MANOWAR – Warriors Of The World
Ci sono dischi che le band stesse non avrebbero mai voluto far uscire. Ci sono produzioni che il pubblico non avrebbe mai voluto ascoltare. Ci sono album che la critica ha smerdato all’inizio per poi rivenderseli come capolavori e, viceversa, “capolavori” riconosciuti come merdate solo con il senno di poi.
Ho pensato a lungo ad un album come questi da proporvi ma mi venivano i mente robe scontatissime tipo “Load”, “Reload” e “St.Anger” dei Metallica, per non parlare di “Lulù”; mi è tornato alla memoria quella boiata di “Heavy Metal Juke Box” degli Halloween, o l‘attesissimo “Chinese Democracy” dei G’n’R. MI sono girati in testa nomi come Stratovarius, Sonata Arctica, Gamma Ray di cui non ho saputo scegliere un album.
Alla fine ho pensato ai Manowar. Loro non hanno scheletri nell’armadio. Loro adorano tutta la loro produzione. Il giornalettismo metal osanna tutte le loro uscite. I loro fans credono in ogni loro scoreggia messa su traccia audio. I Menouor non hanno ritegno. Sì, potremmo parlare di “Warriors of the World”, l’album che avrebbe dovuto segnare la rinascita dei Kings of Metal. Ma i Manowar non se ne vergognano, i fanzi lo adorano, la stampa lo osanna e io non ho il coraggio di parlarne male, pena l’ira funesta di Odino e di tutto il Valhallah. L’ho ascoltato tante volte questo album e forse lo scheletro nell’armadio è il mio, visto che non ho il coraggio di ammettere che tante volte ho cantato queste canzoni a squarciagola, in attesa che scattasse il verde a quel cazzo di semaforo infinito. Sì, pure “Nessun Dorma” e pure “An American Trilogy” nonostante il mio antiamericanismo. Perché a me, i Menowor, me piacieno.
(Mara Cappelletto Ceccamea)
Tygers Of Pan Tang “The Cage”
Può una band all’apice del successo realizzare un grandissimo disco, non essere compresa, e sfasciarsi subito dopo? Si, è accaduto ai Tygers Of Pan Tang. “Wild Cat” (1980), “Spellbound” (1981) e “Crazy Nights” (1982) avevano fatto faville creando tantissimi consensi attorno ai felini di Whitley Bay (provincia di Pan Tang naturalmente!). Con “The Cage” (1982) le carte si scombinarono, le pressioni della MCA erano divenute insostenibili, la band doveva esplodere commercialmente, e contestualmente i dissidi in seno alla formazione non tardarono ad arrivare. John Sykes lasciò per i Thin Lizzy, e subentrò il dotato Fred Purser, abile anche con le keyboards. La produzione cambiò parecchio il sound nwobhm dei Tygers, spingendo verso lidi più morbidi e americani (senza per questo trasformare le Tigri nei Creedence Clearwater Revival). Weir sopportava a malapena quello che stava accadendo, e dopo “The Cage” (e tutte le aspre critiche piovute sul gruppo), se ne andò per conto suo, lasciando i compagni alle prese col pessimo “The Wreck-Age” (1985) ed altre mini rivoluzioni in line-up. “The Cage” non meritava neanche mezza delle critiche ricevute (sebbene a livello commerciale si difese con le unghie e con i denti). Il songwriting contenuto nei solchi è di primissima categoria. Non era più tempo di altre “Euthanasia” o “Gangland”, ma ugualmente i brani composti per la svolta più “mainstream” dei Tygers (fa un po’ ridere oggi questa definizione) asfaltavano il 100% della produzione in circolazione. Un album di una eleganza e di una classe senza eguali, con autentiche super perle inestimabili come “Rendezvous”, “Letter From L.A.”, “Paris By Air”, “Tides”, “You Always See What You Want To See”. A mio parere, nulla di meno di un capolavoro.
(Marco Benbow)
Anthrax – State Of Euphoria |
Un rapido precipizio, ispirazione ormai in secca. Le canzoni inedite sono tutte fiacche, prevedibili e ripetitive. Non era facile scrivere un altro capolavoro come “Among The Living” e in così poco tempo, poi. Scampano al fallimento completo grazie a una cover dei Trust, “Antisocial“, inno d’acciaio hardcore che vale da solo tutto l’album. Fu disco d’oro ma non ottenne il successo sperato. E vorrei vedere. Gli Anthrax sapranno riprendersi con il bellissimo “Persistence of Time”.
(Francesco Ceccamea)
Detruction – Cracked Brain:
Erano anni delicati per i metallers con lo scroto di quarzo-titanio come i Destruction. Il grunge stava per deflagrare nefasto, e molte erano le contaminazioni pronte a lanciarsi alla conquista del metal; tra le tante, quella funky, che solleticava le bands thrash in particolare (Mordred, Death Angel, Ignorance, Sacred Reich, Acid Reign, Scatterbrain, etc.). Qualcosa successe anche in casa Destruction, ne è a suo modo una spia la t-shirt dei Watchtower indossata da Mike Sifringer sul retro copertina (…a proposito, copertina epocale!!). Lo ammetto apertamente, stimo ed ammiro i Destruction, sacra istituzione del thrash tedesco, ma non li ho mai ascoltati troppo, a causa della loro impermeabilità ad un sound minimamente dinamico ed eterogeneo tra canzone e canzone. I dischi della band sono state autentiche mazzate galvanizzanti, non lo metto in dubbio, ma non ho mai registrato variazioni sbalorditive tra un disco ed un altro …. “Cracked Brain” (uno dei lavori senza Schmier) in parte arrivava a supplire proprio questa mancanza, plasmando sonorità nuove, fresche, in movimento, aperte ad un crescente tecnicismo e ad una maggior imprevedibilità (….sempre in chiave Destruction). C’è pure la cover dei The Knacks “My Sharona”, debitamente irrobustita. Lessi anni addietro che la band rinnegò parzialmente questo album, ritenendolo troppo distante dalla propria produzione e quindi poco comprensibile dai fans. E peccato che non lo abbiano capito nemmeno loro!
(Marco Benbow)
Bene, direi che possiamo fermarci qui, anche se ce ne sarebbero ancora così tanti di scheletri da menzionare, potremmo riempirci venti cimiteri. Magari lo faremo in futuro ma adesso è tempo di chiudere l’armadio, uscire dalla stanza e continuare a vivere. Se vi siete persi le precedenti puntate, eccovi i link qui di seguito:
Skeletons pt.1
Skeletons pt.2
Skeletons pt.3
(Da un’idea di Matteo Di Leo – A cura di Francesco Ceccamea)