I Woland sono finnici ma rispetto a gente come gli Algazanth, che puzzano di renna rancida lontano un miglio, hanno un’aria più internazionale. Suonano black metal evoluto, come mi suggerisce il Biani, a cui devo sempre o quasi ottime segnalazioni. In rete si dice facciano avantgard ma non c’è traccia di tutta quella paccottiglia prog stentata con aggiunta di gongolii sperimentali da sala d’aspetto. I brani sono cicciosi, nerboruti direi, con un andamento sempre molto tallo scapocciante e fiero. Mi riferisco all’epicità di Living Water, molto Amorphis ma senza il catalogo tematico folkeggiante, anche se poi il gruppo ammette di ispirarsi sì ai filosofi maggiori della storia occidentale, ma anche alla vasta tradizione terracquea del proprio meraviglioso paese.
L’andazzo inziale del disco è piuttosto black, tra Rebel Extravaganza dei Satyricon e gli ultimi Emperor. Poi però la band prende il largo e si concede parentesi talvolta spiazzanti per non dire strambe, con duetti di chitarre latine un po’ melensi (Living Water), intermezzi pianistici brahamsiani o alla Debussy e qualche accordo jazz malinconico, tutti eseguiti dall’ospite Risto Tiihonen, su cui si riversano inaspettati giungismi da carica distruttiva (la psicotica Live Forever).
Per quanto la scrittura diventi rarefatta e cavalchi in direzione tangenziale est, i Woland sanno il fatto loro e non perdono mai il filo, il bandolo, il timone o in qualsiasi modo lo chiamasse Cicciolina. Non perdono mai il controllo anche nei momenti francamente più improbabili, come nella magnifica e a tratti delirante suite Extacy And Rapture (Inc. Honey In The Lion), quasi dieci minuti che partono con un riffone in stile Rammstein, proseguono con un piglio sardonico alla Mercyful Fate, infrociano in una serie di passaggi di death progressivo e si arenano temporaneamente in una sosta semi-ballad di folk sinfonico dal toccante lirismo.
I Woland sono in quattro, attivi dal 2010 e questo è il loro primo disco. Che ne dite di dargli un ascolto?