
L’avessi pronunciato una volta bene il loro nome, davvero…
Giusto tre giorni prima del concerto scopro che gli Infernal Poetry avrebbero suonato a Bari Palese all’Altro Mondo Music nell’evento Metal Symposium insieme ad altri tre gruppi.
Io che ho sempre modo d’offendere facebook oggi devo ringraziarlo per questa fortuna: comunque rimane una merda.
Mi hanno bidonato tutti, quindi presi armi e bagagli m’avvio verso il locale nel cuore della notte col mio beneamato treno e un mp3 che mi riproduce per tipo la 100° volta Paraphiliac urlandomi disperato di cancellarlo, mentre io prego disperato che le persone attorno a me perdano la voce, specialmente dopo aver sentito che ascoltano Checco Zalone. Sono parecchio in anticipo sui tempi, arrivo giusto giusto per le prove di soundcheck e sento già gli Infernal provare un pezzo estratto dal succitato Paraphiliac. Non ho molta voglia di rimanere fermo, quindi mi faccio un breve giro. Quando entro nel locale m’accorgo che non era proprio come me lo immaginavo: pensavo fosse grande, invece è piccolo come il culo di una vecchia con la stitichezza, solo che non puzzava, per fortuna. Però si sa, l’aspetto a volte inganna e di certo la dimensione non è bastata a tenere a bada il pubblico, come vi andrò a raccontare. Dice il saggio: non sono le dimensioni che contano, ma è il saperlo utilizzare. Le dieci e mezza arrivano in fretta; io sondo l’area facendo amicizia con un ragazzo come me appassionato di brutal death metal e scoprire che anche a eventi minori il buon vecchio Paolo Metal non si lascia sfuggire la sua presenza, tanto che gli chiedo “ma possibile che ti debba incontrare a ogni concerto?”
Iniziano i Burning Nitrom; gruppo di ragazzi dedito al più classico thrash metal che sa far smuovere veramente solo gli amici e la nonna del barista, mentre il resto del pubblico ascolta agitando come un manichino la propria testa. Di me non parlo, non sono un fan del genere, ma di certo meritano la mia stima per la cover di “Game Over” dei Nuclear Assault.
La pausa tra un gruppo e l’altro è piuttosto breve. Sì, si fregano la mezzora, ma sto talmente gasato che sembrano passare solo pochi minuti. I Neka vengono da Foggia e sono dediti al technical brutal death metal, con uno stile molto personale che ha subito catturato l’attenzione della gente, non è poco in un genere che a volte, siamo sinceri, rischia d’essere ripetitivo. Se non li avete mai ascoltati, fate come me e scaricatevi dal loro sito ufficiale l’EP gratuito, oppure appena verrà pubblicato compratevi l’album ufficiale. Se vi piace non vi rimborso, promesso. Tra i loro membri spiccano il bassista Francesco Rinaldi e il chitarrista Alex Benvenuti membri dei Necro Torture. Fate come dice lui e comprate il loro album “Gorse Solution”, che dal solo titolo mi ha fatto pensare agli Exhumed, anche se come sonorità con questi non ci “accocchiano” poco e niente. Alex fa notare poi che siamo parecchio mosci; in tutta risposta si scatena un breve moshpit dove io partecipo ben volentieri, per poi trovarmi a scapocciare contro il pavimento in preda a una crisi da overdose. No, non sono caduto, ma è bello agitare il proprio corpo fino a baciarsi i piedi; ha lo stesso sapore dello stretching. Ah, se mai lo leggerai questo report, caro Antonio De Rosa, io ero parte di quel pubblico che ti ha ascoltato e anche se non ce l’ho fatta a dirtelo quella sera, sei un ottimo frontman!
Grazie fratèèèè! |
Arriva poi il momento in cui capisci perché la gente si è riunita questa sera: i Dewfall. Li conosco solo di nome, so anche che fanno un death metal dalle influenze black, ma sopratutto conosco di nome il cantante: Orion, frontman dei Tale Of Deliria che ho già ascoltato più volte e come gli faccio notare a fine performance, apprezzo parecchio. Orion ci delizia a ogni pezzo con una breve poesia che ne fa da intro, al quale il pubblico risponde con grasse risate e tanti applausi. Io mi metto a distanza di sicurezza, non ho voglia di lanciarmi nel mezzo, ma il moshpit è talmente energico da prendere il 90% del pubblico trovandomi in alcuni momenti sbattuto qua e là come un sacco di patate.

