GLI SPECIALI DI SDANGHER – BRIGATA BRASS

Potrei stupirvi con effetti speciali, pirotecnica nucleare e led intermittenti al quarzotitanio fotovoltaico positronico, e sparare il mio solito post arroccato a difesa di Tinto Brass, l’ho già fatto diverse volte ed in genere finisce sempre che mi guardano come un segaiolo sparapippe in solitaria, mentre lor signori eminenze grige veleggiano tra Hegel, Heidegger e Kierkegaard. Tuttavia il Gran Consiglio Sdangherista mi ha chiesto una trattazione su Brass, e conoscendo la mia buona disposizione per il regista veneto, di certo lo ha fatto perché si aspetta esattamente una difesa del “Maestro”. E allora, ubi maior minor cessat, abbandono i miei propositi minimal e mi produco nell’impresa, con la consueta convinzione fideistica nella bontà dell’arte brassiana.
 
Brass non nasce come vecchio trippone porcellone dedito unicamente ai sigari e ai culi delle sue attrici, come la vulgata ama sbrigativamente dipingerlo; giova ricordare che, dopo la laurea in Giurisprudenza, trascorre un biennio come archivista alla “Cinémathèque” di Parigi, entra in contatto con gli ambienti della Nouvelle Vague, diventa aiuto regista e assistente di nomi tonanti, tra questi Rossellini. Fattosi le ossa, esordisce alla regia nel ’63 con In Capo Al Mondo, apologo sul disagio giovanile (curando sin da subito pure sceneggiatura e montaggio).
Iniziano immediatamente i problemi con la censura, che non gradisce le prese di posizione un po’ umoristiche e un po’ anarchiche contro il Potere e le Istituzioni. A Brass viene intimato di rigirare la pellicola, ma lui per tutta risposta cambia solo il titolo (Chi Lavora è Perduto ), accentuando la provocazione. E’ proprio il rapporto con il Potere, e conseguentemente con la morale, il perbenismo, i benpensanti, le convenzioni sociali, il buon senso, che definisce sul nascere l’approccio libero e svincolato di Brass col cinema, la sua trasgressione e non assoggettabilità alle regole e all’autorità, che si tratti di politica, sesso o viver civile. Questo è un concetto che va tenuto bene a mente anche quando ci si rapporta alle tette e ai culi della sua recente filmografia tanto vituperata, e che spiega in buona parte perché Brass sia finito ai margini del circuito che conta, ed i suoi film siano sistematicamente osteggiati dalle distribuzioni e dagli intellettuali.
 
Dal ’64 al ’71 gira diversi film, tra questi Col Cuore In Gola, Nerosubianco, L’Urlo, Dropout, La Vacanza, in genere quelli considerati come i pochi meritevoli di Brass da parte della critica finesse. In occasione di Nerosubianco Brass riscosse molto successo in America, tanto che la Paramount voleva affidargli la regia di Arancia Meccanica, ma Brass perse l’incarico perché si intestardì a voler prima terminare L’Urlo. Nel ’75 arriva Salon Kitty, un po’ un film spartiacque nella carriera di Brass, perché ridefinisce le tematiche fondanti del suo cinema. L’erotismo scorre sempre più prepotentemente nella macchina da presa, non ancora come unica ed esclusiva chiave narrativa, ma come propulsore travolgente dell’urgenza artistica di Brass. Salon Kitty risente delle suggestioni derivanti da Visconti e dalla Cavani; forma, rappresentazione e contenuti si tingono di torbido e di ambiguità, e curiosamente rievoca moltissimo le atmosfere proprio del Kubrik di Arancia Meccanica. Fu poi la volta di Io, Caligola (’79), di cui abbiamo già trattato, e di Action (’80), film tostissimo di riflessione metacinematografica, e di non facile comprensione (pure un po’ noiso, a dire il vero).
(Brass è CULtura)
Nell’83 esce La Chiave, ed è il secondo “upgrade” di Brass, questo film segna l’adesione totale unica incondizionata all’erotismo, che Brass praticamente non abbandonerà più, come cifra narrativa totalizzante del suo cinema, eccezion fatta per Snack Bar Budapest (’88), che pur mantenendo ampiamente elementi erotici, si muove in direzione più sperimentale e noir. Come accade praticamente sempre con i suoi film, il punto di partenza è un testo letterario (Tanizaki in questo caso), che poi Brass trasfigura e riscrive a modo suo, secondo la sua estetica e la sua personale definizione del mondo e dei rapporti uomo-donna. Ciò che mi ha sempre affascinato della sua visione, è l’idea che il funereo binomio Eros e Thanatos ha rotto i coglioni, la contemplazione del sesso come strumento intellettuale, mortificazione del corpo, sublimazione di chissà quale spiritualità, atto intimamente connesso al dolore (se non alla morte), assurda catarsi di chissà quali peccati da mondare, in poche parole, il sesso come paturnia psicanalitica anziché come gioia libera, serena, epicurea, è una roba che Brass rifiuta e disprezza.
 
