Nel corso di queste settimane ho più volte sentito che era arrivato il momento di buttar giù due parole di introduzione a questa intervista. Avere una famiglia però non sempre ti permette di fare quello che vuoi. E così ho rinviato. Ora sono qui, alle 6 di mattina e non so cosa scrivere. Forse è un bene. Elvezio la penserebbe senz’altro così. Nel senso che nei momenti in cui io sentivo l’ispirazione per parlare di lui le mie intenzioni erano quelle di celebrarlo, riempirlo di complimenti, convincere il mondo che tutti farebbero bene a leggere i suoi post e dopo a inviargli dei soldi a casa per pagarsi le birre e comprare cibo di qualità per i suoi numerosi gatti. Non penso lui avrebbe apprezzato. Si sarebbe sentito a disagio, come minimo. In effetti, non ama tirarsela e questo spinge chi lo ammira a credere ancora di più in lui.
Elvezio per me è come un compositore di musica sinfonica che scrive le sue meravigliose partiture sapendo che poi usciranno solo dagli amplificatori gracchianti di una metropolitana. Internet secondo me è questo, cercare di trattenere degli sconosciuti indaffarati in un tetro e puzzoso sottosuolo, convincerli a non prendere questo ma un prossimo treno. Se non mi seguite è un problema mio, lasciatemi perdere. Torniamo al signor Sciallis. Sono un fedele lettore del suo blog Malpertuis (che come solo i lettori di horror più scafati sanno è il titolo di uno straordinario romanzo dello scrittore belga Jean Rey) e ogni volta resto folgorato e commosso dalla bravura e la serietà che mostra nei suoi articoli. E mi sento in colpa perché avverto il gran lavoro che c’è dietro, la qualità inusuale per un pezzo pubblicato in rete, mi dico che dovrei pagare per una roba del genere. E Sciallis sarebbe d’accordo con me, ma non perché lui sia uno stronzo presuntuoso, in fondo. No, è una cosa che lui sostiene in generale: nessuno dovrebbe scrivere gratis, il discorso della visibilità è tutta una truffa. In fondo tutti noi che pubblichiamo le nostre cose in rete o per qualche rivista gli daremmo ragione, ma sono in pochi a lavorare come se davvero fosse così. La maggior parte delle cose che escono in rete o nei magazine di genere (parliamo di cinema horror e musica metal, in particolare) valgono poco o nulla. Del resto nessuno li paga, quindi perché sforzarsi di scrivere cose davvero valide, perderci ore e ore a documentarsi e correggere le bozze… Elvezio invece lavora ai suoi pezzi con coscienza, impegno e grande passione, al punto da farti sentire un verme scroccone e basta. All’estero questa è la norma. In America ci sono tanti bravi scrittori che pubblicano articoli di qualità e professionalità. Qui da noi siamo più una gran manica di scribacchini dilettanti che non fanno nulla per migliorare. Siamo come camerieri volentersi ma nessuno ci paga quindi serviamo ai tavoli senza lavarci e scorreggiando quando ci va. Questa mentalità andrebbe cambiata. Per essere pagati dovremmo mostrare prima di tutto noi di meritarci dei soldi e convincere il nostro pubblico che è così. Elvezio è coerente e se iniziasse a chiedere un piccolo contributo, non tutti, ma la maggior parte dei suoi lettori pagherebbero. Io pagherei. Io preferirei investire i miei soldi per comprare articoli suoi piuttosto che offrirli a un grafico che migliori l’aspetto del mio blog. E lo farei perché Sciallis oltre a essere bravissimo è anche professionale, serio e competente.
Mi rendo conto che in fondo, che se nelle intenzioni iniziali di questa pappardella non volevo lodarlo e sbrodarlo, l’ho fatto. Inoltre ho ridotto un discorso serio a una specie di questua in suo onore, ma come si fa a evitarlo? Leggetevi l’intervista e poi passate al suo blog, agli articoli sul cinema, ai racconti. E pregate con me che un editore onesto e con i bilanci in buona salute lo salvi da questo pozzo di saccentoni e trolloni che è internet.
Ah, quasi dimenticavo. Le domande non sono tutte mie. Ci ho lavorato insieme a Michele Marinel, un bravo et valoroso giovine che reputo il più fantasioso recensore metal che abbiamo in Italia. So che è come dire roba tipo “il politico più onesto” ma non intendo sminuirlo. Leggetevi un paio di esempi (qui e qui) e poi ne riparliamo.
1 – Il tuo blog è straordinario proprio per quel modo che hai in ogni articolo (sempre più sporadico, per la verità) di andare contro a tutte le logiche illogiche di internet (sintesi, cavalcare l’attualità imbizzarrita, trollare). I tuoi articoli sono lunghi, scritti meravigliosamente, approfonditi come saggi veri e propri e non se li caca nessuno, giusto?
Ciao Francesco (e ciao a chiunque stia leggendo), innanzitutto permettimi di ringraziarti sia per questa opportunità di scambiare quattro chiacchiere sia per i complimenti al blog che non so quanto siano meritati, specie se penso a certi saggisti e critici di cinema horror che ammiro sul serio e scrivono cose ben più importanti delle mie.
Sulla sporadicità posso trovare qualche scusante sparsa: ho avuto un periodo molto incasinato, gli ultimi mesi sono stati carichi sia di problemi famigliari che di eventi piacevoli ma impegnativi, ho viaggiato ben più della mia media, ho frequentato parecchi amici e tutto ciò inevitabilmente toglie tempo alla scrittura.
Se poi tieni conto che io preferisco comunque leggere, guardare un film o andare al pub piuttosto che mettermi a scrivere, capirai che il ritmo diventa davvero lento.
