GLI SPECIALI DI SDANGHER – Flotsam & Jetsam

Dici Flotsam e dici Jetsam … “Ah si, ‘Doomsday For The Deceiver’ e ‘No Place For Disgrace’ sono due dischi mitici, peccato però che poi….” Poi cosa?! La vogliamo smettere con questa storia che tranne quei due dischi editi nel pleistocene i Flotsam & Jetsam non avrebbero pubblicato altro di interessante? Questo è un articolo schierato a difesa e supporto della band, cristallino, dichiarato, leale nel suo obbiettivo. Al netto del “de gustibus”, come è nato invece il luogo comune opposto e contrario che i Flotsam siano una band marginale e spelacchiata?

Fino ai primi anni ’90 continuavano ad essere etichettati come “la ex band di Jason Newsted”, di mortificazione in mortificazione, nemmeno la dignità di vivere di vita propria, ma unicamente splendere di luce riflessa per il bassista fagocitato dai Metallica. Poi neppure più quello, verso la fine del decennio nessuno si ricordava più dei Flotsam, inesistenti, fuori dal circuito mediatico che conta, come si fossero sciolti. Ed invece non si erano sciolti, hanno continuato imperterriti a pubblicare dischi, nel disinteresse generale.
 
E vediamoli un attimo questi dischi: “When the Storm Comes Down” (1990) arriva dopo i due capisaldi, ancora per un soffio sta dentro il periodo del metal che conta, ciò nondimeno viene già snobbato. E’ l'”And Justice For All” dei Flotsam, la sublimazione del techno thrash, un album a mio avviso stupendo, ma che raccoglie più stroncature che consensi, diverso nello stile dal thrash degli esordi, prodotto con un suono del rullante della batteria simil fustino del detersivo, privo di un ritornello che sia uno (eccezion fatta per “Suffer The Masses”), e assai cupo ed ombroso. Inizia l’incomprensione reciproca tra Flotsam da una parte, pubblico e critica dall’altra.
 
“Cuatro” è una scelta tanta coraggiosa quanto autolesionista, un album che molla la presa del thrash, per sposare le paturnie dell’emergente grunge; “Cuatro” non è un album grunge nelle sonorità, ma nell’anima lo è. I Flotsam “hanno tradito”, eccetera eccetera… avete presente tutte quelle puttanate da metallaro talebano truista no? Io, per dire, l’ho sempre preferito al Black Album (come altri 2000 dischi, se è per questo), ma comunque la pensiate, i Flotsam avevano consegnato alle stampe un disco vibrante e pieno di emozioni, bellamente ignorato però.
All’altezza di “Drift” (1995) già il metal di per sé è dimezzato come numero di riflettori accesi, figuriamoci una band come i Flotsam. Mollati da tutti, abbandonati a loro stessi, amici, fidanzate e parenti rimangono l’unica crew del gruppo di Phoenix. “Drift” cerca di barcamenarsi, trovando la sua via al post metal, senza aver ancora chiaro del tutto che direzione prendere. Eppure pezzi interessanti non mancano (“Me”, “Empty Air”, “Destructive Signs”, “Smoked Out”), tesi e nervosi come chi non ha ben compreso dove si trova e su quale strada incamminarsi, ma sa che l’unica opzione è proseguire a nord.
Due anni e la cornice si fa più netta, sul booklet di “High” compare la scritta: “lesson learned, it’s ok to be metal“. Come a dire, ci eravamo smarriti ma adesso è tutto chiaro. “High” è un ottimo lavoro, il lettering delle canzoni sul retro del CD omaggia i loghi di tante celebri metal band, e tutto pare confezionato perché i fans possano riconciliarsi con i Flotsam e la loro voglia di darci dentro. Ma non accade, l’oblio continua a circondare i figli dell’Arizona.
 
Ancora due anni e arriva “Unnatural Selection”, più cattivo del precedente, più acido, più aggressivo. Linea piatta, sussulti della scena non pervenuti, critica indifferente. Che cazzo devono fare i Flotsam per farsi notare? I soliti due anni, e puntuale viene pubblicato il nuovo disco: “My God”. Pesante ma anche elegante, capace di mescolare thrash e metal, soluzioni impreviste come certe linee quasi hip hop del cantato, e sonorità assolutamente moderne. Se invece del monicker dei Flotsam in copertina ci fosse stato quello di una band emergente di vattelappescaland, si sarebbe gridato all’esordio col botto, invece in giro la filastrocca era sempre la solita: “…Doomsday For The Deceiver, No Place For Disgrace….
 
I Flotsam vanno un po’ in crisi, trascorrono 4 anni ma il secondo album del nuovo millennio è inaspettatamente un mezzo capolavoro. “Dreams Of Death” cita l’omonima canzone contenuta in “No Place For Disgrace”, si rincorrono le voci (e le speranze) di un ritorno alle origini. Benché l’album non lesini una certa rinnovata influenza thrash, i Flotsam non mollano il sound che hanno pazientemente costruito nel corsodegli anni ’90, aggiornandolo di album in album. Rimane agli atti un lavoro assolutamente godibile, a mio parere di gran pregio, ma che non cambia la sostanza del disinteresse nei confronti della band.
 
Circolano voci di scioglimento. Eric AK lascia la band per un po’, ma poi ritorna. Vengono pubblicati un live album e due dvd, evidentemente per scopi più alimentari che artistici. Nemmeno stavolta i Flotsam mollano, e nel 2010 arriva “The Cold”. Proprio mentre, dopo ripetuti ascolti, mi scopro a pensare che forse per la prima volta i Flotsam hanno pubblicato un album veramente modesto e insufficiente, un consenso quasi unanime investe il gruppo, lodato per la rinascita con “The Cold”, un disco che avrebbe meriti, pregi e virtù. Rimango convinto che si tratti di un abbaglio della critica che per tanti anni è stata talmente miope da non vedere quanta buona musica i Flotsam hanno creato, tuttavia sotto sotto godo dei buoni riscontri che finalmente i ragazzi ricevono.
Ringalluzziti da questa insperata boccata d’ossigeno, negli scorsi mesi è stato pubblicato “Ugly Noise”, e prevedibilmente il ritornello ha ripreso la sua più consueta andatura. I Flotsam sono tornati “sciapi” ed “insipidi” … ed infatti, puntualmente, “Ugly Noise” si rivela un buon disco, con un paio di passi falsi in scaletta (“Rage” e “Rabbits Hole”), ma complessivamente valido e brillante. La band approda all’autoproduzione con questo disco, il che la dice lunga su come siano ridotti il music biz e la carriera dei Flotsam.
 
Cosa ci riserverà il futuro non so dirlo, i Flotsam potrebbro sciogliersi da un giorno all’altro come pubblicare testardamente altri 10 dischi, si ha quasi l’impressione che non cambierebbe assolutamente nulla nella scena metal. E per questo li ammiro enormemente, scrivere musica nell’indifferenza generale è roba da cocciuti, ma anche da donchisciotteschi idealisti. Saremo in 3 sul pianeta probabilmente a goderne, ma finché ai Flotsam questo sembra bastare, io non posso che esser loro grato.
A margine vorrei anche segnalare che Eric AK è in assoluto una delle voci a cui sono più affezionato da quando 25 anni fa ho scoperto l’esistenza dell’heavy metal, un interprete la cui timbrica vocale è ricca di personalità e sfumature drammatiche. Quando per quel breve periodo pareva aver deciso di mollare i compagni, pensai davvero che i Flotsam & Jetsam non avrebbero avuto più senso di esistere.
(Marco Benbow)