LA MIGLIORE PSEUDO-METAL BAND DI SEMPRE!

Da piccolo adoravo quei film americani in cui c’era di mezzo una band heavy metal. Spesso erano horror o commedie da quattro soldi. Una schifezza come “Viceversa”, tanto per dire, la riguarderei ancora oggi solo per godermi l’esibizione dei Malice con Paul Sabu alla voce.
Il più delle volte i brani venivano scritti da band vere e interpretati da attori oppure dai gruppi stessi ma sotto pseudonimo o senza essere mai nominati. Per esempio su Hellraiser III, nel locale che Pinhead distrugge con i cd rotanti (scena cultissima) si succedono sul palco sia gli Armored Saint agli sgoccioli che i mitici Triumph nella loro versione più hair. In quel caso per la cronaca, la band canadese suona “Troublemaker” (pezzo da paura) tratto dall’album medesimo.
Vidi il film nel 1994 e nel mezzo del ritornello purtroppo irrompe Pinhead che fa il suo macello (in una perfetta metafora dell’avvento aggressivo del supporto digitale… dai, non fate quella faccia, scherzo!) e io mandavo indietro il film un sacco di volte per ascoltarmi quel trancio di canzone. E così dovetti comprarmi la colonna sonora (che non era niente male) per sentirmela tutta, capire chi fosse il gruppo e così via. Erano tempi duri e dispendiosi quando non esisteva Wikipedia, ma ti riempivi un fine settimana con la soddisfazione di poter ascoltare un pezzo integralmente, pagando più di ventimila lire.

Ma torniamo al discorso di partenza. Ricorderete il quinto capitolo della saga dell’ispettore Callaghan “Scommessa con la morte”. Uno dei più fiacchi (anche se scommetto che Benbow non è d’accordo) in cui un semisconosciuto Jim Carrey si esibisce in una inverosimile interpretazione in playback del brano “Welcome To The Jungle”. Il bello è che i Guns ci sono tutti, tranne Axl.

Anche i White Lion compaiono in un film sotto falso nome, “Casa dolce casa” con Tom Hanks ancora in versione commediola per famiglie dove la band fa due apparizioni suonando il brano “Web Of Desire”, mai pubblicato su disco. Nessuno dice che sono i White Lion, vengono messi lì solo per fare il verso alla miriade di hair band che dominano le classifiche a metà anni 80. Io però li ho riconosciuti subito.

esatto…

Poi c’è “Morte a 33 giri”, con il cantante luciferino che suona l’assolo del brano “Rock n Roll” eseguito da Fast Eddie Clark, peccato usi un solo dito e lo faccia correre su e giù lungo la tastiera in modo davvero inverosimile, ne? Tutti i brani di quel film li scrissero i Fastway, lo sanno anche le murene e ammesso che con lo spunto dei dischi al contrario, il satanismo nel rock e i problemi con la censura di quegli anni si sarebbe potuto fare di meglio, Sammi Carr, personaggio emblematico degli incubi di ogni mamma anti-rock non era poi così male e le sfighe di un pischello metallaro vessato da un gruppo di bulli fino al giorno in cui il METAL viene in soccorso a salvarlo è una cosa che funziona. In pratica ci basano la loro intera poetica i Judas Priest!

A seguire gli “Steel Dragon”.

Band fuori serie con Zakk Wilde alla chitarra, Jason Bonham alla batteria, Jeff Pilson al basso e Mickey Mark alla voce, in una rivisitazione glam dei Priest che deve aver fatto cacare arazzi del 700 al povero Carli. Il Maestro Paolo dice che è la regina delle band metal fittizie ma io al primo posto ci metto…

gli “Spinal Tap”, nati, cresciuti e morti nell’arco di un finto documentario diretto da Rob Reiner ed emblema di tutte le gloriose band nel momento di più scarsa lucidità.

Poi abbiamo i recenti “Arsenal” del tanto osannato “Rock Of Ages”, con Tom Cruise che se la cava bene “nelle pelli” di una star del glam metal.

Sempre in ambito revival glam (hair) metal, c’è “Pop Rocks”, filmetto in cui si racconta di un impiegato di banca oppressivo con il figlio che per soldi accetta di rimettere insieme la band (una specie di Twisted Sister con il face-painting dei Kiss!) di cui era il frontman in una vita precedente. Niente di speciale, sia chiaro ma la parte musicale è piuttosto spassosa, almeno fino a quando non attaccano a suonare.