Rimedio quindi con la lunghezza: visto che i blogger di media postano intorno alle due cartelle standard e io invece giro anche sulle venti, diciamo che un mio post ne vale dieci per quanto riguarda la lunghezza e quindi alla fine non scrivo poi così sporadicamente
Attualità e sintesi non mi interessano, le mie letture online preferite sono articoli (con tutto il rispetto, ovviamente) simili ai miei, tipo alcune storie del New York Times e altre testate statunitensi, per dire, che lavorano proprio contro tutti i vari tipici consigli SEO, e sono storie splendide. Difficilmente vengo attratto da post brevi, mi annoiano, non li leggo, non mi servono a nulla, sono spesso pieni di tautologie o privi di una riflessione originale.
Capitolo visite: da quando sono ripartito con l’incarnazione attuale di Malpertuis non consulto più i vari dati di accesso proprio per non farmi condizionare in nessun modo ( “ah quel post è stato letto dieci volte di più rispetto all’altro, d’ora in poi produrrò più post simili a quello” per me è un ragionamento che uccide qualità e personalità), non mi interessano i dati ma credo che, sì, siano bassissimi.
Con il primo Malpertuis giravo talvolta intorno ai cinquemila lettori quotidiani e mi son progressivamente fatto condizionare da quei dati (e dai commenti) e la qualità del mio posting è calata, ho dato spazio ai vari trucchi classici per richiamare attenzione e il blog ha avuto sempre più visite e sempre meno qualità, ora cerco di evitare con cura queste meccaniche, anche a livello di commenti. Ho chiuso i commenti non certo per i troll (quelli li so gestire e anzi, mi piace gestirli, devo ammettere) o per evitare il confronto (chi vuole confrontarsi mi trova su FB o mail o, ancora, di persona) quanto proprio per sfuggire alle meccaniche da branco accondiscendente, da tipi che ti dicono quanto sei bravo e quanto si è tutti bravi noi blogger: non amo complimenti e pacche sulle spalle e non sopporto quando su un blog si forma un gruppo di fissi che applaudono il blogger attention whore, è un rischio che non saprei gestire e potrebbe influenzarmi a pensare che sono davvero cool, il mio metodo è invece scrivere/lavorare seriamente e per tutto il resto pigliare per il culo tutti, me per primo di fronte a uno specchio ogni mattina.
Ti faccio un ultimo esempio: un blog che adoro e dal quale ho imparato davvero tanto (o almeno spero) è quello di Adam Curtis, un giornalista BBC che ci ha regalato alcuni dei documentari più validi degli ultimi decenni.
Ebbene, sono andato a controllare proprio ora e il suo ultimo post è del 2 settembre e quello precedente risale all’8 agosto! Eppure non lo scambierei nemmeno per mille blogger che postano quotidianamente.
Poi, ci mancherebbe, ci sono anche per me i periodi che riesco a produrre due o tre interventi alla settimana, ma diciamo che preferisco concentrarmi sulla qualità, sia per quanto riguarda la mia scrittura che per quel che concerne il mio tipo di lettore: non voglio essere letto da qualcuno con l’attention span breve o interessato alle classifiche e alle foto delle scream queen e al filmettino del momentino, ne posso e voglio fare tranquillamente a meno.
2) Cosa ti ha spinto a diventare un blogger e cosa ti spinge oggi a continuare ad esserlo?
Lo stesso motivo che mi ha spinto a scrivere qualche racconto: vedo un film o leggo di una vicenda particolarmente curiosa o un romanzo interessante o semplicemente mi passa un’idea per la testa e da quel momento non riesco a smettere di pensarci. Ma in modo che sconfina con il clinico eh, questo pensiero mi occupa, come dire, della banda, piglia spazio nella mia RAM e alla fine diventa davvero problematico perché in qualche modo mi impedisce di pensare ad altro.
Quando completo un post quel pensiero trova forma fuori di me e non mi assilla più, è una liberazione: scrivere per me è una liberazione da dei pensieri fastidiosi.
Niente “demone della scrittura”, quindi, né “Non potrei vivere senza scrittura” o “scrivo per esprimermi” o ancora “scrivo per essere letto e tenendo sempre in mente i miei lettori”, no grazie: non devo campare con il blog, non vedo perché dovrei andare incontro a qualcuno.
Poi, se come valore aggiunto c’è il fatto di essere letto da qualche persona, ben venga e mi fa molto, molto piacere, ma quel che importa è liberarsi da questi cluster di pensiero.
3) Prima c’era Malpertuis, poi A Rip In The Fabric, poi di nuovo Malpertuis ma in una versione diversa: perché la scelta di ritornare sui tuoi passi eppure non del tutto?
Come ho avuto modo di spiegare prima, Malpertuis “Mark I” era degenerato: sempre più visite, sempre più commenti leggeri e accondiscendenti e sempre meno qualità.
C’era questo “obbligo” di postare spesso e quindi giù di gallery di attrici, vai con le classifiche dei film preferiti, fai domande ai lettori, cerchi di provocare flame, devi diventare sempre più cattivo, è un must tentare di cavalcare il sentimento “popolare”, fare l’anti-intellettuale, proclamarti difensore del genere contro il cattivo mainstream, accusare le brutte case editrici che disprezzano la moltitudine degli scrittori emergenti, fingere di ricevere più hate mail e troll di quelli che realmente si hanno, ammiccare, far battute, alleggerire, lanciare bordate ironiche e altri espedienti simili… Ovvio che se bombardi una platea con questi segni che la rassicurano, che la confortano, che la coccolano, che la spingono a dire “ehi questo la pensa come noi, siam troppo ganzi tutti quanti” ottieni più visite e pacche sulle spalle, credo sia normale. No, grazie, non ho bisogno di pacche sulle spalle, so chi sono e dove vado.
Quei moduli espressivi potrei ri-usarli ora con zero sforzo, a occhi chiusi, come un bot: si tratta di un sistema che paga moltissimo in termini di esposizione ed è anche il modo di postare più facile che ci sia, sforni un post al giorno senza problema.
E a me, così come non piacciono i film facili che consolano, non mi piacciono nemmeno i post facili.
C’è poi stata una grave crisi personale, uscivo fuori da un rapporto lunghissimo, ho incontrato la persona che poi è diventata mia moglie, sono cambiate tantissime cose in ogni ambito della vita privata, dal lavoro alla casa: non riuscivo a pensare al blog.
