TARANTINO E LA GENTE DI MERDA – Considerazioni sclerotiche su Django Unchained

 Ne parlavo giusto con un amico tempo addietro che è sempre così: appena esce qualcosa di nuovo appartenente a qualsiasi fascia, pure fosse un WC capace d’attrarre l’attenzione mediatica della massa come la merda con una mosca tutti si sentono in dovere di dire la propria. Recensioni, anteprime, pareri personali, tutti che spulciano quest’oggetto del desiderio convinti di possedere l’unica verità, un po’ come quando un testimone di Geova ti fa’ “si, gli altri possono dire la propria, ma solo noi deteniamo la verità” – quanto odio quei bastardi.

E sì, mi hanno chiesto di dire la mia riguardo il film, perché l’ho visto e fa figo sentire il mio parere; scherzo non gliene frega un cazzo a nessuno, me compreso. Tanto che agito le dita sulla tastiera a caso sapendo che tu, oh amato lettore, avrai letto fino a questo punto chiedendoti se ti sto prendendo per il culo. La risposta magica è sì. Ah, ho anche visto Ghost Movie, talmente bello che mi volevo pulire il culo con la sceneggiatura. Se hai del tempo libero usalo per drogarti, ne vale molto di più la pena. Django Unchained invece?

Non è un capolavoro, Tarantino non fa’ capolavori, ma solo ritratti e omaggi a ciò che la sua mente amorevole abbia voglia di ripensare.Per me nient’altro è stato. Un omaggio a un cinema dimenticato dai giovani che possono riscoprire il piacere dello spaghetti western, così come fu rinominato il genere di cui Sergio Leone  è il maestro indiscusso. Una volta quando pensavo ai western mi veniva in mente un indiano che magari aveva un nome figo, ma che nella sua lingua s’andava a tradurre con un semplice colui che siede sulla minchia e tu non lo sai e ti sei fatto chiamare così per anni dai tuoi amichetti, senza sapere d’esserti dato del finocchio da solo. Un giorno in TiVi vidi Il buono, Il brutto e Il cattivo, da allora capii che il vecchio west non erano solo i Powamericani che combattono contro gli indie boy con la loro musica di merda, ma era white vs white, schiavismo, ladri, contrabbandieri, messicani che ti chiamano gringo e l’estathè non sanno manco cos’è. Insomma, che Tarantino è tipo il re Mida del cinema lo so io, lo sapete voi e lo sa anche Spike Lee (almeno credo non gliel’ho mai chiesto, anche lui è una specie di re per me e lo spero anche per voi). Il cast è inutile ripetervelo per l’ennesima volta. La trama lo stesso.  Ah, se ricordate la trama dell’originale “Django” per favore dimenticatevela, lasciate nella vostra mente il viso di Franco Nero e dategli un primo piano come faceva il maestro Leone. Tarantino l’ha fatto:

-Come ti chiami?

-Django.

-E lo sai come si scrive?

-D-J-A-N-G-O; la D è muta.

-Lo so. 

Ho pianto come un bambino. Se un nero oggi guidasse un’auto probabilmente penseresti l’ha rubata, all’epoca se saliva a cavallo era come entrare in chiesa nudi. Forse l’hanno dimenticato, hanno voluto farcelo dimenticare però c’è chi ancora se lo ricorda quel periodo buio dove nel sud se eri nero e osavi desiderare d’aver desiderato t’ammazzavano. I momenti tipici tarantiniani non mancano, sparatorie dall’effetto splatter degni di un film giappo di quelli come piacciono a lui. Quentin poi è capace di rubare la scena come un novello Hitchcock desideroso d’apparire nella sua pellicola per omaggiare il mito con il mito. Prima d’essere regista lui è attore; prima d’essere attore è sceneggiatore. Ma perché è tanto apprezzato quanto odiato dalla massa? Quando mi dissero che delle persone s’annoiarono vedendo “Pulp Fiction” io chiesi perché. Mi risposero che i dialoghi erano troppo lunghi e ripetitivi. Prima che regista un attore; prima che attore uno sceneggiatore. Non preoccupatevi, quelle persone sono state giustamente messe al rogo in pubica piazza mentre i dialoghi di quel film sono ancora nelle nostre teste, immortali, pronunciati da grandi attori capaci realmente di dare vita a scene in grado di farvi saltare dalla sedia urlando contro lo schermo nella speranza che si girino verso di voi e magari risparmino quell’uomo che niente desiderava se non solo essere se stesso. Qui però nessuno è (neanche lo stesso Django) capace d’invertire i ruoli come se questi fosse un interrogatorio dove i poliziotti si passano i distintivi tra buono e cattivo o come due bambini che giocano a morra cinese, qui ci si sporca le mani e se uno prima aveva paura ora è l’altro che capisce d’aver sbagliato, perché l’allievo supera sempre il maestro. 

La durata, per finire, potrà spaventare i più: parliamo di quasi 3 ore di film. Roba che mi ricordo quando vidi il Gladiatore al cinema e uscii urlando che Russell Crowe doveva fare il cavaliere dello zodiaco!