Secondo i punti di vista i Chimaira non dovrebbero più essere una novità per nessuno eppure io credo che in molti, magari a causa dei primi due album vagamente orbitanti attorno al nu metal, non si siano degnati di approfondirli più di tanto. Ma questi sono problemi di carattere generazionale. Ad ogni modo è di questi giorni l’uscita del loro ultimo album, il settimo, The Crown of Phantoms. Mettetela come volete, io credo che i Chimaira siano uno dei gruppi più credibili in circolazione. Ciononostante occorre anche dire che della formazione iniziale sia rimasto solo il cantante Mark Hunter e questo, non lo nego, a me dà fastidio. Perché ci sento puzza di despotismo e di malafede. Insomma i Chimaira di oggi non sono i Chimaira di ieri e se non sono più i Chimaira perché continuare a chiamarsi in questo modo? Per contratto? Ma non è scorretto anteporre le regole di mercato alle esigenze artistiche? Cacchio, nei Chimaira oggi c’è un componente dei Chimaira e due dei Daath; non si chiamano Daath ma Chimaira. Questo per me è un problema. Fatte le dovute (?) considerazione di ordine etico e avendo polemizzato a sufficienza sarebbe anche d’uopo, adesso, dire due parole esatte sul nuovo album. Il nuovo singolo, No Mercy, ha già mandato in visibilio gli affezionati e, immagino, convinto quanti sostenevano la definitiva morte dei Chimaira dopo le ultime e definitive defezioni dei membri storici. Infatti, alla luce di tutta la mia malafede è davvero straniante trovarsi tra le mani un album che è comunque un ottimo lavoro, solido, monolitico, massiccio, sassoso e se avete un attimo di pazienza cerco altri sinonimi sul dizionario del corriere. Ma è anche vero che il genere, chiamiamolo groove, mi ha stancato parecchio. Oddio sono pezzi molto più oscuri e ossessi di quanto non lo erano quelli del precedente album, The Age of Hell. Difatti non si può dire che i Chimaira non si innovino. Da un album all’altro hanno sempre modificato, anche se quasi impercettibilmente, il proprio stile. Ciò risalterebbe maggiormente se dovessimo ascoltare il primo album, Pass Out of Existence, e poi l’ultimo. Quanto sono cambiati! Riterremo, invece, il discorso stilistico di minima importanza se accostassimo solo album cronologicamente contigui. Sì, è davvero un pregio questo. Pertanto adesso io ho un problema. L’album nel suo genere è ottimo ma il genere mi ha stancato. Come facciamo? Facciamo così. Adesso io circoscrivo tre gruppi. Il primo gruppo è costituito da coloro i quali non cercano altri cazzi. Ascoltano un genere e lo farebbero per sempre. Quando è così io quest’album ve lo consiglio vivamente. I pezzi sono cupi e violenti per come piacciono a voi, siamo in pienissimo groove e, da ultimo, si assiste a un più o meno piacevole processo di de-machineheadizzazione. Al secondo gruppo, che è composto da coloro i quali il genere lo conoscono bene ma lo trovano molto autoreferenziale e alla lunga ripetitivo e poco esaltante, l’album glielo consiglio meno vivamente. È comunque un lavoro di grande fattura, ci troverete forse 3-4 canzoni per le quali potreste persino entusiasmarvi (a me su tutte hanno impressionato piacevolmente almeno No mercy, Plastic Wonderland e la titletrack) ma il rischio che, a un ascolto prolungato, l’album risulti noioso è serio. Terzo gruppo: coloro i quali considerano i Machine Head buoni fino a The More Things Change; i Devildriver una mossa commerciale di Fafara, quel buffone dei Coal Chamber; I Sepultura morti con la fuoriuscita di Cavalera; i Soufly nient’altro che il giocattolo dello stesso Cavalera; i Lamb of God poco credibili; i Cavalera Conspiracy un’operazione commerciale; gli Ektomorf…chi? Ecco per il terzo gruppo io vorrei avere il dono della preveggenza storica e dirvi che tra un decennio una valutazione retrospettiva del metal mainstream coprirà di dignità artistica il groove. E quindi perché cristallizzarvi nei vostri feticismi musicali e non dargli un’opportunità? Non voglio vendervi l’aspirapolvere, sia chiaro, e non voglio nemmeno spararla grossa, però tenete conto che il metal nell’ultimo decennio si è espresso molto bene sotto questa forma. E se non avete ancora avuto occasione di ascoltarlo fino al vomito magari non lo disdegnerete. Di converso mi sento di dire che sta soffrendo i segni del tempo e pencola sempre più. Crown of Phantoms potrebbe essere, se non il canto del cigno, una delle ultime opere di discreta fattura di un genere che ha dato tanto e che rischia, non fosse per quel cospicuo zoccolo duro di fans, di implodere commercialmente. (Santo Premoli)