C’è un momento, nel live Killadelphia, in cui Randy Blythe si rivolge al pubblico dicendo (più o meno): “Finalmente quella merda del nu metal si è tolta dai coglioni e il vero metal sta ritornando! Forza, gridiamolo tutti insieme, evviva il vero metal!” Il pubblico risponde con 94 minuti di applausi. Era il 2005 e Randy stava semplicemente affermando una verità: il nu metal era ormai sparito e una nuova generazione di metal band poteva adesso reclamare il proprio spazio dopo anni passati nell’ombra.
Una generazione di band che comprendeva, oltre ai Lamb Of God, pure nomi come God Forbid, Shadows Fall, DevilDriver, Unearth e molti altri; alcuni come i Killswitch Engage hanno dato luce al fenomeno del cosiddetto metalcore che non ci interessa analizzare manco per il cazzo, o almeno non adesso; altri hanno portato acqua fresca al vecchio albero del metallone nudo e crudo, allungandogli la vita. E in questo, ben pochi si sono dimostrati talentuosi e dedicati alla causa come i Lamb Of God, in una carriera che ormai va avanti da quindici anni e che, almeno in patria, li ha portati a essere un vero e proprio vessillo del metal tutto.
Una generazione di band che comprendeva, oltre ai Lamb Of God, pure nomi come God Forbid, Shadows Fall, DevilDriver, Unearth e molti altri; alcuni come i Killswitch Engage hanno dato luce al fenomeno del cosiddetto metalcore che non ci interessa analizzare manco per il cazzo, o almeno non adesso; altri hanno portato acqua fresca al vecchio albero del metallone nudo e crudo, allungandogli la vita. E in questo, ben pochi si sono dimostrati talentuosi e dedicati alla causa come i Lamb Of God, in una carriera che ormai va avanti da quindici anni e che, almeno in patria, li ha portati a essere un vero e proprio vessillo del metal tutto.
La loro storia non potrebbe essere più classica: i cinque membri della band provengono tutti dall’underground estremo americano degli anni 90 e si uniscono inizialmente sotto il nome “Burn The Priest”. L’album omonimo esce nel 1998, prodotto da Steve Austin dei “Today Is The Day”. E’ un disco ancora grezzo che comunque presenta già le tracce distintive dello stile dei LOG. Alcuni lo descrissero come “i Pantera versione Relapse”: in effetti in quei quaranta minuti scarsi di furore ultracompresso troviamo l’influenza dei Pantera filtrata attraverso grindcore e death metal, con canzoni contorte che utilizzano tutto l’armamentario messo a punto in anni di estremismo sonoro. La stessa cosa viene riproposta, con più controllo e suoni ancora grezzissimi (batteria in particolare) su New American Gospel, primo album a nome Lamb Of God uscito su Prosthetic due anni dopo. Sound sempre sporco, brani più lunghi e soffocanti che impiegano alla perfezione rallentamenti sludge, sfuriate grind, impossibili sequenze con riff e ritmi fra Meshuggah e Morbid Angel, una vaga melodia negli assoli. Un lavoro che esprime malessere e disagio in maniera molto sentita ed efficace; la rabbia e la foga sono quelle tipiche dell’hardcore, del resto Randy Blythe proviene proprio da lì.
Sul palco i cinque danno il 120% e anche di più, e sarà questo il modo con cui riusciranno a costruirsi un seguito fedele: suonare, suonare e suonare al massimo delle proprie possibilità, in tutti i posti e in tutte le condizioni possibili e immaginabili, dal piccolo club sperduto nel midwest al palco secondario dell’OzzFest, da headliner e di supporto agli Slayer di turno.
Sul palco i cinque danno il 120% e anche di più, e sarà questo il modo con cui riusciranno a costruirsi un seguito fedele: suonare, suonare e suonare al massimo delle proprie possibilità, in tutti i posti e in tutte le condizioni possibili e immaginabili, dal piccolo club sperduto nel midwest al palco secondario dell’OzzFest, da headliner e di supporto agli Slayer di turno.
