“If Christ is the Answer, then what is the Question?” Esiste una musica in grado di personificare il Male? Suoni capaci di dar forma, immagine e carne al Male Assoluto? Nella vostra carriera di ascoltatori di musica vi siete mai imbattutti in qualcosa che vi abbia seriamente destabilizzato all’ascolto? Fermi, rimettete a posto il ciarpame di gente che si dipinge la faccia di bianco, si fa lo sciampo col sangue di capra delle alpi svizzere e si deterge le ascelle con l’eau de Belzebù, non esiste gruppo black metal al mondo che possa spaventare un individuo sopra i 13 anni. Basta un pezzo a caso dei Black Widow, degli Amon Düül o dei Death In June per asfaltare la produzione di intere legioni di bimbiminkia o ragazzottiscresciutiminkia che giocano a fare i misantropi satanassi.
Parlo veramente di musica che scuote l’anima e ci getta in una spirale negativa dalla quale è faticosissimo riemergere, o dalla quale, in ogni caso, si riemerge profondamente cambiati e consapevoli. Nel mio caso questo incontro è avvenuto con uno svedese pazzo (quanto quell’altro arabo, Abdul Alhazred). Si chiama Tomas Pettersson, e il suo progetto risponde al nome di Ordo Rosarius Equilibrio (O.R.E.). Messi in soffitta gli Archon Satani, nel ’93 Petterson, assieme alla allora fiancée Chelsea Krook – una morettona cavallona dall’aria contadina e un po’ truce – dà luce (meglio tenebre) alla sua nuova creatura. Il primo album è del’95, “Reaping The Fallen, The First Harvest”, e già cambia il corso della storia della paura in musica. La produzione è di marca Cold Meat Industry, quindi immaginatevi quelle tipiche sonorità dark ambient, intrise di apocalisse e neofolk. Niente foto, niente liner notes esplicative, nemmeno i nomi dei musicisti coinvolti, solo musica, testi (non tutti) e una copertina inquietante e minacciosa. La stoffa degli Ordo Equilibrio viene subito fuori; provate ad ascoltare quel cd in cuffia, immersi nel buio, osate….

Il successivo “The Triumph Of Light….And Thy Thirteen Shadows Of Love” del ’97 (abituatevi a titoli chilometrici) fa scopa col debut. Ne riprende le medesime sonorità e le amplia in direzione di terrore e angoscia. Petterson fonde minimalismo rumorista, atmosferee mortifere, e samples lascivi ad un’estetica assai peculiare. Il Male degli Ordo Equilibrio non è necessariamente Lucifero, quel mostro o quel serial killer, non c’è una identificazione chiara e personalizzata insomma, ed è proprio questo che acuisce il senso di disagio. Qualcosa ci minaccia, negativo, ostile, impalpabile. La copertina del disco è indicativa, un consesso di sapienti col corpo senza testa. Sarcasmo, cinismo, misticismo (nero), esoterismo, erotismo, superomismo, darwinismo, esistenzialismo, gnosticismo, religione umiliata e trasfigurata (non necessariamente in un’ottica anticristiana, la prospettiva è più ampia e sottile…), l’universo degli Ordo Equilibrio è profondo e distruttivo come un Buco Nero. Mentre ascoltate quelle tracce, mentre Tomas e Chelsey a turno recitano le proprie liriche, con fare marziale e defilato al contempo (senza mai sopraffare i suoni), la sensazione è quella di essere deceduti e poi risorti, ma l’orizzonte è rovesciato rispetto a quello che ci hanno insegnato a catechismo. Siamo in una piana deserta, senza nessuna forma di vita attorno a noi, nessuna variazioni cromatica o morfologica, solo un’immensa distesa di spazio da percorrere, abitare, nella certezza della solitudine sempiterna, del vuoto che non cambia mai. Abbandono, disperazione, insostenibile privazione del tutto. L’idea folle di essere l’unica cosa esistente dentro qualcosa che non esiste, che non può esistere, e sarà così per sempre. “The Triumph Of Light….” vi scava dentro come un insetto infaticabile, raggiungendo la fonte profonda della vostra essenza, riempiendola di sapienza arcana e indecifrabile allo stesso tempo. Vi lascia disarmati, distrutti, increduli. Al cenacolo degli Ordo Equilibrio partecipano entità ultraterrene e sovrannaturali, demoni ed angeli, creature incomprensibili, e non è escluso che voi siate il piatto forte del menù. Con “Conquest, Love & Self Perseverance” (’98) inizia a cambiare qualcosa. Il tema dell’erotismo, declinato nelle sfumature del feticismo, del BDSM, dello scambismo, del travestitismo e della masturbazione, prende sempre più piede nell’immaginario di Pettersson. L’esplorazione del corpo diviene un’esperienza tanto voluttuosa quanto sacrale, un rituale totalizzante. Permane la sottotraccia occultistica, ma la luce che scintilla nei solchi del disco è indubitablmente rossa. Perversioni consensuali, schiavismo, umiliazioni, non c’è limite alla disponibilità del proprio corpo quando si è alla ricerca escatologica del piacere.