A Rip in the Fabric è stato per me stupendo e mi ha dato le giuste indicazioni per tornare a un Malpertuis che mi soddisfi: ho mantenuto tutti gli interventi del Malpertuis precedente che mi sembravano ancora validi, mi pare circa un quinto dei post, non di più, ho aggiunto quelli di A Rip in the Fabric, ho trovato una veste grafica che mi convince (e mi ha fatto piacere vederla imitata da altri, non sono il tipo che se viene copiato si incazza, anzi) e via, verso nuove avventure.
Posso dirti che solo ora e per la prima volta (così come mi sta capitando nella vita fuori dallo schermo) mi sento davvero e completamente “a casa”.
4 – Spesso ti sei fatto sentire (e forte) riguardo questa tendenza di scrivere gratis in cambio di visibilità. La cosa avviene non solo su internet ma anche in tutte le riviste di genere che escono in edicola. La gente scrive in cambio di cosa? Esperienza, fare curriculum, pubblicità? Sarà tutta una presa per il sedere, si tratta di un vergognoso sfruttamento?
Guarda, ormai sono stanco di avere una opinione al riguardo, così come non scrivo più critiche negative o post che si confrontano con questo e altri problemi, sono stanco anche solo di pensare a tutte queste persone che lavorano gratuitamente.
Mi sembra una cosa così incredibile che boh, diventa addirittura difficile confrontarsi con il fenomeno e non ci penso quasi più se non quando mi capita di leggere qualche notizia al riguardo. Sono ormai tanti anni che assistiamo a questa umiliazione e verrebbe da pensare se con l’ampia diffusione di certe notizie la gente dovrebbe aver smesso di lavorare gratuitamente per altri e invece mi sembrano in aumento.
Ho anche degli amici che lo fanno, persone che stimo eh, che ritengo capaci, e mi spiace che ci caschino.
I motivi che hai elencato tu c’entrano di sicuro e gli squali che sfruttano queste persone giocano appunto su visibilità, esperienza, fare curriculum ecc ecc.
Io ho tolto dal mio curriculum le collaborazioni gratuite che feci una decina di anni fa e mi vergogno di averle fatte, così come ovviamente mi vergogno di aver pubblicato a pagamento Il Dio nell’Alcova: chi legge i curriculum per valutare sa bene cosa siano queste collaborazioni e ne ride e ci fai una brutta figura, meglio quindi nasconderle dai curriculum.
Però posso dirti una cosa: ho cambiato un po’ opinione su quelli che ho appena chiamato squali. Rimangono per me persone spregevoli ma alla fine sono anche loro vampirizzati da questa massa di collaboratori gratuiti, sono più o meno anche loro vittime di un certo modo di pensare.
Ovvero questi caporali avranno sì degli scrittori gratis e guadagneranno qualche soldino o un po’ di fama grazie a loro, ma questi scrittori gli forniscono un prodotto scadente proprio perché gratuito: mi sembra un ottimo scambio, si meritano l’un l’altro ed entrambi meritano i tipi di lettori che hanno.
Cioè se qualcuno mi viene a dire “Oh ciao sono il direttore di X Rivista/Portale Horror che sfrutta scrittori senza pagarli”, io oltre che ridere degli schiavi rido anche dell’eventuale padrone.
I più validi poi si accorgono ben presto dell’inutilità di questo meccanismo e mollano il tutto, verranno sostituiti da altri in cerca d’esposizione in un ciclo eterno.
5– Quali blog italiani horror ti piacciono e leggi con una certa frequenza?
Non leggo quasi nulla di italiano e non voglio fare nemmeno un elenco troppo lungo di amici perché non sarebbe giusto, tanto loro lo sanno che leggo i loro blog e non abbiamo bisogno di queste dimostrazioni di stima e affetto. Diciamo che amo molto Love is the Devil, Il giorno degli Zombi, Midian e Oltre il fondo, per motivi diversi fra loro, ma ce ne sono anche altri.
6 – 10 ragioni per, 10 motivi per, 10 modi per… gli articoli dei blogger giocano disperatamente la carta del decalogo e ottengono qualche visita in più. Non ti scoraggia farti largo in questo paesaggio così deprimente? Insomma, molti giustificano la superficialità di internet. Pensano sia il luogo sbagliato dove tentare con degli approfondimenti. Internet e nel caso poi delle discussioni (facebook) non chiedono altro che qualche puttanata che si esaurisca nel titolo stesso, così da potersi lanciare in una rissa di commenti in cui dar sfoggio della propria ironia, dell’acume, della cultura personale…
Beh, in fondo è anche un po’ quel che stiamo facendo in questa intervista, no? Con tutte queste domande provocatorie che cercano di innestare o ravvivare qualche eventuale flame, di rinfocolare qualche faida o chissà che altro, son tutte cose meno importanti rispetto ad altre tematiche ma attirano i lettori, proprio per questo sto cercando di rispondere spiegando ogni elemento e al contempo cercando di disinnescare gli aspetti più “caldi”…
No, non mi può scoraggiare perché io non mi “faccio largo” da nessuna parte.
I modi per “farsi largo” li conosco, li posso talvolta usare per lavoro, ma se lo facessi sul mio blog sarebbe schizofrenia e/o ipocrisia.
La superficialità c’è se scegli di circondarti di superficialità.
Se ho smesso di leggere molti siti, se parecchi “amici” di un tempo mi hanno cancellato dal loro FB è proprio perché alla fine, con un po’ di sforzo, ti ritrovi insieme a persone, letture, visioni, esperienze piacevoli.
Io appena intravedo flame, troll, ironia usata a cazzo di cane e a sproposito (e io sono uno che ama l’ironia eh, tieni conto), strafottenza, superficialità, volgarità, maschilismo, razzismo, populismo, double standard e altro ancora semplicemente me ne vado: non ho bisogno di confrontarmi con queste cose.
