Quando varietà non è sinonimo di qualità: Chrome Division – Infernal Rock Eternal (Nuclear Blast, 2014)

Secondo voi cosa è il vero fallimento: un brutto disco fatto con impegno o un brutto disco buttato lì come progetto secondario, senza pretese alla come viene viene da gente che ha cose ben più importanti da gestire? Per quanto mi riguarda il secondo. Fare un album fico è un’impresa difficilissima, chi ci prova con tutto l’impegno e produce solo roba mediocre merita rispetto. Un side project fatto tanto per sfogarsi, registrato al volo tra un disco “vero” e l’altro potrebbe anche rivelarsi un capolavoro, per carità, ma se questo miracolo non avviene io finisco per accanirmi con maggior sdegno su chi ha tempo e soldi da buttare in un prodotto scadente che chi ci mette il cuore ma per vari motivi proprio non riesce. Sarò retorico e sentimentale ma la penso così.

I Chrome Division vengono recepiti in questo modo: Shagrath dei Dimmu Borgir, più un pugno di altri blackster norvegesi, stanchi di andarsene a torso nudo per le fredde foreste del nord, si divertono a impersonare i figli bastardi della Lousiana. Solo che ridendo e pagliacciando qui siamo arrivati al quarto disco e dalla posizione in cui mi trovo (quella di uno che tenta di fare il recensore per diletto o per delitto) mi chiedo quanto ancora questo scherzo debba andare avanti. Dopo quattro album magari è ora che facciano sul serio o la chiudano lì.

Tranne il primo monotono lavoro Doomsday Rock ‘n’ Roll (2006) che per qualcuno fu un buon episodio di scazzato rotta e rolla, i lavori successivi della band non hanno lasciato nulla e raccolto nulla più di una sufficienza striminzita e tanti sbadigli. Varrebbe a ‘sto punto che si registrassero i demo in casa loro e li ascoltassero in macchina tutti e cinque insieme, girando per le ghiacciose strade di Oslo e facendo sissì con la testa. Epperò devo ammettere che questo Infernal Rock Eternal non sia proprio malaccio. No, non ve ne andate vi prego. Non sto dicendo che valga qualcosa ma che dopo ripetuti ascolti chiuso in macchina per ore, a causa di certi casini che non voglio raccontare, ho finito per trovarlo quasi gradevole.

Tanto per cominciare questo è un disco vero. Non vale molto ma è stato scritto, suonato e registrato tentando di alzare la posta, quindi andrebbe collocato più nella prima delle due categorie fiascose che cito all’inizio. Seconda cosa, è un ottimo insegnamento da consegnare ai futuri Metal Gods su come la varietà a volte possa essere il difetto più vistoso di un album. Qui troverete il rock groovoso alla Hellyeah, Black Label e Pantera (Endless Nights); il classico power alla Rage ( The Absinthe Voyage, Mistress In Madness); le melensaggini hair metal (Lady Of Perpetual Sorrow, You’re Dead Now) e il folk punk (ØL), e altri vistosi cambi di registro che non si sposano proprio e fanno pensare a una band davvero confusa sulla direzione da prendere. Non c’è un equilibrio, nonostante il buon lavoro produttivo. L’aria sbattona e southern è la veste che stride di più ma anche nei momenti dedicati a Lemmy o al metal anni 80 sembra che il gruppo non veda l’ora di chiudere e saltare su un altro sottogenere con la stessa smania frustrata di un onanista davanti a qualche sito porno.

Tuttavia Infernal non è proprio una schifezza. Ci sono buone melodie, qualche riff azzeccato e di questi tempi un lavoro dei Chrome Division è l’ultimo posto dove ti aspetteresti di trovarli, e sarei ingiusto se negassi che a tratti non mi abbia divertito ed emozionato un pochino. È come il cibo del McDonald o l’ultimo degli Avenged Sevenfold. Non approvi ma in fondo godi. Non sto dicendo che Hail To The King e il disco in questione siano alla stessa stregua, però come in quel caso mi sono trovato con il cervello e la pancia in totale disaccordo. E comunque gli assoli di Mr Damage sono davvero ottimi.

(Francesco Ceccamail)