PRIMA PARTE – MANGIME PER L’OSSESSIONE
Curioso che io abbia pubblicato il post su una nuova via possibile per i blog di cinema horror dichiarando inizialmente, sia nel titolo che nell’introduzione, dodici punti e poi scrivendone undici. Ho capito che il dodicesimo, il più importante, riassuntivo dell’intera questione c’era, solo doveva ancora venirmi in mente in modo chiaro e definitivo. Lo sparo ora: totale interesse per il film affrontato. Direi quasi ossessione per il film affrontato ma badate bene, non è il film che deve ossessionarci. Sono le ossessioni che devono farci riconoscere i film giusti, quelli adatti al nostro appetito psicotico, per nutrire e curare, curare e nutrire le ossessioni che ci tengono in vita.
Dobbiamo ammalarci senza paura, contrarre i film come fossero un virus, accoglierli dentro di noi senza riserve e produrre poi, attraverso l’analisi e l’ossessione gli anticorpi in grado di metabolizzarli nelle nostre più intime fisime spirituali.
Troppe recensioni vengono concepite e scritte con un senso del dovere da archivista capo. I titoli presi in esame sono consigliati, suggeriti, imposti dai media e dall’imperativo che per essere letti è necessario affrontare le cose fresche, appena uscite, nuove che più nuove non ci piove. Ma quanto interesse riponiamo nell’ultimo torture slasher di Adam Mason? Quanta autentica fame ci mette l’ennesimo prodotto underground travestito da finto documentario che parla di una possessione diabolica? Quanti cazzo di Paranormal Activity o Saw volete recensire prima di chiudere il blog adducendo un improvviso calo di passione o un’insperata guarigione dall’ossessione per il cinema?
Come si fa a smettere di essere ossessionati da qualcosa? Guarendo sì, ma non accade mai completamente. Se d’improvviso sentite il peso della scrittura, o dello scrivere sul cinema è solo tutto dovuto al fatto che avete forzato la vostra testa e il vostro desiderio in modo acritico e a-ssessivo verso titoli ordinari e dimenticabili. Siete diventati archivisti e non c’è lavoro più noioso, tenendo conto che per voi non è neanche lavoro. Anche io ho dedicato tempo e battute a roba che non aveva nulla da offrire alle mie ossessioni. Questo non ha senso, è una cosa che uccide la vostra passione, intasa l’internetto e irrancidisce il vostro potenziale talento.
SECONDA PARTE – LA POLITIQUE DES RECENSER!
Due consigli: cambiate struttura quanto prima e cambiate approccio al film ogni volta.
Oltre alla scelta casuale e passiva dei titoli su cui scrivere c’è un modello di articolo abbastanza stagnante e ripetitivo in ogni blog. Lucia Patrizi per esempio scrive ottime recensioni ma strutturalmente piuttosto simili tra loro. Elvezio Sciallis invece si è evoluto nel tempo, pur rispettando la griglia fissa: riassunto dettagliato all’inizio, poi le considerazioni personali, ora ha aggiunto anche una sezione più anarchica dedicata alle nuove prese di coscienza sull’esistere, lo scrivere e il ballare che il film può (o non può) avergli suggerito.
Insomma, è troppo facile seguire un metodo di analisi stabilito. Io penso che sia più salutare partire ogni volta da zero, stilando nuove regole, stravolgendo la struttura riassuntiva del film se necessario. Troppa fatica? Meglio, scriverete di meno ma ci sarà più tensione tra le parole, più vitalità e il lettore lo avvertirà e ne godrà.
Avete mai pensato, quando guardate un film di scomporre la trama e ricomporla con un montaggio differente da quello visto al cinema? Avete mai provato a seguire un film abbassando il volume al minimo o sparando in cuffia la colonna sonora di un altro film o un disco che amate? Il montaggio delle immagini come quello dei suoni è arbitrario, autoriale, quindi perché non essere interattivi e stravolgerlo o contraffarlo? Siate anche voi gli autori dei film che recensite. Rendete artistiche le vostre recensioni e date loro una ragione di esistere vera.
Il cinema è soprattutto quello che vediamo e più ci passiamo sopra e più cose scorgiamo, nelle pieghe del montaggio si nascondono segreti che non potete immaginare.
