QUANDO LE PAROLE DIVENTANO METALLO: “THE SCREAM” di Craig Spector e John Skipp

 
Non so se qualcuno tra di voi abbia mai fatto caso a come l’omogeneità della letteratura di genere, che sia horror, sci-fi o fantasy, sia quasi palpabile fin dal momento in cui si mette piede in una libreria.
Scaffali su scaffali di libri dalle copertine identiche, generalmente modellati sull’aspetto e stile dei capi branco in fatto di vendite, i vari “Twilight”, “Game Of Thrones” e compagnia monotona.

 
 
Insomma, se uno come il sottoscritto ha finito per disprezzare l’horror dopo averlo amato per una vita, forse una ragione c’è. Nulla da criticare a chi ama il verboso farneticare di Martin, le saghe da romanzetto pubescente dell’ex enfant terrible Lansdale o il sempre pìù “io scrivo il grande romanzo americano” King. Nulla di male. Ma alla fine, per risvegliare in me la passione per l’orrore, ci sono voluti libri duri, anarchici, taglienti e veloci. Scritti da autori che capissero che non basta parlare di quattro zombi per fare un horror.
Scrittori che sappiano che un libro horror deve mordere.
 
Gente come Edward lee, con le sue storie di demoni stupratori e necrofili, Jack Ketchum e i suoi incubi di violenza e odio della porta accanto, Wraith James White e la sua follia sadomasochistica.
Libri furenti, magari non considerabili artistici dalla marmaglia saccente, ma capaci di inchiodarti alle pagine, imbottiti di adrenalina, rabbia e umorismo più nero della tenebra.
 
 
Scrittori che prendono spunto non dal mercato attuale o dalle smanie intellettualoidi della critica ma da un movimento anarchico, strafottente e rocker fino al midollo chiamato “Splatterpunk”.
 
Di cosa sia esattamente lo Splatterpunk se ne potrebbe parlare a lungo. Per ora soffermiamoci su due dei suoi esponenti più laceranti e geniali: John Skipp e Craig Spector.
 
 
Skipp e Spector lavoravano a quattro mani, prima di separarsi e mutare il proprio stile.
 
I fan dell’orrore cartaceo probabilmente hanno grandi ricordi a proposito delle loro creazioni, con cui nel bene o nel male sono riusciti a infettare come una piaga mortifera la cultura pop attuale. Esempio a caso: il sadico succhiasangue punk dell’imperfetto ma corrosivo ed adrenalinico “The light At The End”, libro veloce come una pallottola puntata verso il cranio che prende il mito del conte Dracula e lo trasferisce nella metropoli newyorkese dei primi anni 80 pre-aids, tra tunnel della metro infestati di ratti, puttane e drogati, beh quel personaggio è l’ispirazione, non troppo nascosta, di Joss Whedon per il “villain” Spike della sua serie più famosa, “Buffy The Vampire Slayer”
 
Ma il libro più “Sdangheriano” e metallico del duo è senza dubbio il delirio epico chiamato “The Scream”
 
 
Skipp E Spector sono due scrittori dei primi anni ottanta, di conseguenza li si può trovare datati, o se si è come me, ci si può innamorare ancora di più delle loro atmosfere da America reaganiana, piena di cicatrici recenti. Cicatrici che sono sparse su tutto il corpo di questa storia.
 
La storia è semplice, magari non originale (oggi) ma efficacissima: in un America che tenta di dimenticarsi il vietnam, i ragazzi si gettano a capofitto nell’emozione del rock and roll. E nel mezzo di un conflitto tra fondamentalisti censori di stampo religioso alla Tipper Gore, il male se ne approfitta per scatenare un bagno di sangue.
E’ quasi impossibile rendere l’effetto adrenalinico che questo libro ancora mi regala a quasi vent’anni di distanza, senza rovinarne la potenza con troppi spoiler e spiegazioni.
 
 
I fatti sono questi: Skipp e Spector amano il rock. Lo si può sentire nella loro scrittura come poche altre volte mi è capitato nella mia carriera di lettore. Le loro frasi sono musicali, veloci, sonore. Leggi il libro e lo divori in un fiato, trascinato da una prosa che  pare un riff degli Slayer, dove la violenza è tanta ma mai grottesca o rivoltante, bensì cupa, sarcastica e velenosa.
 
 
E tra profezie apocalittiche, demoni carnivori, orde di ragazzetti posseduti da furore omicida che sgozzano, fottono e si drogano e il cui urlo di guerra è uno “YOW” degno di Rob Halford, tra tutto questo ben di dio, Skipp e Spector riescono anche a parlare in modo serissimo e, buon dio, non banale di aborto, di fede, di guerra e della perdita di speranza e di come la si può recuperare anche di fronte al vero Armageddon.
 
E tutto questo in un horror che gronda metal, sangue e sudore e ha un cuore gigante che palpita in ogni pagina.
 
Invecchiato male forse, troppo forsennato e farneticante, vero. Ma la pura, limpida furia ed il ritmo da battaglia di queste pagine è una cosa che non si scorda e raramente si trova nella letteratura attuale.
 
Fate uno sforzo, imparate l’inglese (perché da buon paese delle pippe, l’italia non ne ha traduzione) e unitevi anche voi all’ Esercito dell’Urlo.
 
YOOOW!
(Andrea Costanzo)