The Woodsman – Apologia del pedofilo con Kevin Bacon (USA, 2004)

Dimmi la cosa peggiore che hai fatto?

La peggiore? Ho scopato il marito della mia migliore amica. E tu che hai fatto?

Ho molestato delle ragazzine.

Il corpo di un attore è un’antologia dei suoi film. De Niro ha interpretato gente grassa, anoressica, palestrata, appesantita ma quella sua camminata sghemba lo tradisce ogni volta e ci ricorda che è sempre lui, De Niro. Anche nel più perfetto dei suoi travestimenti, quello dell’idraulico in Brazil.

Kevin Bacon è il ragazzo scatenato degli anni 80 in Footloose, una delle numerose, anonime disgrazie avvenute attorno a Crystal Lake in Venerdì 13 capitolo 1, ed è il poliziotto bastardo e violentatore di minori su Sleepers di Barry Levinson, ma nonostante tutti i suoi trascorsi, anche durante una delle scene clou di questa piccola, grandissima sfida che è Woodsman, (film lou-budget voluto da Bacon stesso con tutte le sue forze), quegli addominali scolpiti, il fisico slanciato, ci dicono che quest’uomo non è chi dice di essere, non è un ex detenuto che ha scontato una pena per pedofilia e che tenta un disperato reinserimento nella società. Quegli addominali ci dicono che Bacon è un ex ballerino e un ex secondino di ferro. 

Durante il film ci sono un sacco di inquadrature indagatrici sul corpo del protagonista, mentre fa la doccia, l’amore, si spoglia… come a voler sondare una mappa di dolore che possa giustificare le sue aberrazioni, riconducendoci invece ai trascorsi ballerini di inizio carriera extrafilmica, quando il giovane e aitante Kevin Bacon tappezzava le camerette delle ragazzine di cui a distanza di vent’anni ha finito per interpretare l’incubo peggiore.

Stavolta l’attore offre un ritratto “angelico” del pedofilo che va a compensare quello brutale e renitente a qualsiasi pentimento del carceriere di Sleepers. Costui era cattivo fino alle viscere, viscido e disgustoso mentre qui abbiamo un uomo sensibile, triste e pieno di rimorsi per aver fatto di preciso cosa non si sa. Durante le sedute dal terapeuta vengono fuori alcuni indizi e altri particolari ci sono forniti durante le scene di sesso con Eve (Mary Key, una specie di Julia Roberts dell’Eurospin).

La sorella amata e annusata spesso e volentieri durante l’infanzia, non vuole più vederlo. Il cognato è l’unico parente che ancora lo frequenta, gli racconta delle sue smanie etero da quattro soldi nei confronti delle tante belle ragazze che vede per strada e poi gli mette le mani addosso minacciandolo di morte quando lui (in uno dei rari momenti davvero controversi) gli domanda con un filo di voce se ha mai avuto desideri sessuali verso sua figlia. Tutti, una volta saputo chi è Walter, (questo è il nome del protagonista) finiscono per disprezzarlo apertamente, discriminarlo e fuggire. I pochi che restano, lo ammorbano con i loro segreti, le loro perversioni, come se un pedofilo possa comprendere il lato oscuro che tutti, chi più chi meno, teniamo nascosto dentro di noi.

Ma chi è questo Walter, cosa ha fatto? Le ha poi sodomizzate queste bambine che gli sono costate anni di galera e un ritorno alla vita quasi impossibile? Sembra una cosa greve da chiedere ma il punto è questo. Insomma, chi abbiamo davanti? Un vero mostro o una via di mezzo? Il film, per la sua idea di base è molto coraggioso: vuole raccontare la pedofilia dal punto di vista di chi la pratica. Vuole dirci che anche nelle forme più immonde siamo sempre uomini, con dei sentimenti, ricordi, incubi, amori e sogni.