Prima di cambiare genere dobbiamo accennare a “Il batterista nudo”, classica commedia in cui un tipo prova a saldare i conti con il passato. Batterista di una promettente band hair metal degli anni 80, i “Vesuvius” (!), il tipo viene sostituito sul più bello con il figlio del capo della casa discografica. Anni dopo, alla guida di un pugno di ragazzini fighetti che non sanno neanche chi siano i Twisted Sister, il batterista nudo cerca di riguadagnare la notorietà e la dignità. Si ride ma neanche tanto.

E ci si diverte ancora meno con “Prey For Rock ‘n’ Roll”, con la sempre arrapantissima Gina Gershon e la sua band tutta al femminile: le Clam Dandy, troppo incasinate per arrivare al successo. Il film risulta piuttosto serio (lesbicoso) e mai prono ai soliti stereotipi festosi del glam (hair) metal. Io non l’ho visto e lo cito per un’imbeccata dell’Ammiraglio Benbow. Lui dice che è molto carino ma sappiamo tutti che ama le Vixen e le milf, quindi fate le vostre considerazioni prima di procurarvelo. Dopo l’hair metal passiamo al thrash e ricordiamo i Powermad,  la furente thrash metal band tallicosa che imperversa su tutto il film “Cuore Selvaggio” di David Lynch, salvo poi tenere il gioco a Nicolas Cage quando lui improvvisa un brano di Elvis. Il pezzo si intitola “Sloughterhouse” ed è uno speed non male poi riutilizzato da Italia 1 verso la seconda metà degli anni 90 come sigla per il filone dei film action del lunedì. L’intro è stracazzuto e non dite di no. Nella realtà, i Powermad sono una copia trascurabile dei quattro di Friskies ma nel mondo diegetico di Lynch e Barry Gifford (ho studiato cinema all’università, abbiate pazienza) rappresentano forse l’unica band metal estrema esistente in un incubo dove il mago di Oz incontra Jodorowsky e l’Antico Testamento.

Airheads

E che dire di “Airheads”, con quel trio sfigatissimo che sequestra una stazione radio allo scopo di far trasmettere la propria canzone e raggiungere la fama? In fondo sono simpatici e abbastanza credibili  e l’empatia con loro, almeno per quanto mi riguarda, finisce giusto nel momento in cui riescono a far sentire ‘sto benedetto singolo. Un pezzo più schifoso che sarebbe difficile scriverlo, no? Meritavano di non essere ascoltati, quei bastardi, ecco la verità!
Cameron Crowe rivende poi il prototipo della grunge band con Matt Dillon a fare da frontman e intorno a lui varie glorie di Seattle…

che tempi…

Per molti quel film fu una delusione. A rivederlo oggi sembra una commedia discreta, senza pretese di voler fare il manifesto generazionale o la cronistoria in tempo reale di una certa stagione del rock and roll. Su Metal Shock scrissero che a parte la colonna sonora sembrava la versione americana de “I ragazzi del muretto”. Questa frase mi ha tenuto lontano dal film per anni. Dopo averlo visto non mi sono trovato per nulla d’accordo, ma ammetto che è una definizione piuttosto scoraggiante nel 1993. Qualcuno insiste a ricordarmi che ci sarebbero pure gli “Stillwater” di “Almost Famous” ma lì siamo più in ambito rock che metal, con la classica parabola (vissuta in prima persona dallo stesso regista Crowe) del gruppo che non riesce a sfondare di tanto così perché… questa è la vita, amico mio! Bellissimo film se lo chiedete a me. Adoro l’interpretazione del critico Lester Bangs fatta da Philip Seymour Hoffman e ogni volta che lo vedo mi innamoro un po’ di Kate Hudson.

Sempre classic rock sono gli “Strange Fruit” del film “Still Crazy”, commediola graziosa con un cast straordinario e una sceneggiatura che sembra scritta da Ken Loach in un giorno di sole.

Senza dubbio avrò poi nel cuore tutta la vita il duello finale tra Ralph Macchio e quel chitarrista blues venduto al diavolo interpretato da Steve Vai in “Mississipi Adventure” di Walter Hill.