Dopo La Chiave, dall’85 al ’94 seguono: Miranda (ispirato a La Locandiera di Goldoni), Capriccio (Lettere da Capri di Soldati), Paprika (Fanny Hill di Cleland), Così Fan Tutte (omonima operetta di Mozart), L’Uomo che Guarda (Moravia). A Brass sono da ascrivere alcuni primati e meriti; incentra le sue storie su donne piacenti ma non necessariamente giovanissime (quello della Sandrelli è un vero e proprio recupero, un’intuizione brillante, che permette anche a molte ex sexy star del vecchio cinema bis italiano di ottenere una seconda chance come protagoniste – ancora – erotiche). La sua fama di talent scout cresce a dismisura quando scova e consacra bombe del sesso una dietro l’altra: Serena Grandi, Francesca Dellera, Debora Caprioglio, Claudia Koll.
 
Nel ’95 con Fermo Posta Tinto Brass comincia un periodo di raschiamento del barile che vede budget sempre più limitati, un’emorragia di pubblico, una lotta oramai senza quartiere con la critica, ed un certo ripiegamento di Brass su se stesso, che continua a proporre grandi momenti di erotismo, ma non sempre circondati da altri contenuti forti. Monella (’97) e Tra(sgre)dire (’00) sono indubbiamente episodi minori rispetto ai grandi manifesti goderecci del passato, e nel 2002 Senso 45 (ispirato alla stessa novella di Camillo Boito dalla quale Visconti trasse Senso ) crea molto dibattito, perché cerca in qualche modo di rinverdire i fasti di Salon Kitty e di Visconti, ma a partire dalla scellerata coppia di protagonisti, Gabriel Garko e la Galiena (che come operazione avrebbe forse dovuto echeggiare la Sandrelli) mostra già qualcosa che non va.
(è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo)
Il bello è che Brass se ne fotte di tutto e di tutti, e a 70 suonati dirige Fallo, film a episodi piuttosto sfrenato, con fellatio dal vero e una mostra ininterrotta di ruspante selvaggina italiana doc. Nonstante i tanti film alle spalle, e l’arrivo della senilità che sembrerebbe dover indurre ad una pace dei sensi, Brass invesce si produce in uno dei suoi lavori più spinti e libidinosi, quasi a sfidare i suoi detrattori. Segue Monamour (’05), primo film in digitale della sua carriera, riproposizione collage dei suoi temi, veri e propri revenants del suo cinema: adulterio, tradimento e gelosia come potentissimi afrodisiaci per rivitalizzare rapporti di coppia “ammosciati”, diari segreti e loro scoperta, voyeurismo, parentesi oniriche, fotografia erotica, culto del deretano, sodomia, eccetera. Molte situazioni citano episodi già visti in altri film di Brass, i bidet delle attrici, il rapporto conflittuale con i critici, il dialetto veneto, i rapporti sessuali in pubblico, i suonatori di colore che possiedono contemporaneamente la bianchissima Jimskaya (come in Nerosubianco ), la fotografia del corpo nudo come preludio al rapporto sessuale (La Chiave ), la tenuta di un diario e la sua scoperta da parte del partner (La Chiave ), l’enunciato incendiario che le donne vogliono essere “prese e non comprese” (L’Uomo Che Guarda ), la spiccata propensione alla ninfomania (Così Fan Tutte…e qualsiasi ogni altro dil di Brass da La Chiave in poi).
 
Culocentrismo attorniato dal nulla più assoluto (e da qualche pisello di gomma)“, questa più o meno la sentenza contro la quale devi combattere se vuoi sostenere un qualche argomento a favore di Brass. “Culocentrismo attorniato dal nulla assoluto”…ci pensi un attimo e ti chiedi: ma perché, alla fine, di cosa stiamo parlando? Intendo, Brass è un regista specializzato nell’erotismo (lo è maniacalmente dal 1983), e da quando il “culocentrismo” non avrebbe posto nell’erotismo? Dove starebbe la notizia, la nota stonata? Brass ha una fissa per il deretano? Ok, c’è chi ce l’ha per il seno, chi magari per altre parti del corpo, o per la lingerie, o per vattelappesca quale orpello “situazionista”, fantasie e rappresentazioni che gli stimolano la libido; sempre e comunque elementi fondanti di una storia erotica, perfettamente inseriti nel genere e nel codice linguistico erotico. Non è che hai detto Ermanno Olmi, Michael Moore o Clint Eastwood si danno al cinema sexy e rappresentano il culo della Koll per 90 minuti in ogni angolazione immaginabile; Brass ha costruito il suo stile, la sua firma su quello, è il suo cinema, il suo tipico approccio scanzonato e giocoso, fatto anche di fallici paraphernalia gommosi, deretani in cinemascope e gonne al vento. Questo senza nulla togliere alla ovvietà che Brass, così com’è, possa piacere o meno, e che i suoi film siano ora migliori ora peggiori, come per ogni filmografia dal 1888 ad oggi.
 