Abbandono la conversazione, non leggo più il blog o la rivista, non guardo più i film di quell’autore, non frequento più quegli “amici” (ma raramente ho bannato, 3 o 4 persone su 400 e passa, figurati) e questo mi crea una sfera, sia in vita reale che virtuale, molto, molto bella nella quale queste cose di cui mi parli e chiedi semplicemente non esistono.
Un tempo mi incazzavo ma continuavo a spiare quel che dicevano queste persone sgradevoli ed è un errore terribile ma comprensibile; ora (ma non so darti la ricetta di come ci si riesca, scatta qualcosa, boh) semplicemente smetto del tutto di interessarmi di queste cose e via.
“Farsi largo” significherebbe reputarsi uguali a questi blogger di cui mi parli, significherebbe trovare stimolo e piacere nel giocare nel loro stesso campo, a fare il superficiale, il “pop”, l’attention whore, l’eroe del popolo contro gli snob radical chic o quel che altro si vuole.
Non fa per me, sono diverso e (non dovrei dirlo ma meglio comunque specificare, non si sa mai) differenza non implica superiorità o inferiorità eh.
E questo tocca davvero in modo cruciale anche l’aspetto “lettori e follower”. Ovvero: preferisci 10 ingressi interessati alla gallery di “gnoccolone horror semi svestite” o 1 singolo ingresso interessato a leggere qualcosa su come viene trattato il genere femminile all’interno della cinematografia horror?
Sono meglio dieci lettori entusiasti della classifica “cinque film horror da vedere a Natale” o un singolo lettore interessato alla storia dello slasher canadese?
Dieci lurker che amano leggere di flame e litigi su internet, che vogliono spiare ghignando i partigiani del libro di carta e quelli dell’e-book o millemila altre dicotomie inesistenti, o un aficionado che trova il tempo per leggere venti cartelle su un giocatore di basket con crisi di panico?
Puoi capire che per me la risposta è scontata ed è sempre uno, uno, un lettore.
E guarda, visto che probabilmente questa intervista la leggeranno molti miei lettori in quanto linkerò il tutto quando uscirà, permettimi di fare qui un piccolo annuncio rivolgendomi a loro in modo ancora più generale: guarda, se sei un maschilista, un fascio, un razzista, una persona che bazzica l’horror o le altre tematiche di cui parlo solo come un passatempo, uno più interessato all’aspetto pop e leggerino della vita, guarda, se puoi evita del tutto di leggermi, mi farebbe un sacco piacere perderti come lettore, grazie!!!
7 – Che ne pensi della nuova collana Urania horror uscita in edicola?
Non posso risponderti in quanto non ne ho letto nemmeno un volume, non sono nemmeno sicuro che sia una collana vera e propria, giusto? Ho intravisto un titolo e forse letto di futuri altri, sulla base dei titoli posso dire che a me pare la solita mossa insignificante compiuta da chi di horror ne mastica davvero poco, ma non posso osare una risposta seria e articolata, non conosco bene il prodotto in questione.
8 – Come ti spieghi il tracollo della Gargoyle?
Non sono un esperto di meccanismi editoriali e non seguo da tempo il mercato italiano, non sapevo nemmeno che ci fosse un recente “tracollo della Gargoyle”, i miei sarebbero pareri molto azzardati. So che è scomparso il precedente proprietario e già allora molti autori erano di qualità mediocre, per non dire pessima, con scelte che per me derivavano più da certi contatti con l’HWA che da una reale conoscenza della materia (meccanica che mi sembra ora si ripeta altrove, ma anche in questo caso non sono sicuro), questa però è solo la mia impressione, mi sono disinteressato in quanto non è casa editrice che possa sfornare roba per me valida e allora via, smetto di seguire.
Probabilmente con la scomparsa del titolare saranno state fatte scelte editoriali ancora peggiori, ma, appunto, parli con una persona non informata dei fatti, non voglio sbilanciarmi, l’Italia è già fin troppo piena di persone che parlano senza conoscere la materia.
9 – C’è qualche autore di libri horror italiano che valga il confronto con gente come Straub, Barker, Skipp & Spector, Ramsey Campbell? In generale, la scena horror del nostro paese, se mai ce ne sia una, è la solita conventicola o vanta qualche talento vero?
È una domanda scomoda. Se volessi cavarmela facile, visto che hai tirato fuori due grandi scrittori di genere come Campbell e Straub, potrei semplicemente dirti che no, in Italia non abbiamo autori al loro livello, nemmeno lontanamente, e credo che nemmeno i fan dei vari scrittori italiani avrebbero qualcosa da dire su questa affermazione.
Ma sarebbe solo un trucco dialettico, no?
Posso invece dirti che conosco alcuni scrittori che potrebbero dare molto e che hanno la fortuna di essere giovani.
Li conosco nel senso che alcuni li frequento anche di persona, beviamo insieme e quindi no, non farò i loro nomi: ci son già troppi che fan facilmente nomi di amici, quando comincio a conoscere una persona poi non parlo più volentieri della sua opera e anzi, magari quella stessa persona non sa nemmeno che lo leggo e sono suo fan, evito di dirglielo.
Questi scrittori hanno bisogno di crederci molto, di lavorare tantissimo, di beccarsi innumerevoli legnate e tanta, tanta onestà e di incontrare qualche tipo di occasione e un editor davvero cattivo. E credo che sia proprio su quanto ho appena elencato che tutti cadano molto male, vuoi per sfortuna, vuoi per incapacità di fare uno sforzo maggiore, vuoi per non saper reggere le critiche, vuoi per fretta e smania di apparire, vuoi per mancanza delle figure professionali adatte, vuoi per scarso interesse nei confronti di certi generi, vuoi per non so che altro.
Quindi rimaniamo con alcuni scrittori giovani e potenzialmente bravi che rischiano appunto di rimanere tutta la vita “potenzialmente bravi” e basta.
Sulla scena horror non ti saprei dire, non la frequento più da tanto tempo appunto perché, come ti ho spiegato, cerco di evitare determinate meccaniche, non so se sia cambiata o meno e non mi interessa.
