Se però si smettesse di inserirli nel filone black e ci si limitasse a considerarne solo l’influenza (assieme al thrash crucco, al death svedese e allo street/glam losangelino) si potrebbe solo dire che “The Wild Hunt” sia un discreto album metal, registrato troppo bene per non far storcere il naso a coloro che credettero nei Watain tanto tempo fa ma non abbastanza da escludere una buona fetta di pubblico raffinato e sordo al verbo della nera fiamma. Rispetto alle parti manettone in cui il gruppo tira al massimo in una baraonda sabbatica da notte sul Monte Calvo Mussorskyano, i momenti più convincenti dell’album sono le parti lente, marziali, cadenzate, come la spassosa “Black Flame March” e la lugubre titletrack. Non sorprende la prolungata ballad “They Rode On”, dal tocco quasi glamour, mentre “Outlaw” spiazza e seduce con quel suo coro tribale sinistro che affiora all’inizio e alla fine di una jam schizoide più vicina ai vecchi Destruction che altro. Eterni rimandati. Copertina:
![]() |
Se non altro hanno evitato di riproporci quei cazzo di cavalcatori a pelo che trottano tra le nuvole. |