“L’anima, quando si vale del corpo per esaminare qualche cosa, cioè della vista o dell’udito, o di qualche altro senso (esaminare per mezzo del corpo vuol dire appunto esaminare per mezzo dei sensi), allora essa è tratta dal corpo stesso alle cose che non sussistono mai in un modo medesimo, e per tal contagio si smarrisce, si turba e vacilla come fosse ebbra… Ma quando si mette a considerare le cose da per sé sola, allora si innalza lassù al Puro, al Sempiterno, all’Immortale e, come connaturata con lui, sempre con lui si ritrova finché le sia dato di starsene in sé raccolta. Allora cessano i suoi smarrimenti, ed ella rimane inalterata e tranquilla come unita a ciò che non si muta mai. E questo stato dell’anima si chiama saggezza. (Platone)”
Leggevo questo passaggio citato da Bertrand Russell sul suo Storia della filosofia occidentale e ripensavo inevitabilmente al romanzo di Dalton Trumbo, E Johnny Prese il fucile. Il libro, l’unico scritto dal suo autore che per il resto fu uno dei più pagati, talentuosi e perseguitati sceneggiatori di Hollywood, è ciò che secondo me avrebbe dovuto essere (e che nelle migliori occasioni è stato) lo Splatterpunk: una storia indigesta con un contenuto di schietta denuncia sociale.
Scritto nel 1939 e pubblicato due (o tre) giorni dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il libro di Dalton Trumbo è una bomba pacifista che però poco o nulla ottiene. Nonostante il successo, la vasta fruizione, non ha impedito che l’uomo continuasse a mandare i suoi simili alla guerra e che milioni di ragazzi rinunciassero alla propria esistenza per degli ideali e dei motivi politici che neanche avevano chiari in testa. Sì, fu un libro di culto tra gli hippie e i pacifisti degli anni 60 ma non credo che i movimenti di protesta fossero nati per merito di Johnny. Probabilmente anche, ma non c’è Trumbo dietro tutto quel trumbusto, dai e perdonatemi il joke linguistik.
Un romanzo di culto, poco dopo la sua uscita fu molto apprezzato dalle mamme e persino dai soldati americani, i quali potevano accedere in tempi in cui ogni copia era esaurita a quelle delle biblioteche molto fornite dell’esercito. È un libro che sa dire in parole semplici e inoppugnabili perché la guerra sia la cosa più immonda, stupida e deprecabile che gli uomini possano fare. Credetemi, non è semplice argomentarne i motivi senza scivolare nella retorica e nell’ideologia. Trombo riesce a trovare le frasi giuste ma soprattutto il soggetto letterario adatto a quelle frasi: un troncone umano nato da una bomba, frutto della guerra stessa. Ma un romanzo, per quanto ben scritto, lucido, ispirato e duro e diffuso nel mondo, non può risolvere l’Inferno che gli uomini hanno nel cervello, mi spiace.
E Johnny prese il fucile è la storia di un soldato americano che durante la Prima Guerra Mondiale perde gambe, braccia, vista, udito, gusto, olfatto e parola: una granata gli porta via tutto. Non ha più i sensi, è rinchiuso nel buio più totale e pensa, realizza piano piano dove si trova e come si trova, e senza la distrazione dei sensi, come auspicava Platone accede a una sorta di tranquilla disperazione e realizza perché sia tutto così assurdo.
Johnny è un morto che hanno dimenticato sulla soglia tra due mondi e che potrebbe spiegare all’umanità, anche solo mostrandosi a essa in tutta la sua truce drammaticità, perché è sbagliato fare la guerra. Si da il caso che sappia l’alfabeto morse e che a un certo punto lo realizzi passando l’ultima parte del libro a battere la testa su un cuscino finché una buona e perspicace infermiera non arriva a capire che non è un tic nervoso ma un tentativo di comunicare. I soldati che accorrono al suo letto realizzano presto però che un simile testimone non è l’ideale per l’umore delle truppe e per quello dei famigliari a casa. In teoria, anche se nel romanzo non è specificato, al momento in cui Johnny (o Joe) si mette in contatto con il mondo fuori, Hitler ha già invaso la Polonia o forse siamo anche più avanti nella merda.
Johnny viene così lasciato sprofondare di nuovo nel buio e nel silenzio. Da lì attende, incapace di uccidersi e impossibilitato a vivere.
Di questo romanzo lo stesso Trumbo trasse un film negli anni 70 con lo stesso titolo; i Metallica vi si ispirarono per una delle loro canzoni più celebri e amate, One. La storia in sé è potentissima, anche se altamente improbabile. Ha momenti di grande romanticismo esistenziale ma soffre (parlo del libro) di una concessione sintattica alle tecniche avanguardistiche degli anni in cui uscì. La traduttrice del romanzo, nell’edizione che possiedo, Milli Graffi, spiega rispettosa con una nota come sia riuscita a risolvere quelle poche scelte anarchiche sull’uso della punteggiatura di un romanzo tutto sommato dallo stile lineare. Trumbo non mette le virgole in molti periodi lasciando che sia il lettore a definire il respiro di una lunga frase.
Rispetto a quello che combinò in seguitò Giuseppe Berto ne Il male oscuro è una passeggiata, ma in tutti i casi trovo sia un espediente che ormai ha fatto il suo tempo. Ormai certi sperimentalismi grammatici risultano datati e poco più. Servono solo ad affaticare il lettore e accrescere l’osticità e con essa la credibilità del romanziere. Su E Johnny prese il fucile servono quasi a nulla. La storia avrebbe potuto essere totalmente lineare, tradizionale sul piano stilistico, come del resto è. Sì, è tutta una serie di flashback, scene oniriche e invettive retoriche contro la guerra, dal ritmo e incedere oratorio, ma in fin dei conti è solo un romanzo che appartiene ai suoi anni e se ancora sopravvive non è per dei vetusti modernismi strutturali ma per la semplicità e la brutalità del messaggio.
Anche il film soffre un po’ di questi tecnicismi degli anni in cui è stato realizzato e si perde in simbolismi troppo evidenti e ragionati. Il montaggio inoltre è tipicamente new hollywood, con tutti i pro e i contro del caso.
Che poi è un libro pacifista come potrebbe esserlo l’America: nel finale Johnny, tradito da tutto e tutti ammette che se avesse le braccia si darebbe da fare per uccidere i signori della guerra e che… “li useremo quei fucili che volete costringerci a usare”. Nel delirio infatti si immagina a capo di un vastissimo esercito pacifista, il più grande, quello della gente comune che è stata sempre fregata dalle bugie dei potenti (il vecchio comunista Trumbo) e praticamente quei fucili li infilano loro nel culo dei retori, i politici che vogliono far morire tutti. Insomma, non è proprio Ghandi, è pur sempre John Wayne che vi parla.