10– Che cosa ci fai con quelle maschere antigas, hanno un peso nella vita coniugale?
Ahahaha no, no, per come sono goffo e scemo finirei soffocato se le indossassi più di tanto, le uso poche ore all’anno, per farmi qualche foto in giro.
Credo che la mia attrazione per le gasmask sia nata con la lettura di Sandman (e Sandman Mistery Theatre ancora di più) e da allora quando visito qualche Paese del Nord o dell’Est cerco di trovarne qualcuna: ne ho poche per ora, conto di ampliare la collezione.
11 –Sottolinei spesso il fatto che non ci sia differenza, o almeno non una grossa discontinuità tra “reale” e “virtuale”, cosa intendi?
Quando dico questo parlo di esperienza completamente personale.
Io mi comporto nello stesso modo in Rete e fuori, siamo amici su Facebook quindi hai ben presente quanto io sia stupido e cazzone lì sopra, ogni giorno. La stessa cosa avverrebbe se ci incontrassimo al pub, puoi contarci. È anche per questo che non ho mai usato un nickname in vita mia.
E riguarda ovviamente anche la possibile qualità dei discorsi seri: proprio ultimamente, a Lucca Comics, ho incontrato di persona alcuni contatti FB che non avevo mai visto prima e ci siamo trovati benissimo, abbiamo fatto il viaggio di ritorno in macchina discutendo di letteratura fantastica e cinema e avercene, di quei momenti.
Poi ovviamente si aggiungono le componenti gestuali, la voce e tutto quindi, certo, ci sono delle differenze, ma io non ho mai notato questa divisione di cui molti parlano ogni giorno.
Ho incontrato mia moglie su un forum horror e circa l’80% degli amici che frequento in reale li ho conosciuti prima in virtuale, figurati…
12 – Quando recensisci un film hai un metodo o ti metti lì, lo guardi, torni a casa, inizi a bere e quando sei particolarmente ubriaco ci dai dentro? Scherzi a parte, vorrei sapere se prendi appunti, se hai un registratorino su cui incidi le tue impressioni a bassa voce, nel buio della sala… insomma, come lavori, Elvezio?
Ormai vado raramente in sala.
Ma non per questioni, chessò, economiche o perché c’è casino: nei multisala di Milano mi è capitato raramente o forse mai di incontrare casino e per me sono dei posti splendidi, ottimi impianti e tutto, davvero da sogno, io sono pro-multisala e quindi mi dispiace molto di non frequentarle più spesso.
Non ci vado perché i film che vengono proiettati lì sono doppiati: io conosco bene l’inglese e quindi posso vedere i film anche senza sottotitoli e per me quel che perdo non vedendo su grande schermo è comunque meno di quel che perderei amputando il film di gran parte del sonoro e disprezzando la professionalità e talento degli attori coinvolti.
Ho uno schermo piuttosto grande a casa (e me ne comprerò uno ancora più grande). Non mi importa nulla se abbiamo i più bravi doppiatori del mondo, zero proprio, e appena noto che si comincia a discutere dell’annosa e pallosa questione “doppiatori vs sottotitoli” piazzo uno sbadiglio e me ne vado.
Per i film non inglesi ci sono i sottotitoli e quindi sono a posto anche lì.
Generalmente prendo appunti mentre guardo un film, non è obbligatorio ma diciamo che lo faccio molto spesso. Quasi sempre prima di scriverne lo rivedo, almeno delle parti, e leggo qualche blog italiano per controllare se ne hanno parlato, per evitare di ripetere i loro stessi concetti, per quanto possibile.
Ehi, spesso scrivo tenendo una bottiglia di quello buono a portata di mano, nulla di male, si scrive da ubriachi e si corregge da sobri, no?
13) Musicalmente parlando vieni, in grande parte, dall’hardcore punk, da cui hai mutuato anche parecchia impostazione etica, dovresti essere affine al DIY, eppure quando si parla di letteratura lanci frecciatine MOLTO pungenti nei riguardi dell’autopubblicazione. Qual è il problema?
La domanda mi offre la risposta, grazie! Prima di tutto diciamo che musicalmente parto (e torno, alla fine) dal country, folk, rock e cantautorato statunitense, inglese e italiano. Per darti un’idea, il mio eroe è Van Morrison.
Poi ho, come credo molti della mia età, passato una lunga fase di frequentazione dei centri sociali occupati e al tempo l’hardcore punk era il genere che imperava e mi ha influenzato molto, moltissimo.
Il DIY è un modo di agire che secondo me deve essere preso con le dovute pinze e ti posso fare proprio un esempio musicale che tocca l’hardcore punk e una band di cui ho parlato qualche tempo fa su Malpertuis, gli Hold Steady.
Provengono da ambienti e influenze hardcore, contaminate poi con millemila altre cose, ma quando hanno sfornato un album in grado di risaltare e brillare più intensamente, dopo una serie di titoli comunque interessanti?
Semplice, quando sono entrati in studio a farsi mettere sotto da un produttore di bravura, professionalità e competenza allucinanti come John Agnello, che ha saputo raffinare il tutto. Posso citarmi proprio da quel post, almeno non sembra che mi stia inventando ora una frase per l’occasione: “quel che però si perde in immediatezza si guadagna in profondità” e credo che questo sia decisivo quando si scrive.
Prova a leggere il Carver pre-editing e capirai cosa intendo, non c’è confronto.
Poi, ovviamente, se altre persone hanno diversi assiomi critici e preferiscono il Carver pre-editing (spiegando il perché sulla base di questi loro assiomi), ci sta tutta, ma mi piacerebbe che rimanessero sempre coerenti a questi metodi critici, mentre mi pare che li tirino fuori quando fa comodo e basta.
E naturalmente ci sono le eccezioni, gente dotata che BAM, scrive su un sacchetto di carta in un bar cose splendide che non hanno bisogno di interventi mai. Ma parlare delle eccezioni, in qualsiasi ambito, è stupido e privo di utilità: parliamo della media e del condiviso.
