Detesto le introduzione in stile classico, cariche di luoghi comuni e cliché, che appestano il giornalismo italiano. Eppure ne sento quasi la necessità questa volta, dato che la creatura di carta e inchiostro di cui cercherò di parlare con cauto rispetto, non può essere descritta con un approccio “casual”.
In un estate del 2008 , il sottoscritto era in piena crisi personale. Facevo i conti con una sindrome di depressione bipolare mal diagnosticata: residui di alcolismo e svariate porcherie, e un anno di lavoro in una situazione a me totalmente aliena. Avrei vissuto in un monolocale isolato, alla ricerca di un equilibrio che potesse tirarmi fuori dal pantano mentale in cui ero andato a finire dopo anni di autodistruzione ed emozioni mal vissute.
In quel posto, tentando di distrarre il mio cervello dalla tentazione di tonnellate di abusi chimici, imparai ad abbracciare i libri con uno spirito ben diverso. Un buon libro non era solamente un passatempo, ma qualcosa che nel bene o nel male mi avrebbe garantito un posto dove tenere il mio cervello al sicuro, attivo e affascinato e non preda di quella noia triste e apatica che mi aveva portato dove ero. Quindi, le pagine che divoravo mi entravano sottopelle davvero, e se avevano forza non venivano dimenticate.
E così incontrai Jack Ketchum. Il suo nome mi spuntò davanti agli occhi per la prima volta, tra le pagine di un piacevole e sanguinario atto criminale intitolato “Creekers” di Edward Lee. La mia passione per l’ horror con le palle, mi aveva portato a spulciare nei suoi lavori, che erano autentiche gemme di amorale, esilarante cattiveria estrema. Tanti, difficili da trovare, e rintracciati in solitaria su “amazon”, più o meno la ricetta giusta per attrarre la mia curiosità, da nerd iperattivo e un po’ elitario.
In ogni caso, Lee citava Kecthum, come alcuni scrittori fanno con i loro idoli meno famosi o più personali: i suoi personaggi lo nominavano, ne avevano i libri ben esposti in ogni scena. A volte finiva pure tra i ringraziamenti del libro.
La curiosità era troppa per non dare via ad una caccia al tesoro. Mi gettai su google (dio benedica il tempo libero che ti offre la sobrietà) e cercai. Non solo era osannato come uno dei più grandi e radicali scrittori dell’horror moderno, Stephen King, che è alterno e incostante come autore, ma persona di sommo gusto quando si tratta di segnalare autori, lo definiva “l’uomo più pericolosa della letteratura moderna”. Parolone, si potrebbe dire.
Già…
E quindi con fesso cinismo ma molta curiosità approcciai il libro che più di tutti veniva osannato tra quelli di Mr Ketchum : “The Girl Next Door”.
Le recensioni sulla rete parevano discussioni da reduci di guerra. Il libro aveva traumatizzato più o meno tutti. Alcuni reagivano come se li avesse assaliti personalmente, offesi, violati. Altri lo descrivevano come un capolavoro ma con tanto di avvisi a procedere con cautela.
Io lo lessi alla cieca, senza pensarci troppo e senza sapere molto su quello che effettivamente fosse il cuore narrativo di quelle pagine.
Ora lo so. Ora ho provato cosa voglia dire voler abbandonare un libro a qualche pagina dalla conclusione, non perché mi stia annoiando ma perché la lacerazione psicologica che causa e il senso d’orrore sono troppi pure per un individuo scafato come me.
“The Girl Next Door” non parla di vampiri, zombi o serial killer.
Parla, e uso questo termine in piena coscienza, del male assoluto.
L’idea del male assoluto è una minestra che in tanti, specie nella marmaglia catramosa della letteratura provocatrice italiana, nello stile ributtante di una Santacroce, hanno tentato di riprodurre. Ma nessuno è riuscito a creare una miscela incandescente e crudele di emozioni, sottigliezze e verità che vengono gettate in un pozzo nero di odio e assoluta mancanza di speranza come Ketchum ha fatto con queste pagine.
Perché alla fine si possono citare demoni, mostri, psicotici di varia levatura ma cosa è peggio di tutto ciò:
Una ragazza adolescente, limpida e vera descritta con cuore e sincerità, piena di sfumature e momenti che fanno venire la pelle d’oca per quanto sono reali. Sola con la sorella bambina, fragile e storpia, abbandonate da un incidente, dal caso stronzo a chiedere aiuto al mondo esterno e date in affido a una donna, in tempi in cui i servizi sociali erano inesistenti, e i bambini proprietà degli adulti.
Un gruppo di ragazzetti della provincia americana degli anni sessanta. Non precoci, ne buoni ne cattivi, in crescita in un mondo non gentile, capaci di crudeltà atroci, di codardia e di slanci affettivi ma alla fine deboli e manipolabili come chiunque altro.
E un mondo dove i padri ancora pensano che picchiare le done sia “necessario a volte”. Dove il razzismo, l’odio e la violenza sono “parte di come va il mondo”. E la legge è cinica, sprezzante verso i deboli, perché così vanno le cose e la vittima non ha diritto di fuggire.
E la ragazza e nelle fauci di una creatura intelligente e spietata, calcolatrice, sadica che la disintegra senza tregua con una spirale di sadismo incomprensibile eppure plausibilissimo, proprio perché generato da follia, odio e nessun limite. Nascosta tra le mura di una casa dove nessuno mette il naso, perché non ci si impiccia dei fatti altrui, una donna diventa una carnefice inimmaginabile.
Non c’e’ molto che si possa dire senza rovinare quella che potrebbe essere l’esperienza meno piacevole ma assolutamente viscerale che avrete nella vostra vita. Ketchum scrive con una prosa poetica e meravigliosa. E’ uno di quegli autori che hanno un talento naturale per creare pagine che paiono dipinti poetici emozionanti persino quando sono insostenibili. E i suoi personaggi sono veri, credibili, irresistibili. Ci si trova ad amarli senza riserve e ad assistere col cuore spezzato e l’orrore in gola all’inarrestabile uragano di dolore che viene rovesciato su di loro. E la storia, persino ai picchi della mostruosità non è mai gratuita o malsana. E’ solo una lacerante osservazione di quello che è probabilmente il volto dell’orrore più vero.
E’ una storia che viene dalla realtà, dalla cronaca. Il fatto reale e’ stato reso attraverso un dignitoso tv movie, con una Ellen Page accettabile, prima che diventasse la noiosa icona hipster di Juno. E un film che tenta di rendere l’abisso della scrittura di Ketchum, fallendo ma creando comunque reazioni furiose nel pubblico, che discute il film come fosse un crimine contro la morale.
Leggetelo. Provate. Sara’ un taglio in faccia. Lo odierete. Ma lo ricorderete per sempre.
(Andrea Costanzo)