREGA AMA LA BIRRA

Questa simpatica comitiva di birraioli sono gli Skeletonwitch.
Ok, ne vogliamo parlare sul serio o ci limitiamo a nominare i sei o sette generi che riescono a mettere insieme in ogni disco e poi gli facciamo dei complimenti generici?
Il problema degli Skeletonwitch è che piacciono più o meno a tutti ma nessuno ha tempo per loro. Sì, sono fichi, sai mettono assieme il death svedese, il black sloveno, il thrash genovese e poi c’è una spruzzatina di Mercyful Fate e Motorhead e Venom e…
E cosa?
Niente, qui abbiamo finito.
Gli Skeletonwitch però sono molto di più che un altro nome da tenere a mente e sapete perché? Perché praticano una magia sottile: pur non evolvendosi mai, sembrano evolversi e, pur non migliorando tecnicamente, sembrano crescere ogni disco di più.
Va bene, la differenza tra il primo “At One With The Shadows” e l’ultimo “Forever Abomination” si nota, ma gli altri due lavori ufficiali che stanno nel mezzo (escludendo l’ep)si differenziano sì, ma senza fare un passo in avanti che è uno. Certo, vi diranno che Beyond The Permafrost

copertina molto doom

è melodico e malvagio rispetto a “Breathing The Fire”

Ecco, qui è tutto molto più fucking medol!

che invece pesta senza farsi domande fino a svenire di stanchezza. Dopo l’ascolto però, se vi chiedessero quali canzoni vi hanno colpito di più, vi ritrovereste a sorvolare quasi due ore di musica senza una risposta.

E l’ultimo, “Forever Abomination” invece è diverso?

qui invece sembra che il disegnatore abbia fuso le due copertine precedenti

Mah! In realtà, è come se avessero messo insieme Permafrost (oscuro) e Breathing… (brutale) cercando una via di mezzo. Andrei Bouzikov, l’autore della copertina, ha fatto lo stesso fondendo gli artwork dei due dischi precedenti e tirando fuori uno dei suoi lavori migliori in assoluto. Poi cazzo, bisogna riconoscere agli Skeleton che si fanno disegnare le copertine da un grande artista e lasciano quella schifezza di pornoshop a chi è meno fortunato.

Ma Forever Abomination è un lavoro più maturo?

Nì. Tecnicamente siamo sempre lì e creativamente pure. Canzoni di 4 minuti circa, cesellate fino allo snervo, prodotte con amore e competenza da Jack Endino ( giacchendino per gli amici) , che forse è diventato famoso anche per via del suo nome così facile da ricordare, testi che non dicono praticamente una ceppa, non raccontano storie, non comunicano altro che pallosissime visioni infernali o dolorose, senza l’estremismo delle band death e senza la follia pura del black. Una cosa vicina ai Venom di “Prime Evil” ma con la seriosità dei Mercyful Fate meno ispirati. In altre parole una roba abbastanza sciapa da non urtare la delicata sensibilità della signorina Demi Lovato, starletta della Disney, che ha ammesso di ascoltare gli Skeleton mentre fa ginnastica.

L’ha tweettato, sapete? Inutile dire che poi tanti bimbi candidi adoratori di Topolino e un sacco di pedofili sono andati a cliccare sul sito della band o si sono imbattuti in quel video irresistibile  (sapete, il video dei pupazzoni di pezza contro gli zombi: un incubo disneyano generato da un pedofilo e il cerchio si chiude).

In fondo sono queste cazzate che fanno il successo di una band e, infatti, gli Skeletonwitch vengono citati sempre più spesso nei thé delle cinque. E io ammetto di averli conosciuti con quel video pazzoide ed essermi innamorato di loro senza badare minamente alla canzone.

Il brutto però è che quel video è un caso isolato perché la band ci si è trovata in mezzo e non ha potuto far nulla per impedirne le riprese. Se guardate gli altri videoclip che hanno fatto si tratta di scontatissime esibizioni su sfondi apocalittici, oppure dal palco di qualche festival estivo. Che palle!Piatti come le loro canzoni.

Per gli Skeletonwitch infatti le canzoni sono una cosa assolutamente accessoria, ne hanno bisogno perché altrimenti non potrebbero fare il giro del mondo scolandosi così tanta birra da non ricordare dove cazzo sono stati e tanto meno dove sono ora. La nuova estetica metallica è questa. Ecco un’altra cosa che mi manda ai pazzi e allo stesso tempo mi conquista degli Skeleton: segmentando le canzoni ci si trovano cose davvero evocative, black freddissimo, tipo Capitan Findus perso tra i ghiacci del polo nord con tutti i suoi bambini in magliette e calzoni a maniche corte e l’espressione interdetta sempre più congelata. Altri pezzetti sono sul thrash darkettone, ma se guardi loro ecco che hai davanti dei puzzoni barbuti con l’attitudine sledge/southern/stoner che è tanto in voga in campo hard/metal. Musicalmente, a grandi tratti, sembrano i Cradle of Filth, soprattutto sull’ultimo albume anzi, fanno quello che ai COF non è mai riuscito, ovvero mantenere la componente poetica, decadente e algida degli Iron Maiden in versione black, su una struttura muscolare potente e scorreggiona come il thrash dei Kreator e degli Overkill.