Le frecciatine pungenti, sai, non sono diverse da quelle che riservo a tantissimi altri avvenimenti, persone o aspetti del vivere, me stesso compreso e prima di tutti (e, di nuovo, essendo tu mio amico FB potrai confermare).
Ti faccio un esempio: su FB ho un amico che è un blogger molto, molto SEO-oriented, posta cose efficaci da quel punto di vista lì, è spesso in cima alle query, ma son post che a me non stimolano molto per quanto riguarda i contenuti.
Io quasi ogni giorno, in un modo o nell’altro, lo punzecchio pubblicamente, lui si fa quattro risate, magari mi contro-punzecchia e bella lì, tutto finito, nessun problema.
Chi non regge alle frecciatine, oh, son problemi suoi e solo suoi e temo che siano anche problemi grossi dal punto di vista psicologico.
Io non riesco a evitare di ridere se leggo un racconto o romanzo scritto coi piedi, gonfiato male, con una copertina orrenda, senza nessun tipo di editing o riflessione sulla letteratura e poi sbattuto su Amazon con addirittura un prezzo di copertina, eddai, è ridicolo.
E lo stesso mi accade coi post eh, figuriamoci.
Ma come, tu sei un blogger e te la tiri ecc. ecc. stai in classifica e sei seguitissimo e poi non correggi, non rileggi, non fai partire davvero nemmeno il correttore automatico e mi offri un post pieno zeppo di errori pacchiani (ma davvero pacchiani eh) solo perché “avevi fretta” o “eh ma io preferisco l’immediatezza, la freschezza”?
Cazzo io su QUESTA stessa intervista, che non apparirà sul mio blog, procedo così: rispondo, poi rileggo, poi correggo, poi lascio passare un giorno e rileggo e ricorreggo di nuovo e questi invece su due cartelline mal cacate lasciano i perché con l’accento sbagliato, triple al posto delle doppie, mettono parole troncate o errate, spazi e punteggiatura mancanti o troppo abbondanti (senza parlare della grammatica vera e propria, di sintassi e contenuti e ragionamenti perché non piace sparare contro la Croce Rossa)?
Che cazzo di rispetto hanno per se stessi e per il lettore?
La risolvono davvero tutta dando del grammar nazi a chi segnala e critica questi continui, quotidiani errori?
Sono post ciechi partoriti da gatte frettolose.
Fuck ’em.
Semplicemente fuck ’em e avanti un altro.
Sulle autopubblicazioni non posso far altro che riflettere su una mia generale esperienza: buona parte di quel che stampano le case editrici “serie” mi fa abbastanza cagare, con le case editrici a pagamento la percentuale di quel che provoca dissenteria cresce a dismisura e con l’autopubblicazione ancora di più. Nella mia esperienza è un dato solido.
Se non rifletti, se non collabori con lacrime e sangue insieme a un editor capace è difficile che quel che crei mi possa interessare, magari ci vedo degli spunti, ma la vita è breve e preferisco l’opera completa e non lo spunto.
Però difficile non vuol dire impossibile e il fatto che non interessi a me non significa che non possa interessare ad altri, anzi, credo che l’autopubblicazione avrà sempre più successo e saranno tutti felici e contenti e probabilmente la vivranno anche come rivalsa e conferma del loro talento, buon per loro, son belle iniezioni di ego per tipi fragili, aiutano.
Quando io affronto un’opera letteraria ho ben presente alcuni punti che, ormai da molto tempo, sono quelli che mi recano piacere e mi spingono a rinnovare il mio patto con quell’autore: il livello delle metafore; lo stile impiegato; i possibili cambiamenti del protagonista all’interno del narrato e i miei cambiamenti a fine lettura; il modo e la capacità con i quali l’autore si confronta con il canone precedente.
Senza questi elementi è raro (ma raro non significa impossibile, di nuovo: non ragioniamo sulle eccezioni) che qualche opera possa interessarmi.
E fra gli autopubblicati che ho letto io (pochi, ovviamente, direi una trentina al massimo, poi ho smesso) questi elementi sono totalmente assenti.
Ci sono tante trame, tante storie, quello sì.
E Céline in una intervista affermò: “Mi interessano solo gli scrittori che hanno uno “stile”; se non hanno uno stile, non mi interessano. Ed è raro, uno stile, caro mio, è raro. Ma le storie, ne è piena la strada: tutto è pieno di storie, pieni i commissariati, pieni i tribunali, piena la vostra vita. Tutto il mondo ha una storia, mille storie.”
Sono tutto sommato d’accordo, ci sono centinaia di storie che affollano Amazon o i vari portali di vendita, son quindi contento per le persone che amano le storie, troveranno un sacco di ottima roba a prezzi convenienti.
Se posso però leggere Dantec, se ho ancora dei romanzi di Tolstoj o Egan o altri mille che ancora non ho letto, perché dovrei invece spellarmi le mani per qualcuno che magari si dimentica persino di attivare il correttore di Word, che ha un così scarso rispetto di se stesso come autore? Come può una persona così poi sfornare davvero qualcosa di interessante?
Se ho davanti tre laghetti e ormai conosco le probabilità, per ognuno di questi, di riuscire a pescare il pesce che mi sazierà per la giornata e avendo mille altre cose da fare nella stessa giornata, perché dovrei andare a pescare nel laghetto con minore probabilità, specie tenendo conto che nel laghetto con maggiore probabilità nuota anche il pesce più buono?
14 – Secondo te c’è qualcosa di sbagliato nel modo come i blog italiani affrontano il cinema di genere, oggi?
Non saprei, ne leggo davvero pochi per darti una risposta e leggo quelli che mi piacciono, quindi ho una impressione parziale.
Quando ne leggevo di più mi sembravano divisi fra quelli che puntano tutto sull’ironia per nascondere profonde lacune; quelli che scrivono il compitino quotidiano e anonimo e quelli che sono troppo fan per avere qualche tipo di metodo di studio e analisi e postano in modo tanto entusiasta quanto acritico.
