Amatelo pure ma non chiamatelo capolavoro! Truckfighters – Universe

Si potrebbe decidere di essere sentenziosi e dire che l’amore rende di bocca buona.

Lasciate che mi spieghi. La scena Stoner/Doom/Sludge è la mia scena preferita. Posso dire senza vergognarmi di essere un fan devoto, di quelli che comprano a scatola chiusa, di ogni cosa che giri attorno al fulcro del Riff. Ed è una scena viva, dannatamente rigogliosa, pulsante e piena di musicisti che sono legati ai propri fan quasi da un cordone ombelicale. La scena del Riff Rock (termine sciocchiissimo ma utile a catalogare generi assolutamente differenti tra loro nell’unica cosa che forse li accomuna: il suono di una chitarra elettrica distorta che snocciola riff pesanti e ossessivi) vive di passaparola, di gente che ai concerti ci va anche se sono in capo al mondo, che compra i dischi in vinili colorati perché non vuole rinunciare alla corposità del suono analogico, ma ama comprare tonnellate di dischi su bandcamp per supportare i gruppi senza contratto. Una scena che pullula di radio, podcast, webzine blog , e nella quale ho conosciuto persone eccezionali di tutto il mondo.

Detto questo, la scena sa anche essere così devota verso i propri musicisti più amati, da risultare spesso di bocca troppo buona. Nel nome dell’amore per il suono delle chitarre coperte di fuzz, delle canzoni intrise di psichedelia desertica, della visceralità, si perde molta della cognizione di cosa rende un disco davvero valido e cosa invece rende molti dischi buoni, accettabili ma decisamente lontano dall’essere capolavori, a volte persino piatti e ripetitivi.

I Truckfighters sono sempre stati un gruppo che ho considerato più fumo che arrosto. Bravi a snocciolare dischi pieni di distorsione, di riff presi in prestito all’eredità Kyussiana con un tocco di Orange Goblin. Ma mai nulla di veramente straordinario o che mi lasciasse con quella sensazione particolare necessaria a spingermi a riascoltare un loro album da cima a fondo.

Con Universe, ci sono andati più vicini, ma hanno ancora mancato il bersaglio perché è un disco compatto, con alcuni pezzi ottimi, che riprende il suono degli svedesi dove lo avevano abbandonato in Gravity X, evolvendo il proprio stoner tipicamente europeo (quindi più vicino al Kraut che al blues acido dei gruppi americani) in un adeguata miscela di melodia e jamming, pesantezza e qualche scivolata pop.

Beh una scivolata pop: Prophet mi ha ricordato i QOTSA più recenti, con la sua melodia quasi indie rock, sostenuta sì dalle chitarre robuste di Dango ma comunque priva del mordente o della creatività necessarie per farla diventare il singolo che probabilmente i Truckfighters avrebbero voluto e che quindi rimane un filler piacevole ma facile da scordare.

Il resto del disco ha momenti più dilatati e trascinanti come la finale Mastodont o The Chirman, ma non lascia nulla di veramente memorabile e si fa presto accantonare.

E qui mi riconnetto alla mia frase iniziale. Ho visto amici recensori o semplicemente appassionati dichiarare che questo disco è un capolavoro assoluto. Quindi o sono sordo io, o l’amore per il riff rende di bocca troppo buona. Dategli un ascolto se volete, ha una buona dose di stoner melodico, ma non cercate il masterpiece perché davvero non è questo il posto.

(Andrea Costanzo)