L’ARTE? ROBA PER BAMBINI!

Quante volte vi è capitato di vedere un’opera d’arte e dubitare che lo fosse sul serio? Mirò per esempio. 


Lo guardi e pensi, ma questo sembra fatto da un bambino! Vero, ma se ci pensate bene, chi è più artista di un bambino? Gli adulti che si cimentano nell’arte non fanno altro che tentare di tornare a essere quei visionari sfrenati, quegli idealisti patologici che erano da bimbi. I bambini hanno un disperato bisogno di comunicare e tutti intorno a loro non chiedono altro che di capire cosa vogliono, cosa sentono, cosa vedono, di cosa hanno bisogno. Una cosa fondamentale perché da questo dipende la loro sopravvivenza. I genitori, le maestre all’asilo, tutti tendono a dare al piccolo la possibilità di esprimersi, di farlo con i pastelli, la cartapesta, la musica. Così ecco che disegnano, colorano i muri, fanno un gran casino finché papà e mamma non iniziano a reprimerli credendo con questo di aiutarli a crescere e farli diventare degli adulti equilibrati, integrabili nel tessuto sociale utopistico che un adulto concepisce quando diventa genitore e solo in quella condizione di guida giuridico-sentimentale. Ma torniamo a Mirò. 



Lui usava non solo i colori, metteva sulla tela anche dei pezzi di cartone, conchiglie, del materiale estraneo e la cosa piacque a tante persone. Compose delle sculture fatte con vari oggetti e uno dei suoi più famosi mette davvero a dura prova la fiducia di chi crede di vedere l’arte anche quando non c’è la bravura tecnica, il virtuosismo  straordinario a testimoniarlo. 
Prendete uno come Kurt Cobain



 e uno come Malmsteen…


…il primo non sapeva suonare la chitarra, non sapeva scrivere correttamente la musica, non sapeva nemmeno eseguire bene le sue partiture (chiamiamole così)  ma è riuscito a scrivere una delle canzoni più importanti degli ultimi vent’anni, inventando un genere diverso, un’attitudine nuova e chiudendo in bellezza con un bel suicidio che gli ha dato la patente di mito assoluto. 
Malmsteen invece è un talento spaventoso con la chitarra ma dal 1983 non ha praticamente mai fatto progressioni, anzi. Si è imbolsito e irrancidito, sia nel corpo che nella tecnica, sempre iper-veloce ma sterile e per nulla ispirata. Non vorrei sminuirlo troppo agli occhi dei suoi tantissimi adoratori ma in fondo lui fu da principio e per sempre un’evoluzione estrema del discorso di Blackmoore e Jon Lord (aristocratico barocco elettrificato), mescolato al paganesimo furente ed elettrico di Jimi Hendrix. Forse, non potendo andare più veloce avrebbe dovuto rallentare, cambiar genere ma ha sempre e solo continuato a correre e correre e correre; e mentre la sua tecnica raggiungeva velocità da record olimpionico, nel fisico si appensantiva e deteriorava sempre di più. Cobain rispetto a Malmsteen era un semianalfabeta musicale mentre lo svedese rimane un magnifico esemplare di “paganinismo” esasperato. Entrambi hanno però un elemento che li accomuna: un contatto diretto con l’infanzia che ha portato il primo a scrivere alcune delle nenie più selvagge e salvifiche del moderno rock, mentre l’altro a ingozzarsi di caramelle e cercare di mostrare a tutti che lui è sempre il più veloce, anche con tutti quei chili sulle dita salsicciose. 



Quando nel secolo scorso l’arte è diventata quella cosa fatta di stronzi d’artista e cessi nei musei, tutto è diventato talmente complicato che la gente normale si è ricoverata sotto l’ascella protettrice di Alberto Sordi e ha lasciato simili astruserie a chi aveva il tempo e i soldi per dedicarvisi. Picasso andava nelle discariche e recuperava un sacco di oggetti dimenticati sovrapponendoli e dandogli un titolo, qualcuno li comprava spendendo così tanti soldi che ci si poteva mandare avanti una famiglia pasoliniana per una ventina d’anni. Mirò imbrattava le sue tele di righe, pallini e impronte delle sue mani e arrivavano i ricconi determinati a pagare qualsiasi cifra per poterle sfoggiare nei loro salotti. Ora, nessuno dice che uno sgarro sulla tela non sia arte, lo è se chi l’ha fatto aveva qualcosa da dire e il solo modo di dirla era tagliare una tela con un coltello da cucina o tirare un paio di secchi di colori su un muro, ma spacciare ogni commistione di materia e pensiero come arte può costringere un critico a crederla tale anche se non lo è nell’intenzione degli artefici che magari sono solo due zuzzurelloni che vogliono dimostrare al mondo che la critica è cretina quanto i miliardari che gli danno retta e impoveriscono dietro a ogni sbroda di un Mirò furbacchione. 

sì, a volte vi ho presi per il culo, ma solo quando ve lo meritavate!


Se escludiamo la tecnica come cartina al tornasole della vera arte, ci smarriamo quasi tutti e la possibilità di essere ingannati è altissima, se ci dobbiamo anche mettere dei soldi. Il critico è libero di vedere arte in qualsiasi cosa, crearne egli stesso dove non ce né. Per esempio un film con Lino Banfi e Alvaro Vitali può diventare un ritratto fedele di un periodo storico e una profonda disamina sulla “donna oggetto” nella società contemporanea e soprattutto il grido liberatorio del gallo interrotto da un rutto nel finale, anche se questo non era nelle intenzioni del regista e tanto meno degli attori che volevano solo mangiare. Ciò non toglie che il film sia comunque pregno di quel significato e che non lo sia affatto. L’arte è quando la vediamo, e soprattutto dove la vediamo. Non quanto la paghiamo e tanto meno quando la paghiamo, questo è persino banale, ma il mondo non ci pensa quasi mai. 
I ricconi sono disposti a spendere un sacco di soldi per averla in casa, pagano per ciò che non capiscono, tentano di colmare il vuoto mentale e culturale con l’unica cosa che posseggono, i soldi, e inevitabilmente si rendono ridicoli. Gente ignorante si aggira per dei musei che esibiscono manichini rotti e spazzole da sciacquone e fingono di non pensare al prezzo di una cena che hanno sborsato per non sentirsi dei banali caproni in giro per i centri commerciali, almeno per una domenica. Mirò fu fortunato perché fece cose che in un altro tempo la gente avrebbe giudicato folli e invece trovò credito e ammirazione da tante persone. Nacque al momento giusto. Van Gogh invece arrivò in un momento sbagliato e fu giudicato un matto (ci si mise anche lui con quel dannato orecchio, è vero) ma oggi produce miliardi da sdraiato nella fossa, ed è un genio… che era anche un matto, ma pazienza. Un adulto che imbratta i muri di casa è un pazzo perché fa cose che farebbe solo un bambino, oppure è un grandissimo artista, dipende cosa dice la critica patinata degli inserti domenicali e quanti soldi ci vogliono per fargliela dire. 
Sta di fatto comunque che il vero grande artista fa cose che saprebbe fare un bambino, è esatto, anche se quasi sempre il bambino le saprebbe fare meglio.  
(Francesco Ceccamea)