Mollate per prima cosa il concetto di “autore”. Tra l’altro trovo davvero inammissibile che oggi si segua il cinema basandosi sul nome del regista (quanti film orribili mi sono sorbito per essermi fidato del marchio Tobe Hooper???). Inoltre è ormai chiaro anche alle capre che quando parliamo di un film stiamo parlando di un lavoro STRACOLLETTIVO. Sarebbe come parlare dei Police citando solo Sting che ha scritto i pezzi, ma chi li ha suonati? Chi ha concepito la batteria? Copeland, quel matto e sapete cosa, Sting odiava il suo modo di interpretare il ritmo delle sue canzoni. Ma se il batterista fosse stato lui e Copeland solo un automa al suo servizio non avremmo avuto i Police e i loro cinque straordinari dischi, solo un anticipo della noiosa e snobbosa carriera solista del suo singer pungilioso. La politique des auteurs fu una comoda via di lettura decisa da un pugno di critici scalcagnati e idealisti. Costoro rivoluzionarono il cinema e il modo di analizzarlo e giudicarlo ma oggi non ha più senso continuare a muoversi su quei preconcetti. Creiamo preconcetti nuovi: la politica dei recensori. L’unico filo rosso che colleghi decine di film in apparenza sono io, non chi li ha girati, io e la mia ossessione personalissima che nei film scova un percorso di segno possibile.
In un film ci sono il montatore, il direttore della fotografia, il compositore della colonna sonora, gli attori, il costumista, lo scenografo e tanta altra bella gente che condiziona, arricchisce o impoverisce l’idea mitomane del regista. Ma soprattutto ci sono gli spettatori. Ci sono io, che guardo e vivifico il tutto. Ogni videoteca (o se volete ogni tetrabyte) è il romanzo di un’ossessione suddivisa in capitoli. La storia di chi li ha ammucchiati. Un critico è solo consapevole di questa cosa e ha il dovere di lavorarci sopra con impegno e sincerità.
TERZA PARTE – ALCUNI PROTOESEMPI DEL CECCAMETODO!
Non l’ho detto nell’articolo degli 11 punti ma lo ammetto ora. Uno che sta già scrivendo quasi del tutto come intendo io è Marco Benbow. Prendete una qualsiasi recensione del suo blog Cineraglio. In particolare vi consiglio di leggere quella di Trauma di Dario Argento. Se il film vi entusiasma poco, dopo la recensione avrete molti spunti da smaltire lo stesso.
Marco non stronca, non vuole portare nessuno dalla propria parte: documenta, si documenta, racconta NON si racconta. Soprattutto sceglie in base al proprio interesse, alle proprie ossessioni e non secondo la data di uscita o perché tutti i blog ne parlano e fanno visite e like su Facebook. Non si occupa di un solo genere, ulteriore indice di genuinità. Si occupa di un tipo di film comunque ascrivibile a un sentimento, a una visione ossessiva e molto personale: un misto di potenzialità inespresse, volgarità giustificata e vitalismo commerciale e narrativo. Ama la serie B e i film bistrattati ma non solo. Passa da Bertolucci a Jesus Franco fino ad Alex l’Ariete. Il solo difetto di Marco trovo sia l’eccessivo sospetto verso un certo cinema autoriale astruso e pretenzioso, ma ognuno combatte le proprie battaglie. Soprattutto però, ogni volta che Marco sceglie un titolo io avverto che c’è una continuità e non è lontana per me la tendenza a definire cineraglico un titolo che mi faccia pensare a lui e alle sue recensioni.
Prima ho pure detto di Lucia Patrizi. Non vorrei essere frainteso, io la stimo. Trovo anzi che alcune delle cose scritte nel suo blog Ilgiornodeglizombi siano favolose e in linea con quanto io vorrei che fosse più frequente in giro. Prendete la rece di Carnival Of Souls o ancora meglio quella di The Innkeapers. In entrambi i casi c’è sia una dichiarazione forte di quello che Lucia predilige in un film e va bene, ma soprattutto ci sono momenti di grande ossessività e che arricchiscono sul serio la visione di chiunque.
Peccato che perda tempo ancora a scrivere di film che non sopporta e titoli “nuovi nuovi” di cui è “necessario” parlare. Soprattutto per le stroncature racchiuse in un solo articolo cumulativo intitolato Lammerda, la sua fatica è destinata per lo più a far sghignazzare i propri lettori ma rappresenta uno spreco di tempo e un logoramento costante per lei, che nessuno le risarcirà mai. Anche perché la sua scrittura cresce e convince quando si pronuncia su qualcosa che le è piaciuto sul serio mentre sullo sfottò irrancidisce in una boria compiaciuta.