Nel finale, quando Mr. Karate Kid lascia il blues per rispondere con un pezzo di musica classica, Steve Vai (che interpreta un chitarrista satanico) fa tilt e viene sconfitto. Che volete, la classica è di Dio e vale più del blues che è del diavolo, no? Ma che morale è? Novanta minuti on the road tra vecchi bluesman in fuga dagli ospizi, patti satanici ai crocicchi e svisate ai bordi di strade fangose e alla fine si riduce tutto a questo? Gli americani sono così manichei o forse sarebbe meglio dire cazzoni. Peccato poi che il brano sia di Paganini, che come sappiamo è il più zolfanello di tutti i musicisti della storia. Mah! Forse è questa scelta che manda in corto circuito Lucifero? Tipo come con la mucca pazza, e il cibo ricavato dalla mucca stessa? E a proposito di duelli con il maligno:

non dimentichiamo l’irresistibile duo Jack Black e Kyle Gass dei Tenacious D, nati come band in bilico tra realtà e fantasia e poi entrati a tutti gli effetti nel mondo vero con uscite ufficiali e relativi tour indipendenti dal cinema e la televisione. Il film “Tenacious D e il plettro del destino” è senza dubbio una delle più riuscite commedie sul mondo del rock in cui questi panzoni lo mettono nel culo rosso a Satana Dave Grohl dei Foo Fighters/Nirvana. Non possiamo dire grandi cose dell’altro film, sempre con Jack Black, stavolta alla guida di una fittizia band di ragazzini delle elementari in “School Of Rock”. Per quanto il comico sia bravo e nella prima mezz’ora riesca a farci pure sorridere parecchio, il film prende però il binario della storia disneyana e tutto si fotte, come del resto è giusto che sia. Inoltre credo sia da questo lavoro che Black nominato  nuovo “John Belushi” (sic) da non so quale critico di XL, Rolling Stones o Caccia e Pesca, abbia iniziato a mostrare i suoi limiti.

Tornando alle esibizioni virtuose molto posticce la palma d’oro della credibilità va a Marty Mcfly, alias Michael J.Fox. Su “Ritorno al futuro”, quando nel finale di “Johnny Be Good” l’attore fa una svisata metallara dicendo poi al pubblico basito “forse è un po’ presto per voi, ma questa roba ai vostri figli piacerà!” da ragazzino rimanevo avvinto tutte le volte. Quel film è un’ossessione per me e non escludo di tornare ad analizzarlo. Avete presente il momento in cui a Marty sparisce la mano, quando suo padre non si decide a dare un cazzotto a Biff Tannen? Non so… sia lì che in altre sequenze ci vedo un sacco di segnali sinistri sul futuro triste di Michael J. Fox e il morbo di Parkinson. Anche per questa mia fascinazione evito di fare battute terribili. Altra svisatona inverosimile da citare è quella dello zombie Eric Draven ne “Il Corvo”, il film di Alex Proyas tratto dal fumetto di O’Barr. Tra l’altro nel fumetto il protagonista non è neanche un musicista ma un poeta. “The Crow” resta comunque uno dei capolavori tecno-necrofili del ventesimo secolo e con una colonna sonora da very sballoween. Quasi quanto quella di “Strange Days” dove Juliette Lewis oltre a farsi di realtà virtuale, si esibisce in un sordido locale come cantante. La sua interpretazione di una meravigliosa ballad dark-alternative nel finale mostra le sue dubbie qualità canore e il suo indiscutibile animalismo da palco, trasportato poi nel mondo reale grazie al progetto The Licks. E visto che parliamo di musicisti fittizi, non sarebbe giusto mettere da parte Winslow Leach, nel faustiano “Il fantasma del palcoscenico” di Brian De Palma: capolavoro musical horror mai troppo considerato. La colonna sonora mescola la surf music con l’heavy metal, è interpretata da vari cantanti e complessi fittizi e interamente composta da Paul Williams, autore country rock degli anni 70 che nel film interpreta una specie di Dorian Grey discografico.
Ah, tra le pseudo band dimenticavo i “London”. Chi ha visto il documentario “The Decline of Western Civilization II” può confermare. Come no? Sul serio credete che siano esistiti davvero? Ma andiamo… non lo credono più nemmeno loro.