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KING DIAMOND – L’EFFETTIERA VOCALE POSSEDUTA DAL DEMONIO – terza e ultima parte

smmmmmack!

Secondo molti metallari italiani King Diamond è un grandissimo catalizzatore di sfiga? Probabilmente la metà dei miei potenziali lettori (9, non contando mia madre) non avranno letto questo post in tre atti per paura di avere qualche sciagura prima di cena, ma quando tutti la tirarono a lui, nel 1993, gli fecero un baffo. Anzi due. 

King Diamond… i baffi delle tenebre!

So che ci sono grandi appassionati della triade Lullaby/Voodoo/Graveyard ma si tratta di rispettabili cultori del  “minore” perché quei tre dischi sono trascurabili e risentono dell’impegno in contemporanea con i Mercyful Fate, anche se il danese si ostinava a dire nelle interviste che per lui non era un problema mandare avanti la nuova e la vecchia baracca con i Fate. In fondo non doveva far altro che scrivere i testi, la musica era competenza di Shermann, però l’impegno in una band non si riduce solo alla fase creativa: i concerti, le prove, le interviste, dove le mettiamo? Inoltre, sempre secondo il mio modesto avviso King Diamond non aveva più un avversario contro cui scagliarsi. Una volta chiusa la storia con i Mercyful, il più grande stimolo doveva essere stato quello di mostrare a Hank e gli altri ex compagni che la strada di “Melissa” fosse ancora quella valida. E poi c’era la voglia di far vedere al mondo che lui sapeva andare sulle proprie gambe, costruirsi una carriera altrettanto importante di quella della band che l’aveva reso famoso (si fa per dire).
Una volta rimessi insieme i Mercyful Fate e ripreso il discorso iniziale è stato come se il vecchio stronzissimo Hank abbia detto: “ok, avevi ragione tu, ricominciamo da capo, l’idea di buttarla sull’AOR era una gran cazzata…”

che poi, questo disco per esempio non era mica male. Ma ce lo immaginate …

 

…lui in mezzo a loro? Ma dai!

Insomma, tutto questo deve averlo smosciato non poco, don’t you? E non è un caso che appena accantonò per la seconda volta la band della città marcia, i dischi solisti ricominciarono a crescere di qualità, lasciando quasi tutti a bocca aperta, compresi me e mio zio alcolizzato.

“The House Of God”

discone, ragazzi…

“Abigail II”,

che ci crediate o no lo preferisco al primo capitolo

e “Puppet Master”

capolavoro!

sono tre album meravigliosi. Tanti sciocchi non se li sono ancora goduti perché credono che il miglior King Diamond sia quello fino a “Conspiracy” o al massimo “The Eye” e dopo “Voodoo” o “The Graveyard” hanno pensato che nulla sarebbe più cambiato, ma scioccherelli che siete: beccatevi questo trittico e godete.
I tre nuovi lavori sono ottimi esempi di come si possa reinterpretare il metal classico in maniera moderna senza calarsi le brache dietro alle solite tarantelle maideniane o i truismi alla manowar. Anche l’uso del falsetto, vero scoglio per mezzo pianeta, viene dosato con parsimonia e non più lanciato in modo scarno e diretto; è effettato, levigato, armonizzato e incastrato bene nelle composizioni. Non svolazza come un pipistrello ubriaco di luce sopra i riff, li permea fino a soffiargli dentro ancora più malignità.

più maligno… piùùù maliiiignooohhhh! No, non è Fiasco Rossi.

Probabile che il Re Diamante abbia dovuto fare economia spinta con le corde vocali mal ridotte ma questo ha finito per essere un bene, ecco il punto.

Anche come narratore è diventato più misurato, consapevole e fantasioso rispetto a certe trame sciape imbastite dopo il duo Them/Conspiracy. Secondo qualcuno è addirittura più romantico, causa la malattia e un nuovo amore (con la pischella Livia Zita, bambolina ungherese che ha stregato lo stregone), eventi che riescono a farti sentire vecchio e giovane, immortale ed effimero, accavallandosi con puntualità luciferina nel mezzo del cammin’ dei cazzi tuoi, donandoti una dolorosa rigenerazione. Il  danese impomatato delle tenebre è infatti molto cambiato rispetto al tempo del cinismo alla Lavey, è ormai un uomo in balia dei propri sentimenti e non lo nasconde. Commovente, non trovate?
E mentre vi asciugate le lacrime godetevi questo boxetto alla classix metal sul “famiglio” di Re Diamante…

Andy LaRocque, immancabile compagno di sventure che ha continuato a scrivere riff per lui per tutti questi anni, mostrando di essere davvero avanti come chitarrista, almeno per l’età che ha. Fisicamente è sempre più un macello, però con le manine pista ancora che è una bellezza. Non lo considero un dio, deve troppo a Randy Roads per sua stessa ammissione, ma ha l’indiscutibile merito di aver portato un po’ di King Diamond nei Death e soprattutto di aver scritto insieme al “cappellaio marcio” alcuni dei dischi migliori della storia del metal.

Ma torniamo alla discografia di King Diamond che è peggio, perché
“Give Me Your Soul, Please” è troppo modesto e dispiace che sia l’ultimo (per ora) capitolo discografico, quello che conclude la nostra lunga carrellata.

Lavoro decisamente sottotono, produzione moderna ma con le chitarre vintage (o comunque finto vintage), pensate che intruglio. E poi le canzoni sono troppo melodiche e pacioccone. Ah, l’amour, n’est pas?
Ultimamente King è stato operato ma si è fatto fotografare mentre fa le cornine, per tranquillizzare i fans. Senza baffi, trucco satanico e occhiali a specchio tipo i Chips, non riuscivo a riconoscerlo.
Avete notato che manina, poi? Il mignolo è troppo mignolo, non trovate?
Ringrazio la mia musa ispiratrice Emiliano Natali.