Il bello è che gli Skeleton piacciono a quelli che odiano i Cradle, non dico stronzate. O meglio ne dico e ne dirò sempre, ma questa è vera. Provate a sentire il brano in apertura di Forever Abomination, “This Horryfing Force (The Desire To Kill) e ditemi se non sbaglio. Dimmu Borgir? Un po’ sì, ma cazzo se ricordano la band del nano malefico Filth! Forse la cosa che infastidisce chi non sopporta i COF è la melliflua retorica/erotica delle tenebre imbevute d’assenzio del signor Dani. Qui non c’è traccia di certa sulfurea prosopopea, si beve Jim Bean e si bada alla musica, cazzo. Gli Skeletonwitch puntano al sodo, senza moine o pose artistiche, anche se c’è chi ci ha suonato insieme e li ha trovati presuntuosi e antipatici ma, a noi, questo poco importa perché i loro dischi sono modesti e simpatici. Le canzoni non ci provano nemmeno a fare qualcosa di imprevisto, iniziano con un bel plettrato alternato black su una melodia alla Culture Club, poi tutto si ferma e giù a scapocciare con il thrash più birroso e poi ancoraci si ferma.

E poi si riparte con un’altra tirata neniosa blacknapoletana taaaaaraaaaaraaaaraaaaraaaaa (in fondo il principio sonoro del black è tecnicamente il mandolino napoletano) fino all’assolo che si appoggia su un giro rockerolle come piace ai Motorhead.
Il cantante, Chance Garnett, nel primo disco faceva solo la vocina black, dal secondo è passato al vocione alternandolo alla vocina, nel terzo fa più vocione che vocina, nel quarto fa più vocina che vocione. Quando fa la vocina però è migliorato, sembra Bobby Blitz Ellsworth con una raucedine bastarda senza pietà. Qualcuno ha detto che la sua è una voce da “strega cattiva” ma forse non conosce Bobby e poi vedere un barbone con il look da camionista “boro” che sghignazza e sfintera invocazioni al maligno mi pare poco credibile, dai. Non credete? Jill Janus è una strega, sia quando chiudo che quando apro gli occhi, ma Chance è solo uno che dovrebbe lavarsi più spesso.
Ma insomma, direte, è un’ora che ci scrivi sopra e non abbiamo ancora capito se ti piacciono questi Skeletonwitch!

Non sono male e continuo a sentire i loro dischi pur scivolandoci dentro. Non so voi ma mi succede questo: accendo e parte un bel giro iniziale che mi predispone bene e penso: “Ma dai questi Skeleton non sono male…”. Poi però ecco che inizio a pensare a qualcosa e mi ritrovo a fine canzone e a volte non è neanche quella con cui ho iniziato. Magari sono tre pezzi avanti. Mi succede la stessa cosa con gli Arch Enemy. A voi?

Comunque scommetto su di loro. “Erased And Forgotten” e soprattutto “The Infernal Resurrection”, entrambe nell’ultimo album, mi passano un dito sul cuoricino, anche se artisticamente non sono niente di più che due buoni singoli degli Arch Enemy (sempre loro). Prima o poi faranno un grande disco, innanzitutto perché ancora non ne hanno fatti (e che cazzo significa?)  e continuano a promettere di riuscirci; secondo perché iniziano a far soldi e con i soldi verrà anche la voglia di entrare in classifica e per entrare in classifica occorrerà una cazzo di melodia portante, cosa che al momento gli Skeleton non sanno proprio dove stia di casa ed è ciò che gli manca, uno scheletro pop alle loro composizioni patchwork. Sembrano tante caselline messe in fila che si aprono l’una sull’altra e all’ultima porta c’è il buio. In ogni casella nasce e muore un genere, senza soluzione di continuità. Non so se mi spiego. Se glielo fai notare loro fanno i sentimentali e ti dicono che, all’inizio, quando si sono messi in cerchio per la prima volta a comporre un pezzo, si sono detti: “Non importa cosa verrà fuori dalle nostre chitarre, l’importante è che ci piaccia”. Ecco io direi che per scrivere canzoni non basti solo questo, cari skeletri, perché io per esempio adoro le mie scorregge, ma dubito che piacciano a molti altri.
E per questo vi sprono, ragazzi: avanti, tutti vi stimano e si aspettano grandi cose da voi: Danzig, Anselmo, io… Non vorrete deluderci, spero!