WATAIN, THEY RODE ON! RECENSIONE DELL’ULTIMO NON MOLTO ATTESO THE WILD HUNT (CENTURY MEDIA, 2013)

 
Si potrebbe definire “carino” un album black metal? In caso di The Wild Hunt, ultima uscita ufficiale dei Watain la risposta è sì. Eredi dei Dissection ma senza le palle per esserlo fino in fondo; rifiuti del genere metallico più reietto e oltranzista; odiati, discussi, adorati, sovraesposti oltre ogni ragione, non possiamo negare a questi fighetti griffati dall’inferno di essere riusciti a farsi notare e di saper cavalcare con grande maestria la scopa della discordia: un po’ come i Cradle Of Filth per tutti gli anni 90.

Se però si smettesse di inserirli nel filone black e ci si limitasse a considerarne solo l’influenza (assieme al thrash crucco, al death svedese e allo street/glam losangelino) si potrebbe solo dire che “The Wild Hunt” sia un discreto album metal, registrato troppo bene per non far storcere il naso a coloro che credettero nei Watain tanto tempo fa ma non abbastanza da escludere una buona fetta di pubblico raffinato e sordo al verbo della nera fiamma. Rispetto alle parti manettone in cui il gruppo tira al massimo in una baraonda sabbatica da notte sul Monte Calvo Mussorskyano, i momenti più convincenti dell’album sono le parti lente, marziali, cadenzate, come la spassosa “Black Flame March” e la lugubre titletrack. Non sorprende la prolungata ballad “They Rode On”, dal tocco quasi glamour, mentre “Outlaw” spiazza e seduce con quel suo coro tribale sinistro che affiora all’inizio e alla fine di una jam schizoide più vicina ai vecchi Destruction che altro. Eterni rimandati. Copertina:

Se non altro hanno evitato di riproporci quei cazzo di cavalcatori a pelo che trottano tra le nuvole.

 

(Francesco Ceccamea)