A seguire solitamente viene poi sempre sbandierato l’argomento che “però negli anni 60 e 70 Brass faceva cinema impegnato” – qualsiasi cosa ciò voglia dire – “sperimentale“, “diverso” …embè? Brass dirige pellicole dal 1963, ha fatto di tutto, e mettere i suoi film uno contro l’altro è un assurdo, a cosa porta? E’ la snobberia di dover dire che il film sociologico o magari con la tesi politica (anarchica nel caso di Brass) è di serie A, mentre il culo della Vasilissa è la partitella della domenica Scapoli contro Ammogliati. Troppo facile abbandonarsi alla spocchia e sentenziare che nei film di Brass “…pfui, c’è solo il culo! “; il culo c’è (e meno male!), ma la mise en scène non è mai da trascurare perché per Tinto s(p)esso e volentieri il significante è più importante del significato, ovvero, non prediligendo un erotismo patinato e semanticamente intriso di cerebrali rimandi escatologici, il contorno delle scene di sesso conta assai, contribuisce a rendere ricco e appetibile il film, traghetta lo spettatore verso il climax (che poi è la sgnacchera). Il dettaglio è imprescindibile in Brass, che sia il primo piano di una manicure ben fatta, una giarrettiera di pizzo, un paio di labbroni rossi che si stagliano in contrasto ad un vestito di colore altrettanto acceso.
(Brass, il regista più amato dal clero)
Altra critica tipica è la recitazione poco credibile, troppo sopra le righe degli attori (sempre quando si concede di grazia di chiamarli “attori”); inadeguata a mio parere, poiché non coglie l’obbiettivo ultimo di Brass, che non è quello di dare verosimiglianza cronachistica alle sue storie, che anzi intendono essere paradigmatiche e in qualche misura “didattiche” (per chi è disposto ad accettarne i suggerimenti e le indicazioni). Si instaura una sorta di complicità con lo spettatore, un gioco delle parti nel quale chi vede accetta di essere trasportato nel linguaggio “eccessivo” brassiano, ed in cambio l’autore dà allo spettatore tutto l’appagamento che una bella e intensa storia erotica può e deve dare. Per capirsi, è un po’ come vedere un film di fantascienza e stare a sentenziare ogni due minuti che però quella tal cosa non è possibile, non è reale, non esiste, non funziona, non rispetta le leggi della fisica o della matematica, eccetera…. è fanta-scienza, si chiama così apposta, o accetti di aderire alla narrazione immaginifica del regista, o ti vai a leggere un bel trattato di pragmaticissima meccanica. Lo stesso dicasi per l’esagerazione di alcune situazioni e per la ridondanza di alcuni personaggi; fatti e personaggi qui sono mezzi di divulgazione, contenitori di una filosofia di vita volta al sesso, al divertimento, alla frivolezza spensierata, all’appagamento corporale. Nei film di Tinto Brass il sesso è trattato senza sovrastrutture intellettuali, con uno sguardo ludico, superficialmente gioioso. Il sesso viene rappresentato per quello che è, o dovrebbe essere, una delle poche gioie della vita, da consumare con levità e gaiezza, senza cupezza e tormento. Sesso come vitalismo e liberazione, non come punizione, frustrazione, disagio esistenziale, logica e razionalità.
 
Non si dà il giusto rilievo alla fotografia nei film di Brass, ottima, eccellente (perlomeno quasi sempre), ricca di personalità ed originalità, così come arredi e scenografie, sempre alla ricerca del gioco geometrico (si pensi ai tormentoni degli specchi o alle riprese dall’alto dei pavimenti). Poi c’è tutta la questione sulla misoginia e sul maschilismo di Brass, che fa infuriare le femministe (e i femministi) che vedono in Brass uno che riduce le donne a oggetto sessuali (che poi è il buon 50% di una storia erotica). Al riguardo Brass mostra chiaramente che sono sempre e soltanto le donne a comandare veramente il gioco, a fare e disfare, a dominare ogni situazione, e ad avere esigenze, pulsioni e bisogni come gli uomini; questa non è nemmeno parità, andiamo oltre, è assoluta supremazia femminile! Ed è evidente in ogni suo film che i maschi sono dei gonzi in tutto e per tutto assoggettati allo strapotere muliebre.
(…’sta roba qua è peggio di un coccodrillo, meglio una sgrattata vah!)
In definitiva, al netto di un legittimo giudizio di non adesione al cinema brassiano, di mancata empatia ed interesse per la sua “poetica”, bisognerebbe con altrettanta prontezza ed onestà riconoscere a Brass i meriti che indiscutibilmente sono di Brass: un cinema di rottura, libero, provocatorio, ironico ed autoironico, un’esegesi accuratissima del genere erotico, una maestria tecnica della macchina da presa, declinata in un uso sempre lucido, peculiare e sorprendente della fotografia, della scenografia, delle luci e del montaggio, una filosofia libertaria, solare e positiva del sesso e dei rapporti amorosi.
Nel caso tale approccio al sesso ed all’erotismo vi trovino tanto contrari, potete sempre deliziarvi con La Pianista, L’Impero dei Sensi, Intimacy, Battaglia nel Cielo, etc., pellicole nelle quali scoverete tutta la carica mortifera e pestilenziale che quei registi hanno saputo infondere nel sesso e che magari fa più al caso vostro.
(Marco Benbow)