SKELETONS IN THE CLOSET – I dischi più imbarazzanti della storia del Metal (prima parte)

Da un’idea di Matteo Di Leo

 Ogni Band che abbia alle spalle una lunga carriera fatta di successi e incoronazioni finisce per commettere qualche passo falso.
 Tutti i più grandi nomi devono pentirsi di qualche cosa, che sia un accozzaglia di cover, una b-side troppo sperimentale, un  infelice tentativo di cambiar genere per motivi commerciali. Di solito sia i fan che le band non ne parla volentieri, come una caduta momentanea di una splendida storia d’amore si tende a fingere che non sia mai accaduta. E nessun giornalista ha il coraggio di domandare, durante le interviste al gruppo illustre, cosa cacchio gli abbia detto il cervello quella volta che licenziarono un prodotto tanto scadente, scemo, falso, ridicoloSi sbandiera un’integrità e una forza compositiva sempre impeccabili, si cerca di nascondere l’imbarazzante episodio con glissate ipocrite o battute furbe, lasciando gli scheletri nel fondo dell’armadio. Noi abbiamo deciso di tirarne fuori qualcuno.
Sono dischi che magari voi amate tantissimo, proprio come i figli sfortunati su cui si tende a riversare un amore spropositato. Magari dovremo vedercela con la vostra furia per averli scelti ma correremo il rischio. Mettetevi comodi e affrontate con noi alcuni dei titoli tabù della storia del metal. 


“Cold Lake” – Celtic Frost
 Se non parlo bene io di questo disco non può farlo nessuno, credetemi. Distrutto dalla stampa specializzata, ridicolizzato dai fans, ripudiato dalla stessa band, Cold Lake (1988) è praticamente il figlio della colpa. L’album che i Celtic Frost non avrebbero mai dovuto fare, “The Thing That Shoud Not Be. Vedere il look della band nel retro copertina fa gelare il sangue nelle vene, soprattutto se si pensa all’attitudine ritratta invece sulle copertine di Morbid Tales (1984) e Emperor’s Return (1985), recuperata poi nel trucissimo e nichilista “Monotheist”. Nessuno era pronto, in quel 1988, ad accettare un disco simile dai Celtic Frost… all’epoca i nostri dichiaravano ingenuamente che Cold Lake era solo la loro interpretazione del filone glam /hard rock, sempre e comunque in chiave Celtic Frost, ovvero sperimentazione e avanguardismo. Anni dopo invece dichiareranno tristemente di vergognarsi di quanto prodotto. Se però prendete per un attimo i vostriborchiatissimi paraocchi foderati di prosciutto e cemento, e magari li buttate coraggiosamente nel cesso, scoprirete che, nonostante il monicker che campeggia sul disco, Cold Lake contiene delle ottime canzoni! Porca paletta, ma come si fa a dire che Seduce Me Tonight, Cherry Orchards, Juices Like Wine, Downtown Hanoi, non siano grandiose! La maggior parte delle risposte salaci dicono: insomma, i Celtic Frost non dovevano realizzare un album così, non era da loro”. Bello o brutto che sia, la sua reale valenza intrinseca non è quasi neppure presa in considerazione. E poi non ho mai capito perché se una band spinge la propria ricerca musicale verso lidi più estremi, allora è geniale, se lo fa alleggerendo il sound, allora vende il culo. Bel ragionamento del piffero, questo è pregiudizio bello e buono. A mio modesto parere Cold Lake è solo l’ennesimo ottimo e sorprendente disco nella carriera dei Celtic Frost.
(Marco Benbow)

 
Jugulator” – Judas Priest
 Ecco i Judas Priest, a sette anni dall’ultimo disco,in un panorama musicale completamente cambiato e senza Rob Halford LA voce metallica per antonomasia”: col senno di poi nessuno scommetterebbe una lira su Jugulator, che infatti, nel tentativo di intercettare le orecchie di quel giovane pubblico metal formatosi su Pantera, Machine Head e Slayer, fa il famoso passo più lungo della gamba. Eppure in questo album possiamo sentire i venerabili del metallo magari non troppo lucidi, d’accordo, ma almeno ancora affamati e, forse per l’ultima volta, davvero vivi. Per non parlare della maestosa ugola di Ripper Owens! Quattro canzoni (la ferocissima title track, la maligna “Burn In Hell”, le esplosioni a catena di “Bullet Train” e l’epica “Cathedral Spires”) sono credibili aggiornamenti post-thrash del suono Priest e meriterebbero maggior considerazione. 

(Zorba il Greco)

“Fight For The Rock” – Savatage
Fight For The Rock dei Savatage è una merda. È una merda sia per chi come me a casa ha una statua di Buddha con la faccia di Jon Oliva (ma solo la faccia dato che il corpo è pressoché uguale) che venera da anni, ed è una merda pure per i Savatage stessi! Ma Fight For The Rock dei Savatage è anche la prova che negli anni ‘80 la lacca per capelli non guardava in faccia a nessuno, nemmeno a uno dei gruppi heavy metal tra i migliori di sempre. Hai composto Sirens? Power Of The Night? Metal cupo, ricercato, pomposo, ruvido? Beh la lacca arrivava fluttuosa a gonfiare i tuoi capelli e ti faceva cagare fuori dal vaso obbligandoti a comporre roba per gente con i pantaloni zebrati elasticizzati! Rivedendo la discografia dei Savatage, quello che sono riusciti a comporre e quello che mio figlio sarà obbligato a conoscere a memoria se davvero ci terrà a cenare con me la sera, riascoltare l’unico passo falso della band fa un pò sorridere, a loro dopotutto si perdona qualsiasi cosa, ma alla lacca per capelli…
(Frank)
 

I Hear Black” – Overkill
Destino sfortunato quello degli Overkille, come si sa, la sfiga è piena di ironia. I Hear Black resta da sempre il loro disco più venduto e meno apprezzato. Bistrattato da tutti, ormai anche la band ha smesso di prenderne le difese. L’aspetto intollerabile però non è il corollario di composizioni mediocri sorrette comunque da una buonissima produzione, quanto il tradimento simbolico che questo lavoro rappresenta. Gli Overkill infatti abbandonarono i credenti del thrash  nel momento di maggior bisogno, il 1993, quando nessuno lo suonava più. Fu un errore imperdonabile che portò il gruppo alle soglie dello scioglimento. Di tutti quei brani sciagurati segnaliamo solo “Dreaming In Columbian”, angosciosa tirata moralistica sul traffico di droga, con uno sguardo bricconcello ai Sepultura più tribali e impegnati e “Shades Of Grey”, una ballad depressa e arresa al fetore mortale della vita che solo Peter Steeleavrebbe potuto interpretare in modo davvero credibile. 
(Francesco Ceccamea)
(Fine della prima parte)