RAGE & LINGUA MORTIS ORCHESTRA – LMO (NUCLEAR BLAST, 2013)

 

Immaginate un tipo di cinquant’anni che decide di tornare a parlare e agire come quando ne aveva diciotto, magari indossando gli stessi vestiti recuperati dal fondo dell’armadio, in barba alle evidenti digressioni lipidiche. I Rage non sono tra le decine di band storiche che cercano di arrancare a passo di paguro in direzione di quei suoni e quei riff del passato remoto.

La band di Wagner inoltre ha subito così tanti cambi di line-up ed evoluzioni che quando si parla di loro in veste classica c’è chi pensa al periodo “Perfect Man”/ “Reflections Of A Shadow”, chi a “The Missing Link”/“Trapped”/“Black In Mind” e chi addirittura parla di “XIII”

Negli ultimi anni anche loro si sono rimessi in paro con la velocità e la potenza dopo il temporaneo e contestato ammorbidimento di “Ghost/Welcome To The Other Side”, ma non hanno smesso di crescere con gli arrangiamenti, le strutture e le strizzatine d’occhio ai Rush di inizio 80.
su dai, battete le manineeee!
Dopo gli esperimenti poco entusiasmanti del periodo ‘96/’98, i Rage e la Lingua Mortis Orchestra decidono di fare una rimpatriata e stavolta con un progetto ambizios: un concept originale sui roghi di streghe del ‘500. Victor Smolski ormai ha campo libero per quanto riguarda le composizioni e la produzione (in coppia con Charlie Bauerfeind) mentre Peavy è concentrato sui testi e le strutture generali, il disco però convince poco nonostante sia un lavoro tecnicamente impeccabile, suonato da dio e molto equilibrato. Il problema di fondo? Non ha una grande ispirazione dietro ma tanto, troppo mestiere. “LMO” è ambizioso, ricercato, arioso però è pieno di ingenuità, giri di accordi che andrebbero banditi dal libro del metal per almeno vent’anni e a cui Smolski si aggrappa appena può, come uno stanco nuotatore in mezzo all’oceano si avvinghia a un vecchio, fradicio tronchetto dell’infelicità e della miseria.  (è molto bella questa frase, molto elegante).
Nell’insieme è un lavoro che ricorda molto i Savatage (“The Devil’s Bride”) e gli Avantasia (“Eye For An Eye”), con l’incedere spesso maestoso e cadenzato e il continuo alternarsi di voci, tra Pivey, le due cantanti della lingua Mortis Jeannette Marchewka, Dana Harngee e le incursioni tutt’altro che decisive del signor Henning Basse (ex Metalium e Sons Of Seasons).
mberouerouerrrroumbewow!
Dai Rage non si pretende più nulla, ormai. Del resto hanno infilato per vent’anni dischi meravigliosi nella quasi totale indifferenza e non mi si dica di no. Possiamo accontentarci, quindi e godere gli sporadici ma genuini brividi nella ballad “Lament” e le rivisitazioni di due brani tratti da “Welcome To The Other Side” (“Straight To Hell” e “One More Time”), che aggiunte come bonus risultano più avvincenti di tutto il concept messo insieme. (Francesco Ceccamerda)