Da non confondersi con l’omonimo film per la TV del 1996 diretto dal famigerato Michael Toshiyuki Uno. La Casa di Mary (ma il titolo originale è ben più calzante: The Witch Superstition) del 1981 è diretto dal fenomeno dell’improvvisata, James Robertson e tratto dal romanzo di uno Stephen King di quart’ordine, Michael O. Sajbel che al tempo vendeva benone i suoi pasticci di fiction in U.S.A. Uno dei film meglio distribuiti, in videocassetta e alla tv, degli anni ‘80, non c’era videoteca nel 1988 che non lo esponesse e non mancava per più di un anno dei palinsesti Fininvest. Sopravvalutato? Non troppo, era tutto sommato quello che prometteva di essere: una mezza barbata da incentivazione colesterolica a base di patatine e altre schifezze cinematiche. Piange il cuore vedere che nessuno pensa più a questo gioiellino delle tenebre perché è un film tutto sommato ben girato, con effetti speciali discreti e una dose di crudeltà splatterosa assai generosa. La storia di una strega cattivissima dal nome peripatetico: Elondra, bruciata nel 1784 dal volenteroso schizofrenico reverendo Andrew Pike, che però in forma di spirito malvagissimo infesta il lago in cui cadde il cadavere e anche la zona circostante, uccidendo chiunque si spinga nei paraggi per copule motorizzate, bagnetti allegri, farsi leggere il futuro o trasferirsi in case sinistre piene di brutti ricordi costruite presso la riva. E la famigliola tipica delle mattanze ottantiane arriva e viene spezzettata dallo spettro furente della megera con una ferocia che sembra provenire direttamente dal capolavoro argentianoSuspiria. Il prete investigatore che risolve l’intera faccenda con un esorcismo lacustre, finirà male come tutti gli altri. La cosa positiva di questo horror è infatti che finisce negativamente e non lesina in squartamenti coadiuvati da una dolente colonna sonora a base di violino. E una delle qualità indiscutibili è proprio la cura per le musiche. Non si tratta dei soliti strombazzamenti Wagneriani o l’isteria stradivarica Herrmaniana, ma una rivisitazione (l’ennesima ma piacevolmente scarna) del Dies Irae più un paio di temi originali che stupiscono per carica emotiva e forza suggestionante; se alla musica mixiamo i pianti delle sciacquette trucidate, l’afflato aumenta fino a far commuovere il più coriaceo dei macellai. Per chi ha paura delle streghe, del diavolo e degli inquisitori barbuti e molto severi, il film saprà far perdere il sonno e scappar via tutte le pecorelle che disperati cercherete a contare. L’italianità di questo film è poi fuori discussione. A parte la bambina satanica vestita di bianco, (una delle incarnazioni della strega) scippata come al solito a Operazione Paura di Bava, c’è anche la violenza e la sensualità malata del gotico italiano in generale. Le figure stereotipate della maga che tutto sa e poco dice ma in realtà sa poco e dice tutto, il ragazzone ritardato accusato ingiustamente degli omicidi e il prete stempiato e fuoriforma che rappresenta l’autorità cinica e scettica dell’ecclesia vengono massacrati tutti quanti in vario modo e questo riscatta l’opera da eventuali lamenti nerdosi. La trama è piena di buchi, personaggi importanti vengono messi da parte e altri secondari trascinati fino in fondo al film e al lago, ma questo può far caso a chi è sguarnito di senso dell’umorismo, per tutti gli altri questo non è solo un film… non è solo un film, ma una festa da consumare in compagnia di qualche suora nichilista e più birra possibile, così da godere fino in fondo l’atmosfera pagana e calendimagica che trasmette.