Mircalla, l’amante immortale – Lust For A Vampire (Jimmy Sangster, GB 1971
Di solito quando un film non riesce bene, molti registi danno la colpa allo sceneggiatore. Quando invece tutto fila liscio, il merito è dei registi stessi ovviamente. Tirare sullo sceneggiatore, povero capro espiatorio, o come per tanto tempo si è considerato Zavattini in primis, seduttore pusillanime e frustrato che prepara l’alcova, scalda bene la femmina e poi si mette da parte per consentire al regista di goderne i favori carnali. Tutto questo preambolo per farvi capire che ho studiato cinema all’Università e darmi quindi delle arie e poi per iniziare una stroncatura attendibile.
Il secondo film della trilogia Hammer cosiddetta “vampire zozzone”, iniziata con il riuscitissimo Vampire Amanti di Roy Ward Baker e prosegue con questo seguito tremendo Mircalla, l’amante immortale. Ritornando al discorso iniziale (quello del regista che incolpa lo sceneggiatore) in questo film è esattamente ciò che è avvenuto. La peculiarità è però che il malcapitato che si è sobbarcato l’onere di portare a termine la pellicola è Jimmy Sangster, a sua volta sceneggiatore rinomato della scuderia Hammer (il quali fu accusato da Fisher di aver scritto i dialoghi più scemi della storia del cinema in Dracula, principe delle tenebre).
Insomma, ci si sarebbe aspettata maggiore solidarietà tra sceneggiatori e invece come il caro Jimmy passò alla regia la prima cosa che fece fu di accusare lo sceneggiatore Tudor Gates. Il film doveva dirigerlo Fisher, il quale preferì avere un incidente d’auto e tirarsi da parte, probabilmente dopo aver letto la sceneggiatura di Gates. Sangster ne prese il posto senza grande entusiasmo. Del resto non era una cosa semplice dare un seguito originale che fosse all’altezza dello splendido e rivoluzionario romanzetto di Le Fanu, di cui nel primo film Gates seguì pedissequamente la trama. Però il problema secondo il mio immodesto parere non è questo. La trama è niente di speciale, d’accordo, ma può andare. Io me la prenderei piuttosto con la terribile recitazione degli attori, la scelta infelice della nuova Mircalla (la bambola danese Yutte Stensgaard) e gli zoom abbondanti (indizio definitivo sullo scarso entusiasmo del regista).
Insomma, dopo che Mircalla muore nel primo film, alcuni sopravvissuti parenti vampiri la riportano in vita usando più o meno lo stesso sistema di Klove su Dracula, principe delle tenebre: il sangue fresco di una vittima innocente, lasciato colare sui resti del corpo del vampiro che torna carne e vita (anzi, non vita). La redimorta entra come studentessa in una esclusivissima scuola femminile presente nelle vicinanze del vecchio, pauroso, castello dei Karnstein.
Uno scrittore dongiovanni dal nome quanto mai pacchiano di Richard Lestrange (Michael Johnson), fanfarone e arrapatissimo, se ne innamora e inizia a fare a Mircalla una corte tenacissima. Lei altrettanto tenacemente fa fuori le compagne di classe finché non insorgono i villani con i forconi e le torce, assaltano il castello dove la vampira e il suo parentado si nascondono e danno fuoco a tutto quanto. Mossa inutile, visto che i succhiasangue sono creature infernali e stanno benissimo tra le fiamme come i maiali a Grufolandia. Finale negativo quindi che apre a un terzo capitolo di cui parleremo prossimamente. Forse.
Inferno. Il coinvolgimento di Satana in questo secondo capitolo è insolito, nel senso che i primi Dracula con Lee non parlano mai di cooperazioni tra Lucifero e i non morti. Questi sono una razza del ben più vago e insondabile regno delle tenebre, nessuno nomina gli inferi o quasi. In questo film invece i parenti di Mircalla versano il sangue e pregano Satanasso in persona di aiutarli a riportare la donzella ninfolesbica in vita.
Il nominare Satana a più riprese, nella cerimonia pacchiana dove l’officiante (Mike Raven) è una specie di Dracula con i basettoni, il pizzardo, i capelli impomatati e le lenti a contatto rosse che ricorda più per charme e credibilità Coffin Joe di Marins, che altro. Parlare di Satana aggiunge un tocco di pacchianeria in più che per qualche momento fa pensare a una pessima parodia messicana dei film Hammer e non alla stessa casa inglese.
Indugiamo, anche se non lo meriterebbe sulla nuova interprete di Mircalla (Yutte la danesina), in sostituzione dell’impareggiabile Ingrid Pitt. È una modella scelta da una foto e non dopo un provino vero e proprio. Dico questo perché a vederla sembra stupenda, specie quando il sangue le cola dalla bocca e le imbratta i seni perfetti, ma quanto a recitare più che una seduttrice del male sembra un’hostess con le mestruazioni eccessive e che ha combinato un gran pasticcio.
Ok, non siamo volgari e offensivi e diciamo che è abbastanza ingessata e scoraggiata: trovarsi davanti un regista mediocre e per giunta poco entusiasta come Sangster non deve averla aiutata molto. Per carità, è un vero piacere guardarla, ma quanto a inquietare o sedurre, non ne parliamo, ha un dinamismo erotico pari a un vaso liberty lanciato giù per le scale da un nano impazzito. Ehm… ok.
Menzione a parte per l’attore Ralph Bates, professore di storia fissato con la genealogia nobiliare. Dalle sue indagini scopre che Mircalla, la nuova arrivata è Carmilla la vampira e per arrivare a una simile sperticata congettura consulta febbrile decine di polverosissimi tomi e riempie ettari di carte con schizzi e appunti incomprensibili quasi a se stesso. Diventa così una specie di Renfield della contessa Karnstein. Copre un suo delitto e le si offre incondizionatamente come eterno servitore ma è poco gradito alla danesina che esprime un disgusto quasi genuino per quel lascivo e occhialuto paggio delle tenebre.
Nella versione che ho a casa, sono state reinseriti dei passaggi tagliati e non ridoppiati. Ogni volta che iniziano quindi a parlare in Inglese arrivano poi un paio di tette puntuali. Mentre nel primo capitolo la seduzione della vampira Pitt avviene in modo molto più rarefatto e vago, qui siamo più sul softcore franzoso, ma abbastanza blando, cari porcelloni in lettura, non vi aspettate niente di spinto, d’accordo? Non vi aspettate, tutti quanti, molto in generale.