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Alghazanth – I migliori Dimmu Borgir!

The Three-Faced Pilgrim è un disco degli Alghazanth, uscito nel 2013.

Gli Alghazanth hanno questo nome abbastanza buffo per il mio sistema mnemonico. Mi ricordo di loro pensando a un prodotto per la digestione o magari a un misto tra le alghe del mare e lo Skynyrd più morto di tutti. 

The Three-Faced Pilgrim, un titolo piuttosto anomalo per un gruppo black, ma qui parliamo dei finlandesi e le cose per quanto mi riguarda si fanno sempre un tantino più intriganti. La copertina con i due cigni in quella specie di lotta danzereccia sotto la luce di un glaciale mattino, è fica e fuori dagli schemi, per loro e in generale nella storia iconografica del black metal.

Se diamo un’occhiata a tutte le copertine dei dischi precedenti degli Alghazanth, infatti troviamo cose abbastanza tipiche: foreste muffose e sprofondate in una notte nuvolosa, pentacoli, caproni. Anche il loro logo è illeggibile, come da copione nichilistic-misoginus-puritania di tante altre band piantate con i chiodi nel più buro e duro underground.

L’album non presenta alcun tipo di sperimentalismo, contaminazioni folk, rimbrotti ambient, industrial o qualsiasi altro svarione sperimentale delle black band. È un lavoro molto muscolare,  operaio se vogliamo, con delle lunghe traversate in blast beat, voce stridula e un po’ Dani Filth del periodo Dusk/Cruelty e cavalcate alla Bathory prima maniera e dopo un frettoloso ascolto (se si hanno molte cose altre recensioni da fare prima in un fine settimana) può succedere di liquidare il tutto tipo un dignitoso tributo al genere senza picchi o momenti particolarmente coinvolgenti.

Io però l’ho sentito e risentito e risentito ancora (alla faccia di Mustaine) fino a sciogliere la superficie di ghiacciosa piattezza apparente e sono sprofondato nelle acque nere e polari di un lago famelico e gorgogliante di tristi ricordi. Sembrano i migliori Dimmu Borgir, ma con un taglio più autoriale, tipo gli And Oceans o i Dismal Euphony, (non so se ve li ricordate?)

Forse potreste se li aveste mai sentiti nominare prima di adesso, n’est pas?

Gli Alghazanth mi fanno venire in mente cose, volti, ricordi. Boschi primaverili avvolti in un tepore mattutino mentre la strega viene portata allo spiazzo dove una catasta di legna è pronta a consumar via ogni suo recondito accoppiamento con Satana praticato in quegli stessi anfratti silvani, che i suoi occhi disperati guardano per l’ultima volta.

Ecco, gli Alghazanth mi fanno venire in mente il male quando è indifeso e pronto a svanire nelle fiamme eterne. Ogni melodia è un insieme di violenza e terrore, aggressività e disperazione. E la furia costante, prolungata si insinua sotto le unghie dell’ascoltatore in un sadico connubio, lasciandolo in  stanze deserte, dove oltre alla polvere mossa dal vento, si sentono i piedi nudi di un’arpeggiosa solitudine bambina.