Alla conclusione, tra scapocciamenti e birra buttata al vento, corro a comprarmi il loro demo, “Painful Death Lake” e riesco a rubarmi un autografo da parte del succitato cantante e il chitarrista Shadow Lord. Unica domanda alla tipa che ha portato il pennarello per autografarlo: ma invece di pigliare quel cazzo di colore che se ne può venire facilmente, non potevi prendere una di penna così magari, e sottolineo magari, ci facevamo autografare la copertina invece che il disco? Morale della favola? Ora ho paura di metterlo nel lettore cd perché ancora il colore si può rimuovere perdendo i due autografi.

La serata sta per giungere al termine, tocca agli Infernal Poetry. Non ho pronunciato una volta bene il loro nome; sarò mica dislessico? Il pubblico ha paura, si tiene a distanza: e ci credo, il cantante sembra uno schizzato in calore; io sono in prima fila pronto ad assaltarlo al suo segnale. Si parte dalla fine con “Paraphlias” e il pubblico si scatena. Io scapoccio come un dannato e non sono più reticente al pogo, lanciandomi invece nella folla con la speranza che qualcuno mi faccia veramente male. A conclusione pezzo, testa a testa tra me e il cantante mentre urliamo insieme nel microfono; bestiale. È inutile che vi dico altro, è la guerra più totale. Non mancano neanche citazioni del Benzoni da parte del pubblico (nel privato ovviamente, mica vogliono rischiare il linciaggio). Tecnicamente i nostri sono una spanna avanti a tutti, oltre a possedere una buona presa sul pubblico, sopratutto il frontman.

Arrivati al quinto… sesto pezzo, cazzo se ne frega, a me basta ricordare che era “Stumps” estratto del loro ultimo album; mi sono ritrovato d’improvviso con il microfono addosso mentre urlavo a squarcia gola “Born to Pain”, il ritornello (nella speranza di aver detto la cosa giusta, che con la mia dislessia hai sempre paura di sbagliare), alla fine ero senza voce felice d’essere al mondo.
Il pubblico però vuole i pezzi del primo album, cosa che avranno di lì a poco.
Io voglio “Hypetrophic Jelly Fish”, cosa che notando la set list non verrà soddisfatta; un vero peccato, che però non mina una performance bestiale.
Delle ragazze riescono a prendere la birra del cantante, che io riesco a bermi di gusto, per poi lanciarci tutti a capofitto verso la fine.
Sarà stato il gaso finale, ma lui decide di farci salire tutti (quelli che possono) sul palco mentre sotto invoca le ultime urla che chiuderanno quello che per ora è il miglior concerto che mi sono goduto in questo 2013; ed è solo il primo.
Salutati tutti, avuto un autografo dal batterista Alessandro Vagnoni, che per chi non lo sa milita anche nei Dark Lunacy, ringraziandolo anche da parte di Sdangher, m’avvio verso la stazione con le orecchie sanguinanti mentre una fidanzata preoccupata mi fa compagnia nell’attesa del treno che m’accompagnerà a casa, sempre se non morirò prima d’ipotermia.

PS: Come detto allo stesso cantante, Paolo Ojetti, questo concerto per me è stato uno tra i migliori di sempre. Qualcuno potrebbe criticarmi o avere da ridire, ma nella mia limitata esperienza posso affermare che l’ho apprezzato perché ha saputo darmi un emozione che non riuscivo a sentire da parecchio tempo: l’interazione con il mondo della musica. Puoi andare a tutti i concerti che vuoi, promossi dalle grosse label, ma quando scendi nella scena underground, tu non ti limiti ad ascoltare la musica dalla mera distanza mentre sorseggi una Corona e agiti un po’ la testa come quando ascolti il cd che hai scaricato da Itunes o Torrent. Io quel giorno non ho visto un concerto: l’ho vissuto!