In generale a tutti mancavano molti mezzi, sia a livello di comprensione della materia che per quanto riguarda la scrittura, il saper trasporre i propri pensieri su schermo.
Non studiano nessun tipo di teoria, tanto ormai un parere vale l’altro, giusto? Fanno bene: data questa premessa, ormai accettata dalla maggior parte dei lettori, fanno benissimo.
De gustibus ovunque e avanti pedalare.
In più affrontano tutti il cinema come un divertimento, un hobby, una cosa che non è poi così degna di attenzione, non sembra essere per loro una argomento serio o perlomeno questo è quanto fanno trasparire. Io non ho hobby, io non ho tempo da far passare, mai, è tutto impiegato, 24 ore al giorno: anche quando “cazzeggio” su FB non è un passatempo, mai. Se gli altri lo considerano “cazzeggio”, sono come al solito problemi loro, non miei, è il motivo per cui appena leggo che la Rete è il male o che FB è superficiale luogo di cazzeggio non partecipo alla discussione e salpo verso altri lidi.
Magari la scena è cambiata negli ultimi anni, non considerare queste mie parole come una risposta valida ora, si riferiscono a parecchio tempo fa, ora vivo in una beata ignoranza.
15 – Fai mai rileggere i tuoi articoli a qualcuno prima di pubblicarli?
Tocchi il cruccio fondamentale e mi offri anche lo spunto per tornare su alcune risposte che ti ho dato in precedenza.
No, non ho nessun editor professionista (ovvero una persona che campa e mette il pane in tavola editando, non consideriamo gli editor che lo fanno “per passione”, davvero eh, no) e comunque non potrei permettermelo.
E se non posso permettermi un editor professionista il resto non conta.
Dopo la pubblicazione ho un gruppo di lettori che mi segnalano sviste e passaggi poco chiari e sono molto contento che abbiano voglia e testa di farlo, ma in generale è proprio per questo che non considero molto i complimenti nei confronti del mio blog, come quelli che mi hai fatto a inizio intervista.
Vedi, quando in occasione della tua prima domanda ho espresso dei dubbi circa i tuoi complimenti al mio blog: immagino che molti lettori avranno pensato “oh, la solita falsa modestia di circostanza”.
No, quei dubbi li ho espressi proprio per questo motivo, proprio perché non posso ritenere il mio blog un prodotto professionale, un insieme di scritti che siano stati controllati da persone esperte, sia per quanto riguarda i contenuti sia per quel che concerne la forma.
Non ha un editing o delle persone che ci puntano sopra dei soldi, tempo e fatica scegliendo di pubblicarlo: è quindi un prodotto per me scadente, una autopubblicazione: valgono per il mio blog tutti i ragionamenti che ho esposto in precedenza nei confronti dell’autopubblicazione.
Ovvero, io non so se mi leggerei. (Oh, poi ci sono le eccezioni eh, no? )
16 – Che ne pensi di Nocturno?
Non lo leggo da anni, non so come sia ora, non posso risponderti.
17 – Dylan Dog è in mano a Recchioni che già a Lucca Comics ha dato una certa nuova autorialità anche al modo di proporre pubblicamente l’immagine del detective dell’incubo. Sai, del tentativo di ribattere le accuse di un critico a suon di pugni? Quest’immagine agonistica di Roberto te la saresti mai aspettata? Te lo chiedo perché so che tu se qualcuno vuol passare alle mani, te la batti in modo fiero e irreversibile. So che Colombo di Horror.it te le promise, è vero?
Non posso aspettarmi nessuna immagine da una persona che non conosco.
Ho letto qualcosa sulla faccenda, credo siano affari loro anche perché non conosco i precedenti fra i due: ho più o meno smesso di leggerli in contemporanea un due anni fa in quanto li ritengo molto simili l’un l’altro e classici esempi di quel che non mi interessa leggere in Rete.
Devo però ammettere che, se ricordo più o meno bene il fisico di entrambi, mi sarebbe piaciuto molto assistere al tutto per l’altissimo livello di potenziale LOL della faccenda: due autentici cagefighter, tatuaggi cattivi, hic sunt peones, e tante botte con fumetti che svolazzano e cosplayer impaurite dall’inaudita violenza!
Sì, mi sembra di ricordare che parecchi anni fa Colombo promise di picchiarmi se mi avesse incontrato: non avendo io mai più espresso considerazioni sul suo operato posso solo sperare che non accada mai nulla di simile, le botte mi fanno un sacco di male, di solito, e il male non è bene e quindi ecco preferisco il bene, no?
Fisicamente non sono uno scricciolo e ho fatto per parecchi anni mestieri pesanti, da ragazzo ho preso sicuramente più botte di quante ne abbia date quindi non è che abbia paura, provi dolore poi passa, ma ho imparato solo una cosa: che dai confronti verbali sono uscito spesso con le mie idee cambiate dai ragionamenti dell’altro, mentre dai confronti fisici sono uscito con le stesse identiche idee che avevo in precedenza anzi, se possibile ancora più sicuro di quelle idee.
Ergo trovo la soluzione fisica uno delle cose più povere, stupide e inutili che un uomo possa tentare.
Le volte che ho picchiato qualcuno, in quanto costretto da un attacco suo, poi mi son sentito male e triste per lui e per me, non mi è mai capitato nemmeno di sentirmi “sfogato”, come narrano altri, se voglio sfogarmi ho altri metodi.
Quindi sì, se possibile evito il confronto fisico: non mi interessa che qualcuno mi pensa codardo, sono suoi pensieri e opinioni, quindi (di nuovo, lo so) suoi problemi, non miei
18) Sei sanremese d’origine e milanese d’adozione… cazzo porti per il Toro a fare?
Beh, a parte che sono nato ad Alessandria e ho vissuto lì per 4 anni, diciamo che tifo per il Toro per, mah, non so come riassumerlo in una sola parola, c’è una storia da raccontare, una storia senza stile, come quelle che non piacciono a Céline.