Però ecco che si iniziano a eliminare i tanti elementi inconciliabili tipo la violenza (Walter non ha mai fatto male a nessuna di loro), la perversione (lui annusa i loro capelli e le tiene sulle ginocchia) e si arriva al punto di trasformare il protagonista in un detective specializzato nel riconoscere i violentatori di bambini, in un tentativo all’insegna della più bassa retorica americana sul bisogno di redenzione di chi ha commesso un errore.

C’è un pedofilo che si aggira nella scuola di fronte all’appartamento dove Walter vive. Lui ne segue le mosse, prende appunti sul diario che il terapeuta gli ha chiesto di tenere. Sente di non poterlo denunciare perché teme di non essere creduto, in rari momenti arriva quasi a scaricare parte delle colpe sui bambini che finiscono per salire sulla macchina del maniaco in cambio di un po’ di caramelle, come a dire che se la cercano e sono un po’ puttani.

Ci sono diverse citazioni horror: la palla rossa che a volte compare ricorda Operazione Paura di Mario Bava e quelle bambine fantasma, (le vittime di Walter) non sono meno spettrali. L’incontro con la piccola birdwatcher, nei boschi, riporta alla scena del Frankenstein di James Whale solo che qui avviene la vera mutazione verso la normalità odiosa e inarrivabile. Lui sta per approfittarsi di lei. La seduce con dei complimenti sulla sua bellezza particolare, le chiede di sedersi sulle sue ginocchia e lei scoppiando a piangere gli racconta di come anche il papà le chieda di fare lo stesso. Lì scatta qualcosa che trasforma (narrativamente) Walter in un uomo migliore. Lui la lascia andare sebbene la bambina finisca il suo monologo aggiungendo che in fondo lei salirebbe sulle sue ginocchia se lui lo volesse ancora. Ma lui non vuole. Poi torna a casa e pesta a sangue il pedofilo che si aggira lungo la sua via.

Il bisogno fisico che Walter ha di quelle bambine ci viene mostrato nell’unica scena davvero sensuale del film. Le scopate “normali” tra lui e Eve sono fredde, pallose, ma quando lui la mette sulle sue ginocchia, le affonda il viso nei capelli  e inizia a strofinarlesi contro, tenendola ferma con una certa forza, allora lì tutto diventa hot e immondo allo stesso tempo. Lo è per lui e non per lei che mostra confusione. Lo è per noi, anche se capiamo a cosa si stia alludendo.

Ovviamente Walter ha anche delle attenuanti suggerite solo da una breve scena. Il terapeuta mentre lo interroga scivola alle sue spalle e lui ha una pessima reazione. “Non ci voglio nessuno dietro di me”, dice rabbioso. Questo può voler dire sia che abbia subito violenza in prigione (cosa quasi scontata) ma forse che sia successo prima, da bambino. Suo padre o un amico di famiglia può aver approfittato di lui facendolo sprofondare in un tunnel di colpe e paura che poi lo ha spinto a cercare l’amore negli aromi dolci e forti di una capigliatura infantile, nel leggero e fragile fisico di una ragazzina: la sorella con cui spesso dormiva assieme da bambino e che oggi rifiuta anche solo di sentir parlare di lui.

Il problema del film, (a parte la mancanza di palle di arrivare fino in fondo) è l’aria funebre che si respira dall’inizio alla fine, con una colonna sonora che sembra rubata alla Banda Osiris de L’imbalsamatore e una fotografia crepuscolare che affoga lo spettatore in una depressione post-coitale. Per carità, l’argomento è terribile, ma quel tono luttuoso appesantisce tutto quanto suggerendo una specie di bisogno da parte del regista Lee Daniels di rifugiarsi in un castello retorico da film dossier di Canale 5 del dopopranzo.

L’unico momento davvero ingegnoso e che affronta la cosa con coraggio e la giusta dose di leggerezza è quando la scena dell’adescamento di un bambino da parte del pedofilo che si muove intorno a casa di Walter viene proposta come una partita, con la voce di Bacon che fa la telecronaca. Peccato che sia una cosa di due minuti ma dimostra che oltre al coraggio ci sarebbe voluto anche il genio per venir fuori vivi da questa escursione nel regno delle tenebre.