Quello che non mi spiego degli Hatebreed è che pur facendo un tipo di metal accessibile, comunissimo, acchiappone, molto groovy e catcthy anziché suscitare la solita diffidenza che i metallari europei ammettono di avere verso il metal americano “moderno” estremo degli anni ultimi vent’anni (inclusi Lamb Of God, Slipknot e Pantera), ecco che gli Hatebreed li rispettano e lasciano in pace. Non li ama quasi nessuno, li ascoltano in pochi, ma convincono tutti. Forse è questo il punto: non hanno fatto tanto successo da finire su XL, o magari è perché James Jasta non ha il faccino carino di Chris Cornell e quindi se ti parla di cose orrende che farebbe alla schiena di qualcuno, tu, con quell’espressione da neonato che non mangia da troppe ore, gli credi eccome. Ci credi a lui e alla sua band.
Gli Hatebreed vogliono far male, liberare odio, rabbia e sangue e lo fanno senza mai cedere alle civetterie, i trucchi della discografia estremista tecnicool. Musicalmente un loro disco non aggiunge molto rispetto al precedente e non c’è chissà cosa in termini artistici, eppure quando parte l’ascolto, ti senti come messo a sedere e preso a schiaffi, avverti dentro di te degli strattoni, insulti spruzzati in faccia. Alla fine, quando vieni restituito al silenzio e ti alzi sei uno straccio, te ne vai e cazzo non li rispetti più, tu li temi!
Massimiliano Lodigiani su Brutal Crush li ha definiti Metalcore e Alessandro Ve di Metallized ci è rimasto così male che anziché scrivere un commento stizzito sotto l’articolo di Max, mi ha scritto in privato per lamentarsene e chiedermi spiegazioni. Anche Wikipedia dice che fanno Metalcore, sapete?
Diciamo che, per non offendere nessuno, con gli Hatebreed… “si parla essenzialmente di un gruppo hardcore east coast, secondo una discendenza abbastanza logica (Minor Threat – Agnostic Front- Sick Of It All – Madball) aggiornato alla pesantezza e allo spirito apocalittico del death metal. Cioè, partire dal presupposto che si parli di metal è sbagliato” (così mi ha rivelato Zorba e io mi inchino davanti alla sua infinita spericolata saggezza).
(Francesco Ceccamea)