Ero alle elementari a Sanremo e tutti gli altri bambini tifavano, tifavano come dei pazzi. Ora, io non disprezzo il calcio anche se negli ultimi venti anni non son quasi riuscito a vedere una singola partita per intero. Non mi interessa molto ma non lo demonizzo, magari preferisco il basket ma in generale gli sport in tv mi annoiano, mi piace molto lo sport come narrazione, quello sì.
E se c’è da stare al bar mi diverto di più a guardare i tifosi che la partita. Comunque, tutti i bambini tifavano quindi capitò anche a me la classica domanda, “per chi tieni?”
Guardo un po’ l’album delle figurine e rispondo di botto “Avellino!”, perché aveva questo simbolo del lupo, una vera figata, “I lupi dell’Irpinia”, ma cioè ci pensi? Sembra il nome di un clan fantasy!
Poi però ci ripenso, ‘sto Avellino non vinceva davvero mai e ok che mi piace soffrire e non reputo la felicità la cosa cui mirare di più in vita, però madò, nemmeno il vincere mai, insomma, facciamo una cosa alla Troisi, un cinquanta giorni da orsacchiotto, dai.
E quindi un giorno un ragazzo più grande che stava nel mio stesso cortile e caseggiato mi fa entrare a casa sua: questo ragazzo giocava davvero bene a calcio, io anche eh, davvero, ero uno stopper-libero piuttosto bravo ma più cattivo e tenace che altro e poi mi incazzavo molto coi miei compagni, “torna!” era l’unica cosa che mi sentivi urlare in campo oltre alle bestemmie, anche se stavamo vincendo 5 – 0.
Insomma lo ammiravo e gli vedo in camera questo poster del Toro dell’ultimo scudetto, vedo questi giocatori immensi, immensi, i brividi anche solo a scrivertene ora, e BAM, amore a prima vista.
Poi sono subentrate tutte le retoriche false che però mi piacevano, tipo il Toro proletario contro la Juve degli Agnelli capitalisti, il Toro di sinistra ecc ecc, mi hanno fatto comodo da giovane, ora ci rido.
E anche le narrazioni vere e potenti che questa squadra aveva, da Meroni a Superga, che in effetti aggiungono incontestabile fascino.
Ma comunque sempre forza Toro, sono persino andato al concerto degli Statuto, figurati!
19) – Ti ricordi il tuo primo film horror? Fu al cinema o in TV?
Credo sia stato L’invasione dei ragni giganti, visto al cinema, avevo boh, cinque anni? Da allora ho una forte aracnofobia che sto affrontando solo negli ultimi anni, ho cominciato a prendere in mano gli opilionidi, per dire, o i ragnetti davvero piccoli, ma non so se ne guarirò mai.
20 – Io penso che un blog che si occupi di recensioni dovrebbe farlo senza alcun tipo di “dono” da parte delle case editrici o delle case discografiche (nel caso si dedichi alla musica). Tu per un po’ hai ricevuto dei libri gratis. Anche se non c’è pressione da parte di chi te li manda, non credi che sia impossibile poi non subire un qualche tipo di condizionamento mentale? Ricordo che quando stroncasti un pessimo romanzo di Dan Simmons (Danza Macabra) iniziasti la recensione scusandoti quasi con la Gargoyle per doverlo fare.
Sì, credo sia difficile, perlomeno lo è per me, quasi impossibile. Ed è per questo motivo che non accetto più regali da nessuno e non parlo di opere di amici o avviso prima sul potenziale di disonestà del post.
Mi manca questa capacità, è un mio grosso difetto e quindi preferisco evitare piuttosto che contribuire con qualcosa di menzognero o comunque di livello qualitativo inferiore alla media.
21 – Dagli indizi che trapelano su facebook tu sembri un tipo che si aggira per la sua cameretta con la maschera a gas, ha la casa piena di gatti e una moglie che tutte le sere esce a bere qualcosa con le amiche e non torna, lasciandoti solo con i felini, la birra e la cena che tu hai preparato e che si fredda sulla tavola. La mattina ti metti sul balcone in mutande e bevi. Al cinema ci vai ma come puoi ti rifugi nel bar del cinema. Se ci incontriamo hai detto che ci beviamo una birra. Sarai mica alcolizzato?
Ah ah ah beh, oddio… Lavoro da casa, ho un lavoro part time mentre mia moglie lavora otto ore fuori casa.
No, alcolizzato no (posso smettere quando voglio, don’t you know?) ma mi interessano moltissimo le alterazioni di stato (i soliti, banali discorsi alla Castaneda, Leary e compagnia danzante, i know) e amo il vino buono e mi piace stare con amici che condividano questi miei interessi.
Sono in generale una persona che sviluppa dipendenze molto facilmente (ma che riesce anche a guarirne con discreta facilità) e non posso far altro che ringraziare di essere immune al gioco per soldi, davvero, non so perché ma mi è andata bene.
Ho però passato alcuni anni di dipendenza da MMO o da pornografia, solo per dirtene due e quindi sto molto, molto attento a ogni mio interesse: diciamo che credo che bisognerebbe fare tutto con cultura, profondità e attenzione (e anche per quello che affermo di non avere “hobby”, se non forse la musica), vino e droghe compresi e credo, immodestamente, di riuscirci per ora alla grande.
Poi molte delle narrazioni che faccio su FB sono ovviamente esagerate, sono giochi sia con mia moglie che con gli amici, diciamo però che hanno tutte un fondo di verità e forse anche più di un fondo.
Abbiamo tre gatti e sono io il casalingo disperato della situazione, puoi immaginare quanto ci parlo con queste bestie e quanto voglio loro bene, anche se dico di continuo che sono satanici.
Mia moglie esce con le amiche e ha in generale una vita molto più interessante della mia e fa benissimo, io sono un tizio brontolone e noioso!
Come diceva il grande Truffaut, che cito in integrale: “tre film al giorno, tre libri alla settimana, tre bottiglie all’ora e tre gatti satanici addosso faranno la mia felicità fino alla morte”.
(Domande a cura – lo ripeto – di me che sono io e Michele Marinel che invece è lui)