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Dylan Dog – Benvenuti a Wickedford

Benvenuti a Wickedford avrebbe dovuto essere un doppio albo, secondo me. Un po’ come Ramblyn, altra trasferta storica di Dylan. Il problema credo sia più la mancanza di spazio che altro. Il trasferimento di Bloch in un piccolo e insignificante paesino di provincia era stato annunciato da Recchioni mesi fa, sapere che il posto si sarebbe chiamato Wickerdford annunciava da subito che non si sarebbe trattato di un luogo così sereno e adatto a un pensionato, però nel mondo di Dylan Dog è così che funziona.

La storia è scritta dal veterano Medda mentre i disegni sono di Marco Nizzoli (che disegna Bloch in modo meraviglioso, con quei pochi capelli sempre spettinati e gli occhioni languidi). Confesso di aver saltato a piedi pari l’intro di Recchioni che in quel modo saccente e didascalico ha il potere di indispormi verso l’albo. Sarà un caso che stavolta il piacere sia stato maggiore rispetto alle altre recenti uscite sotto la sua direzione.

Wickedford, villaggio dove tutti si conoscono, popolato di pensionati che si danno al rock e protetto da un ispettore donna dai connotati fin troppo simili a Gaia De Laurentis, è definito in modo leggero e divertente. Anche il flirt tra Bloch e la fioraia (forse qualcosa di serio) è prevedibile ma presentato in modo discreto e tenero. Noi lettori vogliamo bene al vecchio ispettore, il cui nome di battesimo ho ingenuamente sempre pensato essere Robert (in omaggio al papà di Psycho) e che invece si chiama Sherlock Holmes Bloch.

Siamo affezionati a lui e di conseguenza abbiamo a cuore le sue sorti recenti. Seguiamo con viva partecipazione tutto quello che gli accade, sentiamo che dopo il traumatico arrivo alla pensione raccontato dalla Barbato le cose stiano andando decisamente meglio e la cosa ci fa sentire bene. Per descriverci tutto questo Medda impiega quasi un terzo dell’albo e quando è il momento dell’orrore, il mistero, il tempo di svilupparlo non è molto.

Sappiamo da subito che centra il giovane freak Adrian e un misterioso essere tentacoluto mangiatore di giovani viandanti diretti a un anonimo Rock Festival e anche tutto questo è inserito bene nel contesto di Bloch che va in pensione in un posticino tranquillo per modo di dire, ma siamo già a pagina 70 e la risoluzione è talmente frettolosa che quasi appare scontata e davvero poco credibile. Peccato.

Sorprendono i siparietti surreali di Groucho alla tutt’altro che insolita trasferta al convegno dei sosia e soprattutto il dialogo surreale tra lui e Dylan, in grado di sdrammatizzare in un colpo solo l’idiosincrasia dell’ex old boy (scoprirete leggendo perché scrivo così) per telefonini, tablet e quant’altro e la loro introduzione stupratoria nel suo mondo fermo tecnologicamente al 1991, è diventato un irritante filo conduttore in tutte le storie. Anche qui internet, come nel  numero 339, è una specie di Deus Ex Machina inaccettabile ma fondamentale all’economica risoluzione dell’episodio e nel prossimo episodio c’è in primo piano uno smartphone che non promette nulla di buono.

Inaccettabile, specie per l’ironia pimpante e a tratti genialoide di Medda, il fatto che una forcina per capelli scardini un lucchetto in modo tanto naturale, senza neanche una battuta, mentre lo scontro risolutorio tra Dylan e il mostro di turno si salva dal baratro della miriade di scontri tra Dylan e il mostro di turno grazie proprio a una battuta stupenda sull’inutilità di una sedia, in casi simili.

Negli horror è più utile una forcina per capelli di una pistola, il più delle volte. Siamo sicuri che Medda ci risponderebbe così.

Mi perdoni il lettore se ho usato per quasi tutto il resoconto la prima persona plurale. È una convenzione recensoria in cui finisco intrappolato più spesso di quanto vorrei. È chiaro che quanto detto non è il giudizio di una piccola comunità asociale, ma solo il mio umile parere. Yep! (Francesco Ceccamea)