“Make Love, And War” (2001) è un grandioso concept nonché un climax artistico per la band. Chelsey viene sotituita da Marie Rose Larsen, nuova musa di Pettersson (tutt’altra figura: bionda, elegante, sensuale). In suo onore viene introdotto il termine Roses nel monicker della band, che passa quindi ad essere Ordo Rosarius Equilibrio (una contrazione di “Order of the Rose and the Balance”, in evidente assonanza e filiazione dell’Ordo Templi Orientis). L’opera consta di due album, “The Wedlock Of Roses” e “The Wedlock Of Equilibrium”, il sound degli O.R.E. cresce a matura ulteriormente, arricchendosi di personalità. Qui vengono introdotti i primi germi di musicalità che esploderanno nei dischi successivi. La title track “Make Love And War” è qualcosa di sconvolgente a mio parere; anche a distanza di anni, rimane uno dei pezzi più inquietanti e allucinati che io abbia mai sentito. Irradia ferocemente tutta la filosofia degli Ordo Rosarius Equilibrio (sacrilegamente opposta e rovesciata a quella del lagnosissimo John Lennon di “Imagine”), nella mistica bellezza delle sue melodie e nelle sue liriche incendiarie eppure rigeneratrici. Immaginate una spiaggia europea, immaginate la Normandia dopo lo sbarco alleato, a guerra finita; soldati americani e alleati si intrattengono con la popolazione locale, intessendo rapporti ed assecondando la curiosità della conoscenza reciproca, mentre le onde dell’Atlantico lambiscono dolcemente la costa sciaguattando e rincorrendosi fino al bagnasciuga, come per gioco. Ed in un clima di devastazione, morte e violenza appena trascorsi, nel quale la guerra ed il conflitto – enti supremi regolatori della vita dell’uomo e delle sue ragioni – hanno svolto il proprio compito trascendentale e semi-divino, l’umanità, in uniforme e in abiti civili, si abbandona ai piaceri delle unioni carnali e al contempo spirituali, fratelli con sorelle, sorelle con sorelle, fratelli con fratelli, senza alcun freno, senza alcuna inibizione, senza alcuno scrupolo morale, senza alcuna parvenza di artefatta sovrastruttura sociale. Il fascino delle uniformi è pura lussuria, un richiamo ineludibile; decadenza e fertilità, dominazione e sottomissione, prede e conquistatori, coraggio ed eccitazione, armonia ed accettazione, vittoria ed amore. Tutto si compie, l’uomo raggiunge la sua liberazione, la sua sublimazione nella trascendenza divina.

Nonostante tutto ciò, gli svedesi sono capaci di dare un seguito credibile alla propria carriera. Arriva “Cocktails, Carnage, Crucifixion And Pornography”, il cui acronico è beffardamente C.C.C.P. (i regimi totalitari, così come la religione, sono un bersaglio assai gradito da Pettersson, una fonte di spunti inesauribile), ma sullo sfondo c’è la decadenza dell’impero romano, dove “decadenza” sta per momento più alto di quella civiltà. Colpe, peccati, vizi, delitti, immoralità, praticamente il Caligola di Tinto Brass (altra fondamentale fonte di ispirazione di Pettersson, che in Salon Kitty ha praticamente la sua Bibbia concettuale) sublimato in 51 minuti. La musica degli O.R.E. si fa sempre più elegante, maestosa, solenne, inquieta, lussureggiante, depravata. Dopo uno split con i cugini italiani Spiritual Front (“Satyriasis”, 2005), cugini di sangue (e sperma), è il momento di “Apocalips” (2006), album nel quale trovano posto le prime vere canzoni di forma compiuta degl gruppo. Orchestrazioni e trionfi hanno sostituito in pianta stabile il minimalismo diabolico delle prime produzioni. La libido si va stemperando nella malinconia di domande senza risposte. “(Mercury Rising) Seduced By The Kisses Of Cinnar Sweet” e “Who Stole The Sun From Its Place In My Heart?” rimangono marchi a fuoco indelebili nella storia degli O.R.E., due momenti ineludibili della loro spiritualità sui generis. Pettersson dichiara di aver composto l’album sulla scorta di 13 relazioni sessuali avute da lui e Rose Marie assieme ad altre coppie ed amici; 13 movimenti di vita, di poco successivi per altro alla nascita del primo figlio dei due. “Apocalips” è un lavoro meraviglioso, gigantesco, dolce ed amaro, in grado di elargire tristezza e commozione.

Nel 2009 c’è “Onani”, un disco che ho apprezzato leggermente meno dei precedenti. Il suo plot verte sull’onanismo, la masturbazione, intesa come legittimo piacere per sé, e dono d’amore al/ai proprio/i partner. Un retrogusto pop è esploso nel songwriting degli O.R.E., chitarre slabbrate e liquide rischiano di candidarsi a soundtrack per un prossimo film di David Lynch. Ultima release in ordine di tempo è “Songs 4 Hate & Devotion” (2010) con gli O.R.E. oramai quasi del tutto trasfigurati in una pop band nichilista e beffarda, velenosi e pungenti come la coda di uno scorpione. I due singoli estratti, “Imbecile” e la title track, sono esplicativi in tal senso. Da Brass siamo passati al Kubrik di Eyes Wide Shut, non meno perverso e destabilizzante.