Sahg 1,2 e 3. Ti aspettavi il 4 e invece cambiano non solo il bassista, ma pure il titolo. Forse era colpa sua, di Tom Cato Visnes (meglio noto come King Ov Hell), che il gruppo rimanesse la classica cover band dei Black Sabbath. Ma pure gli Orchid lo sono, solo che questi hanno capito la rotta. Ora ci si mettono anche i norvegesi e ben venga Delusions Of Grandeur. Siamo sempre li, nel doom/rock occulto degli anni 70/80, ma c’è nuova carne sul fuoco. Olav Iversen, il cantante, capisce che a fare il sosia di Ozzy non potrà pagarsi sempre le bollette e decide quindi di apportare il suo stile, essere più espressivo negli 8 pezzi che compongono l’album. Psichedelico fin dalla copertina. No, non hanno deciso di coverizzare gli Oranssi Pazuzu del primo album. Verranno dalla terra del black metal, ma se ne tengono volentieri alla larga. Sarà come perdersi nello spazio, nel vuoto cosmico e a farvi compagnia solo i vinili dei Black Sabbath e Led Zeppelin. Perderete lentamente il vostro io.
(Voto Finale: 8.5)
Li ho già affrontati nel precedente episodio, ma VUOI che trovo riduttivo limitarmi a parlare solo del loro best of, VUOI che l’ho ascoltato quest’anno, VUOI di dare la colpa a quel cavolo di live report di Stereo Invaders che mi ha fatto rodere come un cane con i vermi allo stomaco… insomma eccomi qui a dirvi che Decaying In Obscurity degli Anatomia è un cazzo di album con le palle sotto. E chi se ne frega che suonano esattamente come gli Autopsy. In questo secondo lavoro le influenze si fanno molto italiane. Un omaggio a tutto tondo al cinema horror nostrano, quello di Argento con i Goblin, per intenderci. Altro che Dracula 3D. Non ne fanno mistero nelle loro interviste, conoscono il nostro cinema “de-genere” persino meglio dell’illustre me. Forse è per questo che ho simpatizzato all’istante. Fa la sua comparsa poi qui la tastiera, nuova amica fedele del gruppo. Chi ha mai detto che la tastiera nel metal non sa da fà? Fosse mancata l’album sarebbe caduto nel dimenticatoio neanche dopo il secondo ascolto. La semplicità dei riff -lenti, marci e ossessivi come neanche i Coffins – vengono sorretti dalle angoscianti atmosfere sapientemente create proprio dalle kays. Scrutano nella memoria dell’ascoltatore rendendo il muro sonoro soffocante come le mani d’un assassino con i suoi guanti di pelle che stringono la carotide. E la tastiera è la regina incontrastata.
(Voto Finale: 9)
Le mie conoscenze sono limitate, perché milito nell’ignoranza, ringrazio quindi a prescindere chiunque mi aiuti a uscire da questo stato grazie alla conoscenza. Presentatomi dal Cecca, i francesi Monolithe sono come s’evince dal nome, monolitici, (come magari il monolite di Kubrick portatore appunto della conoscenza). La fantasia nei nomi non è il loro forte, chiamando semplicemente il quarto album Monolithe IV. Apprezzate gruppi come Skepticism e nell’atlante avete messo come segnalibro ‘Russia, patria del funeral doom metal’? Ecco, sì loro sono francesi, ma dimentichiamo per un attimo le nazionalità, gli accenti con la R moscia e quelle cazzate che ci fanno sembrare più razzisti di Bossi quando parla del sud mondiale. Detrattori delle tastiere state lontani, questo è funeral doom d’atmosfera (altrimenti non tiravo in ballo prima gli Skepticism) Più vicino, sopratutto nelle battute iniziali, alla narrazione d’un film horror, i quattro ragazzi qui presenti mi hanno spaventato. Unica mia pecca è non aver ascoltato i precedenti I,II e III. Immaginare non serve, mi sono lasciato andare troppo nei monolitici 57 minuti dell’unica traccia. Ecco un appunto, se non siete nella ‘modalità’ giusta evitate pure l’ascolto, anche se a detta mia la modalità giusta i Monolithe sono benissimo in grado di crearla da soli a qualsiasi ascoltatore. Evitate se siete depressi però, potreste finire in stato catatonico.
(Voto Finale: 9)
I Candlemass hanno detto ‘non produrremo più album, non vogliamo mica essere ricordati per dei vecchi rincoglioniti come Iron Maiden & co’. Ok, non hanno proprio detto così, ma il senso è quello. Ciò non significa che Leif Edling, bassista dei succitati Candlemass, non debba sbarcare il lunario. È ben lontano dalla pensione e nonostante abbia dato tutto al suo gruppo principale, perché non tentare con un nuovo progetto? Rischi di meno la faccia e hai più libertà sperimentale. Se poi a coprirti le spalle c’è la Nuclear Blast, allora è d’obbligo provarci. Non importa che dietro alla formazione ci siano ben altri due ex Candlemass (Marcus Jidell alla chitarra e Carl Westholm alla tastiera) e Lars Sköld dei Tiamat alla batteria, davvero non importa perché basta ascoltare il primo minuto di Moonhorse per riconoscere la mano del signor Leif. Alla fine tutto l’album sarà così. Poi chiamatemi misogino, ma io le voci femminili non le ho mai sopportate, vuoi perché devono per forza suonare gothiche, vuoi perché devono suonare per forza femminili, ma a me scoccia sentirle nel metal, specie poi su roba che mi piace! La sconosciuta Jennie-Ann Smith (probabilmente è tenuta al guinzaglio da Leif) ha una voce epica niente male però segue le direttive dei pezzi, senza mai osare nulla di particolare. Anzi è l’album in se a non osare, trasformandosi in qualcosa di forzato anche per un appassionato di doom. Al primo sei tutto in fibrillazione, al secondo inizi a notare i difetti e se arrivi al terzo poi lasci il cd a impolverarsi nella teca. Non è che solo perché dietro alla confezione c’è scritto Nuclear Blast il disco debba suonare per forza bene.
(Voto Finale: 6.5)
Bonus finale. Io non sapevo neanche che i Coffins avessero in lavorazione un nuovo split, figuriamoci poi la scoperta che è con i Noothgrush. Sulle bare niente di nuovo. Se vi è piaciuto The Fleshland mi chiedo perché vi state ancora chiedendo se vale la pena ascoltare anche questo. Sono sempre quei quattro ragazzoni dal Giappone, più ispirati che mai dalla peperonata a mezzanotte. Incubi che solo i gabinetti sanno raccontare. I Noothgrush per chi non li conoscesse, sono fautori d’un interessante sludge/doom metal. Dico interessante, perché lo sludge da simpatico mi sta iniziando a stare un po’ sui gioielli di famiglia. Basta copiare gli Eyehategod e tutti si credono la nuova stella del fango. Questi sono in giro dal ’94, ma la loro carriera è durata poco. Chiuso il progetto per dieci anni con un solo album all’attivo, tornano nel 2011 producendo questo, un altro split e un live. Gente che se la prende comoda, ma dalle qualità elevate. Per chi ama dannarsi le nottate sul gabinetto.
(Senza voto)