Dopo innumerevoli particine che lo facevano risaltare solo per la sua bruttezza butterata, Joe Spinell si ritrovò questo personaggio tra le mani e colse al volo l’occasione per dimostrare al mondo di essere un buon attore. Accettò il ruolo che probabilmente nessun collega affermato avrebbe mai preso in considerazione. Una roba davvero infame: un maniaco frignante che trucida donne indifese e si porta a casa gli scalpi per metterli in testa ai suoi manichini. Lui però non sottovalutò la cosa e diede a Frank Zito l’anima tormentata e disperata di un uomo solo, condannato a compiere azioni terribili per un irresistibile bisogno feticistico di compagnia femminile.

Ultimo ruggito del cinema horror americano prima di buttare tutto in farsa con le splatter comedy di Hooper, Raimi e Yuzna, questo è un film per gente malata, c’è poco da tergiversare. Dopo aver assistito alle gesta di un serial killer disgustoso e patetico come Zito ci si chiede se oltre alla voglia di vedere i buoni effetti splatter del grande Tom Savini, non ci sia qualcosa di più sinistro, di sudicio che la nostra mente tenta di nasconderci. Maniac non scherza, sporca i nostri occhi con la romantica demenza di un efferato assassino che martorizza e fa esplodere teste pur di ottenere quello di cui ha tanto bisogno: potersene stare sdraiato nel suo appartamento, dopo una doccia, in vestaglia, profumato e impomatato mentre disquisisce amabilmente con gli spettri di donne bellissime che non potrà mai avere e che tenta di evocare in un carnaio di corpi inanimati, simulacri delle sue vittime vere. Il film è girato molto bene. Non ci si può appellare alla mediocrità della messa in scena o alle falle nella sceneggiatura, alla piattezza dei dialoghi o alla recitazione prevedibile, gira tutto benissimo. È una riproduzione credibile e fedele di pura fetenzìa. Non ci sono alibi, se lo guardate e vi piace allora dovreste prendere in seria considerazione una visita dallo psicologo. Maniac non è come Deranged di Jeff Gillen e Alan Ormsby, dove il ritratto molto realistico di Ed Gein, cannibale ispiratore di Norman Bates e Leatherface, è presentato con il taglio del documentario giornalistico e il distacco clinico del sano che analizza le gesta del malato. Maniac non è nemmeno un film che prende un aspetto della società moderna e lo mette in crisi usando viscere, zombie o motoseghe. No, Lustig e Spinell non mentono, non si nascondono dietro una lama di coltello e firmano un lavoro schiettamente impuro e virulento. E se lo si trova godibile, allora si deve ammettere un’affinità con qualcosa che decenni prima sarebbe stata bandita dal mondo della fruizione con un bel rogo.

Lustig non tornerà mai più a questi livelli. Le sue storie di Vigilante privati e Polizombi sguazzano nella serie B più appagata e docile, ma Maniac è diverso, Maniac è pericoloso perché offre allo spettatore la schifezza che ha sempre desiderato e consumato, nuda e cruda. E poi c’è quel finale che vira nel fantastico e tradisce in modo così irresistibile. Tutto sembra fin troppo realistico e di punto in bianco ecco gli zombi. Forse sono solo nella testa di Frank Zito? Come i cadaveri mummificati che inseguono Gein nel succitato Deranged? Non si sa. Forse è davvero la prima vendetta zombie femminista. C’è una sorta di giustizia in quei cadaveri di donne che smembrano il cattivone e si cibano di lui. Una dichiarazione efferata di empatia verso le donne o molto più probabilmente una geniale paraculata.