Coi bellissimi “As The Palaces Burn” (2003) e “Ashes Of The Wake” (2004) i Lamb Of God limano le imperfezioni e si trasformano in un letale Terminator. Soprattutto, diventa chiaro il loro ruolo: sono la band capace di riassumere e sintetizzare al meglio tutte le filiazioni dell’albero dell’estremismo metallico degli anni 80 e 90, a partire dal thrash (Slayer, Exodus, Testament) passando poi per death, grind, sludge, il post-thrash dei Pantera e, per finire, il martellìo cyber dei Fear Factory e i poliritmi mostruosi dei Meshuggah. C’è tutto, perché i LOG se lo possono permettere: maneggiano le armi alla perfezione e ci posso fare delle combo che neanche Kratos.
Kratos picchia il minotauro a suon di death/thrash/math/sludge/crappo |
Perché sì, insomma, un conto è impilare riff e mitragliate un po’ così come capita, perché tutto fa brodo e tutto pesta, un conto scrivere vere e proprie canzoni, ora molto più immediate ed efficaci rispetto a quelle di New American Gospel: il muro di suono è compatto e chirurgico, le strutture anche se complesse sono più dirette e la grande varietà di riff non disorienta. Pure il ringhio di Blythe scandisce bene le linee vocali e i ritornelli hanno una loro brutale orecchiabilità, mentre alle chitarre spetta il compito di iniettare melodia in forma di armonie epiche e assoli un po’ cantabili. Viene anche messo a punto, in via definitiva, quel breakdown che tanti gruppi invece usano completamente a cazzo: l’estremizzazione del vecchio mosh sulla scia dell’insegnamento dei Pantera di “Far Beyond Driven” e dei suoi groove spezzati dalla pesantezza mostruosa (vedi “Throes Of Rejection” o “Slaughtered”). Canzoni come Ruin sono la perfezione fatta metallo, e se due dischi di fila mantengono le aspettative, suona oggi e suona domani le quotazioni crescono. Non a caso, da Ashes Of The Wake in poi i nostri si accasano con la Epic/Sony. Le mosse successive vedono i Lamb Of God capaci di aggiornarsi quanto basta per risultare sempre freschi senza perdere allo stesso tempo la proverbiale ferocia. Album eccellenti come “Sacrament” (2006), Wrath (2009) e l’ultimo Resolution (2012) mostrano uno stato di forma invidiabilissimo. Entra in gioco una maggior componente heavy classico, le chitarre maestose di Walk With Me In Hell ricordano quasi i Queensryche, Blythe canta sempre meglio e può permettersi ritornelli a presa rapida che prima, probabilmente, non gli sarebbero mai riusciti. Compaiono pure riff dal retrogusto blues, brevi interludi acustici, groove hard rock che danno prova di come i Lamb Of God vogliano guardare avanti in maniera prudente. Nell’ultimo album c’è perfino un brano orchestrato con una melodia stile Alice In Chains, che funziona e pure molto meglio di tutto il merdame powersinfonico messo insieme!
A livello di testi, vengono affrontati una serie di argomenti –religione, guerra, politica, miseria umana- con uno sguardo crudo e disincantato, sempre provocatorio. Randy Blythe del resto è un personaggio polemico tanto amato quanto detestato per la sua tendenza a dire la sua spesso e volentieri, un po’ come se Dave Mustaine, fra un orecchio e l’altro, avesse un cervello anziché la segatura. E’ nota la brutta vicenda giudiziaria in cui il cantante è incappato quest’anno, ovvero l’accusa per l’omicidio colposo di un fan durante un concerto del 2010 in Repubblica Ceca. Non entro nei particolari di una questione ancora da chiarire, ma la uso come prova del fatto che, salvo a pochi giovincelli, in Italia a nessuno frega un cazzo dei Lamb Of God, che infatti suonano al Gods alle 14 o da headliner al Velvet di Rimini, se gli va bene. I metalkid nostrani si sono limitati a sputare su Blythe ché di sicuro è colpevole e stronzo. Del resto, il metal da noi non ha alcuna speranza di uscir vivo dagli Iron Maiden. I LOG, metallo purissimo a 24k, sono curiosamente rubricati da molti nell’alternative/nu/metalcore. Si capisce: se esci negli anni del metalcore e non suoni come i Gamma Ray, sei metalcore. Cinque anni prima saresti stato nu metal. Altri cinque, grunge. Personalmente, sono contento che questa band esista e abbia pure successo. Con loro, il metal è in mani buonissime e capaci, e chi non è d’accordo si piglia un sacco di kartoni rotanti.