Uno dei momenti in cui mi sono sentito così eccitato da pensare “Uh, muoio!” risale a molti anni fa, credo nel 1992. Non avevo ancora scoperto la masturbazione classica: l’eiaculazione per me era una cosa inimmaginabile, anche se da anni, qualche volta mi capitava di provare un grande, inesplicabile piacere, durante certi sogni in cui incontravo Diabolik, per via della sua tuta. Insomma, per darmi piacere tendevo a strofinarmi addosso a tutto e tutti, se ero certo di non essere visto.
Avevo una storia d’amore con la poltrona della sala, ma la tradivo ripetutamente con il mio cuscino tutte le notti da un paio di mesi; notti infuocate. Però era pur sempre un cuscino e la mia fantasia, per quanto fervida, doveva piegarsi alla soffice realtà. Volevo accrescere l’illusione ma come fare? Ci pensai su e infine decisi di registrare alla tv una voce femminile orgasmica e mettermela in cuffia, di notte, nel segreto della mia stanza, sprofondato nel buio. Non esisteva internet, Ipod, mp3 e cose varie. Dovevo registrare il brano filmico con un registratore grosso come una bibbia illustrata, da piazzare accanto alla Tele, far partire il film nel momento in cui una voce femminile gemeva e catturarlo su nastro. Non avevo fratelli maggiori e quindi non c’erano porno in casa. Riuscivo ad accontentarmi di molto meno però. Il problema numero uno era che avrei dovuto alzare un po’ il volume della televisione per beccare bene la voce dell’attrice, quindi mi serviva un pomeriggio in cui a casa non ci fosse stato nessuno.
Dopo lunghe e sudate meditazioni intorno alla mia videoteca, ridussi la scelta a tre film:

Suspiria, ovvero la risata di Elena Markos.
Carrie – Lo Sguardo Di Satana, per via dei sermoni orgasmici della madre di Carrie White.
Oppure Porcky’s 3 di cui ho già messo la locandina in bella mostra all’inizio del post.
Come avviene spesso in questi casi, siccome mi serviva libera, la dimora dei Ceccamea smise di esserlo. Prima mia madre si beccò uno dei suoi soliti megaraffreddori fuori stagione. Trascorse dieci giorni a letto e a causa di una tosse terribile rimaneva pure sveglia, quasi 22 ore al giorno. Poi toccò a mia sorella che litigò con la sua migliore amica e si rintanò tra le mura domestiche perché non aveva più nessuna con cui uscire. Infine, mio padre ricominciò a dipingere e si piazzò in sala con tutti i suoi colori e le sue tele. Insomma, stavo quasi per lasciar perdere, ma un pomeriggio, un bel pomeriggio di giugno, mia sorella fece pace con la sua amica, mio padre preferì riporre i pennelli e andarsene a passeggio con i suoi cani e alcune amiche passarono a trovare mia madre, che siccome era guarita decise di riceverle in giardino, dove avrebbero preso un caffé, mangiato pasticcini e sproloquiato sui cazzi di tutto il paese. In casa non c’era nessuno anche se mia madre o una delle sue amiche avrebbero potuto rientrare in qualsiasi momento per andare in bagno o per violentarmi – che volete, a 14 anni vivevo di simili illusioni fobiche ma adesso che ne ho 34 sono cambiato/e.
Indugiai parecchio a osservarle tra le fessure della persiana, nella mia cameretta, sempre più impaziente. Decisi comunque di rischiarmela: presi il registratore e lo piazzai vicino al televisore. Ricordo che questa azione semplicissima mi fece battere il cuore più forte; stavo facendo qualcosa di insano, di folle e se mi scoprivano sarei tornato dallo psicologo, come minimo.
Mi ci avevano già portato per una faccenda di collant che ora non voglio dire perché non c’è tempo e non ce n’era molto neanche allora, di tempo, dato che dovevo decidere ancora quale dei tre film avrei usato per il mio esperimento onanistico.
Sebbene il rantolo finale di Elena Markos mi stuzzicasse per via di una mia fantasia in cui possedevo una mia professoressa asmatica sul letto d’ospedale. Sebbene le uggiolose invettive della madre di Carrie White mi servissero per un’altra fantasia con una maestra di catechismo molto carina, altrettanto repressa sessualmente e con un ottimo gusto per i collant, alla fine optai per Porky’s 3 e la scena del “monastirio” dove i soliti porcellosi ragazzuoli, sempre più attempati e meno credibili, rimanevano incastrati nella casa di una professoressa e nascondendosi dietro le tende, la vedevano giocare “al frate e la puttana” con un altro professore. Lei faceva uno spogliarello e lui la supplicava di non tentarla, entrambi simulando un accento spagnolo maccheronico che aumentava di parecchio, per motivi inesplicabili, la mia eccitazione.
