Le figlie di Dracula (John Hugh – GB 1971)
“I giovani devono essere castigati!”
Rispetto al secondo capitolo dove la svogliatezza e la trascuratezza formale di Jimmy Sangster (in veste di regista) rendono Mircalla, l’amante immortale quasi “camp” e in linea con la peggior merce cinematografica anni 70, in questo Le figlie di Dracula sembra di tornare indietro di dieci anni. I colori, la robustezza, Peter Cushing in gran forma, anche se provato dalle tristi vicende personali, la mano ferma di John Hugh, risollevano, ma non poi di molto la media di una trilogia tutto sommato resistibile, se escludiamo il primo capitolo di Roy Ward Baker. Tanto per cominciare, questo nuovo capitolo, con la vampira puttanesca e lesboide Mircalla ha poco a che fare. Lei appare va bene (interpretata dall’ennesima attricetta di poco conto, tale Katya Wyeth) giusto per consegnare a suon di effusioni sfocate e di morsi, il testimone del morbo satanico vampiresco al suo parente, il conte Karnstein (Damien Thomas), pivellino isterico e fissato con il maligno ma in fondo frustrato erotomane inoffensivo.
Dopo una lunga serie di tentativi pagliacceschi di evocare il signore delle tenebre per offrirgli i propri favori, ecco però la botta da matto del conte degenere: l’omicidio di una contadina il cui sangue cola accidentalmente nella tomba di Mircalla e la risveglia. Da lì, il conticino pepato diventa un vero mostro e per far dispetto al padre spirituale della piccola comunità di villani da piedi al castello: il puritano cacciatore di streghe Gustav Weil (Peter Cushing), gli vampirizza una delle nipoti, due gemelle poppute venute appositamente da Venezia per creare sconpiglio nella provincia inglese dei Pine Wood Studios – Hammer County.
Le due sorelline sono spiccicate di fisico ma all’opposto sul piano spirituale. Maria (Mary Collinson) è sentimentale e buona, Frieda (Madeliene Collinson) tendente al meretricio goliardesco. La seconda ben presto diventa dunque una creatura della notte e si aggira nei boschi a caccia di viandanti con i suoi sempre più spinti decolleté. Ne fa fuori un bel secchio e finisce per essere scoperta da quel piromane represso dello zio, il quale la consegna al suo gruppo di fratelli puritani, i quali dispongono senza esitare la messa al rogo.
Weil Cushing è convinto difensore delle leggi divine ma eccede un tantino con lo zelo e seguito da una schiera di esaltati a cavallo, semina terrore nelle lande attorno al villaggio peggio di vampiri e satanassi a cui presumibilmente la compagine dal cerino facile starebbe dando la caccia, purificando tra le fiamme, qualsiasi bella fanciulla che si aggiri sola nel bosco di notte o magari irrompendo nelle case dove si sospetta che la figlia di un contadino abbia dei traffici con lo demoniompersona.
Non è un personaggio positivo il vecchio Weil e se il conte non avesse quella spocchia e quel fare da checca inviperita, probabilmente ci schiereremmo tutti con lui, che è ufficialmente il più cattivo di tutti. Cushing e i suoi puritani a cavallo fanno più vittime e in fondo potrebbero bastare loro per rendere il film interessante, anche perché il vero buono e bello c’è, si chiama Anton, un giovane maestro di canto che caccia cinghiali nel tempo libero e scrive sdolcinate e inascoltabili cantate per spinetta. Lui studia il folklore e il vampirismo in particolare. Sa che Weil con il suo fuoco purificatore non combina granché a parte ammazzare delle povere donzelle innocenti e lo contesta fino a scrivere una inutile lettera di protesta agli anziani del villaggio i quali gli rispondono: brucia!
Come già si dice nel secondo film su Mircalla, il fuoco fa un baffo ai vampiri e per ucciderli ci vuole paletto nel cuore e via poi di decollamento. E di decapitazioni ce ne sono un paio niente male. A dirla tutta l’intero scontro finale è abbastanza cruento e blandamente in linea con i dettami del nuovo blood & gore in voga tra le leve del new horror. Non vi aspettate chissà che, ma per gli standard della Hammer, tra teste spaccate, decapitazioni, petti infilzati, visi ustionati, non sembra di stare in un film di H.G. Lewis (che mi auguro voi tutti sappiate chi sia) ma in uno di Pete Walker sì.
La sceneggiatura di Tudor Gates presenta le solite falle inverosimili ma è meno deprimente rispetto alla seconda. Non si capisce chi siano i vampiri che colpiscono prima che il Conte diventi vampiro ma poco importa. Tutto sommato poteva essere peggio. La colonna sonora del solito Harry Robertson è morriconiana, più adatta a un western di Corbucci che altro, e nonostante ci sia della gente che va a cavallo è troppo poco per giustificare quelle trombe squillanti messicane mentre i cavalieri battono le selve oscure e gli anfratti della vecchia Britannia. Tra le altre cose c’è forse la più brutta rappresentazione venatoria della storia del cinema inglese ma anche questa lasciamola perdere.
Le due gemelle sono vere, non un gioco cinematografico del doppio per fortuna, e tutto sommato entrambe abbastanza brave e così simili che oltre a confonderle i personaggi finisce per sbagliarsi pure il cameraman. Il meccanismo della corruzione avviene se entrambe vengono intese come un organismo unico. La parte che pende per la trasgressione si butta a pesce tra le braccia del conte ma con il vecchio gioco telepatico delle gemelle che sentono entrambe quello che capita a una, la bella e brava Maria pur non volendolo sente il morso in gola del vampiro e tutte le altre divertenti vicissitudini della carne che si concede sua sorella Frieda. La seconda di contro non lamenta le frustate che la prima si becca dallo zio per coprirla. “Dovresti prenderle tu la prossima volta, per ricambiarmi il favore” le dice Maria, ma Frieda cambia discorso. In teoria dovrebbe essersele beccate telepaticamente durante la scampagnata boschiva… boeeh!
Mircalla in tutti e tre i film, oltre a essere diurna, si concede amplessi tradizionali. Anche nel terzo, nella breve apparizione, scopa con il suo discendente il conte, prima di adempiere i suoi doveri di emissaria satanica. I due se la spassano un po’ e quel primo piano sulla mano che afferra la candela accesa e fa su e giù lungo l’asta di cera la dice assai più lunga di quanto potessimo aspettarci da un film Hammer. E anche quando Frida si avventa su una contadina mordendole una poppa viene da pensare che i tempi siano decisamente cambiati…