A MESSA CON GLI ULVER – RECENSIONE DEL NUOVO ALBUM MESSE I.X- VI.X

 
Il percorso dei lupi norvegesi si arricchisce di un nuovo capitolo in quello che è un cammino di ricerca fra i più singolari della storia del metal.

Kristoffer Rygg, in arte Garm, il silenzioso e carismatico leader degli Ulver, riesce ancora una volta a progettare un lavoro in grado di soddisfare i palati fini di coloro che seguono la band dagli esordi, all’alba di quella trilogia che segnò la loro effettiva introduzione nel mondo del black metal: 

“Bergtatt”…

“Kveldssanger”…

e “Nattens madrigal”.
 
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia se è vero che l’evoluzione di Garm ha portato la sua creatura a confrontarsi nel tempo con sonorità ambient, industrial, noise, fino a inserti free jazz e a campionamenti synth, che hanno delineato strutture musicali sofisticate, elaborate, non sempre di facile assimilazione. Un mutamento, questo, non proprio gradito alle frange estreme black, restie allo scardinamento di certi vecchi pilastri come lo scream e il blast beat.
 
Del resto Garm non ha mai mostrato particolare interesse nel partorire lavori fruibili da un punto di vista discografico, lo dimostra il coraggioso “Themes from William Blake’s the marriage of heaven and hell”, vera e propria svolta nella carriera dei norvegesi, punto di non ritorno verso quelle sonorità ovattate che nel tempo svilupperanno fino a farli diventare una delle realtà più interessanti nel panorama etichettato come avantgarde. In questo senso “Messe I.X- VI.X”  è il naturale proseguimento di un cammino che ha trovato i suoi picchi di sperimentalismo in lavori come “Teachings In Silence”, “A Quick Fix Of Melancholy” e “Svidd Neger”, dove la “parola” è quasi del tutto rimossa per lasciar spazio a composizioni strumentali avvolgenti, ipnotiche nella loro ricorsività, esaltate da un uso massiccio di campionamenti.
 
 
In “Messe I.X- VI.X”  però Garm si è spinto decisamente oltre; erano in molti a volere un album in studio che lo portasse a confrontarsi direttamente con un’orchestra di musica classica, visto lo splendido lavoro ottenuto con l’ensamble operistico di Oslo, di cui abbiamo testimonianza in “The Norwegian National Opera”. E gli Ulver, dopo un lavoro non proprio memorabile come “Childhood’s End”, lo hanno fatto, superando se stessi.
 
Realizzato con l’orchestra sinfonica di Tromsø, guidata e diretta da Martin Romberg, “Messe I.X- VI.X”  è stato successivamente riarrangiato in studio, dove gli Ulver hanno elaborato tutta quella serie di variazioni che rendono quest’album un viaggio onirico nell’universo direttamente tessuto dalla creatività di Garm. In una recente intervista il musicista norvegese espone le numerose influenze che hanno segnato la genesi di questo lavoro e sono davvero infinite, legate da un filo sottile che solo la sensibilità di coloro che possono fregiarsi del titolo di “artista” riescono a coniugare in modo così complesso, senza risultare indigesti e incomprensibili: dalla musica kraut al minimalismo di Terry Riley, passando per la musica classica di Górecki e Mahler fino ad omaggiare John Carpenter e certe visioni pop degli anni 80.
 
 
L’album si apre con “As Syrians Pour In, Lebanon Grapples With Ghosts Of A Bloody Past” una lunga litania sofferta, introdotta da dei violini e sorretta da una sezione lugubre di archi. Il titolo insolito della canzone deriva direttamente da una notizia dell’agenzia Reuters, che riportava un video di cronaca politica sulla complicata situazione in Medio Oriente. Questo video iniziava con un violino che ricalca, nella melodia triste, parte del motivo di questa prima traccia, significativamente costruita su una struttura che richiama direttamente la musica classica. Più consona alle sperimentazioni elettroniche di Garm è la successiva “Shri Schneider”, interludio alieno di poco più di 5 minuti che ci proietta in uno dei gioielli dell’album. “Glamour Box (Ostinati)” è un tuffarsi direttamente nelle visioni mistiche di questo esperimento di commistione fra musica classica ed elettronica: il brano rappresenta una perfetta sintesi tra quanto prodotto nel primo e nel secondo pezzo. A una prima parte interlocutoria realizzata con i synth subentra una seconda in cui gli archi accarezzano le parti elettroniche, creando un mood avvolgente che sembra pronto ad esplodere ma che in realtà si condensa nel quarto pezzo, la prima traccia in cui finalmente sentiamo la voce di Garm: “Son Of Man”. La canzone è una vera e propria preghiera: il testo lascia poco spazio all’immaginazione e una dimensione religiosa sembra connotare l’intero pezzo. Il brano dirompe proprio dopo le parole scandite da Garm, in un tripudio di elettronica e musica classica che lascia interdetti per la naturalezza con cui vengono amalgamati i due registri musicali. Messi a nudo di fronte alla fragilità con cui Garm rivela la propria “fede” si rimane storditi dal ritmo ipnotico con cui il pezzo incede senza mai calcare la mano, cullandoci appena. Non si fa in tempo ad abituarsi che Garm ricambia le carte in tavola e ci spiazza con un conclusione dal forte sapore classico, lenta, in punta d’arco, che chiude il brano lasciandoci con uno strano groppo in gola.
“Noche Oscura Del Alma” è il penultimo brano ed è un pezzo molto cupo, dalle forte tinte notturne; qui più che in altri pezzi la matrice sperimentale del Garm di “A Quick Fix Of Melancholy” viene fuori; delle voci campionate, prima una maschile e poi una femminile che si stagliano fra i sinistri rumori campionati e riproducono una sorta di silenzio dilatato, un bosco elettronico in cui ci aggiriamo alla ricerca di una via di fuga, smarriti nella non-struttura ritmica e privi di un reale orientamento sonoro. Chiude l’album l’incantevole “Mother Of Mercy”; in questa inaspettata prospettiva religiosa la “Madre della misericordia” ci accompagna alla conclusione di un viaggio traghettandoci in atmosfere ambient, intrise di profonda tristezza, arringati dalla voce di Garm. Quando poi il brano muta, con la chiusura dei violini e l’inizio di un recitato dell’ “Ave Maria” l’aria torna nuovamente pesante, funebre. L’organo, gli archi, i campionamenti elettronici ci inducono a lasciare la stanza, con lo stesso silenzio con cui siamo entrati. In punta di piedi, socchiudendo la porta, riassaporando la luce del sole. La messa è finita. Andiamo in pace?
(Vincenzo Trama)