Non amavo la saga di Porky’s e il 3 era il più brutto di tutti, ma questa scena mi faceva arrapare tutte le volte che la guardavo. Era lei, Rose McVeigh, una specie di Sigourney Weaver di quarta categoria, alla quale i doppiatori farabutti diedero anche la stessa voce: quella di Ada Maria Serra Zanetti.
Il mio cuscino per la verità avrebbe avuto la voce di costei e tecnicamente sarebbe stato con Ada Maria che avrei avuto il mio amplesso e non con Rose, ma erano quisquilie. Non ci pensavo.
Rose McVeigh era una cougar, anche se nei primi anni ’90 questa definizione non esisteva. Nel film era un perfetto esemplare di fantasia erotica ceccameesca: professoressa sui quaranta, con ottimi gusti in fatto di calze, belle gambe sode, mora, voce neniosa e soprattutto un modo di ammiccare, gonfiando le guance e strizzando gli occhi che per ragioni ancora più cosmiche non saprò mai come mi mandi così tanto ai pazzi. Lo avrei ritrovato in una grandissima attrice porno tra le mie preferite, scovata in una delle tante scorribande masturbatorie da felice uomo sposato: Brandi Love.
Che donna meravigliosa Brandi, la pompinara più elegante, di classe, che possiate trovare su Tubegalore, credetemi. Interpreta sempre professoresse con ottimi gusti in fatto di collant e una laudevole propensione all’amplesso con i suoi studenti indifesi.
Ma torniamo a noi. Che schianto quella McVeigh durante la scena del “monastirio”. Misi la cassetta con le dita sudatissime, correndo ogni dieci secondi a guardare dalla finestra se mia madre e le sue amiche fossero sempre lì, tutte quante. Dopo cinque minuti avevo percorso un chilometro e mezzo circa a furia di fare avanti e indietro, ero sempre più sfiatato ma consapevole di una cosa: stavano bevendo parecchia acqua le signore di sotto, già avevano scolato una bottiglia in tre, quindi prima o poi una di loro si sarebbe alzata per andare in bagno. Avevo poco tempo. Chiusi le finestre nonostante il caldo notevole e alzai il volume della tv al massimo, pregando che non arrivassero a sentirlo in giardino. Feci partire il film a quel punto e spinsi play e rec sul registratore e…
…quella scena, rivista in condizioni così clandestine e di rapina mi portò a un livello di eccitazione tale che smisi di correre, mi appoggiai alla spalliera della poltrona e iniziai a farci l’amore abbandonandomi come non avevo mai fatto prima. Tremavocosì tanto che non riuscivo quasi a tendere i muscoli delle gambe e intanto sussurravo parole impossibili a denti stretti, roba metà spagnola e metà Chtulhu, mentre la McVeigh, con le sue meravigliose mutandone nere, così ben aderenti sulle chiappe sode, si strofinava addosso alla coscia del disgustoso professore unto e bavone che interpretava in maniera davvero convincente un frate in crisi mistico-erogena. La voce della Zanetti faceva gemiti rapidi e famelici di un cagnolino e poi sprofondava in un gorgo baritonale che mi portava al soffocamento erotico. Non dissi “Uh!Muoio” ma era proprio così: non avevo mai toccato un simile livello di eccitazione. Quando finì resistetti alla tentazione di mandarlo di nuovo, anche perché mia nonna era entrata nella stanza. Sì, mi ero dimenticato di menzionarla, c’era una nonna in casa, sorda e indifferente come un fachiro in stagione meditativa ma sempre viva e olezzante; con lei presente sarebbe stato impossibile ripetere l’esperienza. Poco dopo mia madre salì a prendere non ricordo cosa e si stupì di trovare tutte le finestre chiuse e la poltrona della sala spostata di qualche metro. Io le dissi che per me non era così caldo e che avevo bisogno di avvicinare la poltrona alla tv altrimenti non vedevo bene. Mi ci volle un altro po’ per convincerla che non avevo bisogno di andare da un oculista. Non mi importava niente, avevo la registrazione e io e il mio cuscino ci saremmo finalmente goduti una serata di caliente, spossante, sessualità… all’insaputa della poltrona, ovvio.
Inutile dire che non fu granché. Mi mancavano le immagini, il senso di pericolo imminente, l’adrenalina a vagoni che tutto l’insieme mi avevadato. Ancora oggi, la scena del “monastirio” è tra le mie preferite, comunque. Oltre a farmelo venir duro mi riempie di malinconia, quasi come un vecchio poster di Loredana Romito o dell’Inter dei record.