Quando nacque il “movimento” Splatterpunk, il mondo dell’editoria horror si divise in due fazioni, quelli a favore e quelli contro. I primi erano ovviamente gli autori nuovi, giovani: fingendo di non gradire (o gradendolo apertamente) si erano lasciati infilare nel saggio di Paul M. Sammon alla voce Fuorilegge.
Nel secondo gruppo invece si trovavano gli autori più maturi, attempati. Di punto in bianco, questi outsiders della letteratura, da una vita alle prese con tematiche a dir poco anticonvenzionali come stregoneria, maniaci sessuali, bestie immonde nel sottoscala o bamboline voodoo, dovettero beccarsi l’appellativo bigio di “tradizionalisti” e “conservatori”.
A guidare le fila di costoro c’era Charles L. Grant, un autore in gamba di cui magari in Italia è stato tradotto troppo poco (e neanche in modo decente) per farsene davvero un’idea. Lui nella horror fiction sosteneva il valore del particolare suggestivo e del non detto rispetto alle descrizioni meticolose di budella e stupri anali. Altri scrittori lo seguivano a ruota con i commenti. Persino coloro che per gli splatterpunks erano stati un po’ i “padrini” inconsapevoli, presero le distanze da quell’ondata di narrativa esplicita e disturbante. Robert Bloch a esempio disse che per lui, tutto ciò che era venuto dopo La notte dei morti viventi era inaccettabile e Stephen King, pur riconoscendo di aver avuto un passato da “ribelle” non si sentiva assolutamente uno splatterpunk; non alla fine degli anni 80, quando sfornava due o tre bestseller all’anno sfruttando stereotipi del genere o rubacchiando idee da film e libri dimenticati.
Tra gli scrittori veterani Ramsey Campbell fu l’unico che non solo tenne a battesimo il più bravo degli splatterpunk scrivendo una prefazione alla prima raccolta di racconti (sto parlando di Clive Barker, yes) ma poco tempo dopo si presentò sul mercato con un’antologia di storie brevi molto influenzata da quel nuovo tipo di horror esplicito e disturbante e con un titolo quanto mai inequivocabile: Scared Stiff, Tales Of Sex and Death; che tradotto in modo più semplice e diretto è diventò in italiano Il Sesso della Morte.
Barker per rendere la pariglia a Campbell, ne firmò a sua volta un’introduzione e contribuì persino a illustrarla con alcuni dei suoi caratteristici patchwork insalubri di inferno e cultura pop.
Ora, detto alla svelta, lo Splatterpunk non era roba di frattaglie e basta. C’era di più. Il comportamento ostile di alcuni grossi nomi dell’horror cartaceo era dovuto alla tipica frustrazione e alla paura del nuovo che avanzava. Ma dopo aver letto la raccolta di Campbell si finisce per benedire quel rifiuto. Se anche gente come Grant o F. Paul Wilson avesse iniziato a infilar piselli e fiche grondanti nei loro plumbei esperimenti neogotici ora avremmo parecchia cattiva letteratura horror in giro per ebay. Non che il libro dell’autore inglese (41 anni al tempo della pubblicazione di questi racconti) fosse così orrido o fallimentare ma è la chiara dimostrazione che non si possa proprio masticare la nuova grammatica della ribellione, quando ormai si è superata una certa età e si è definito un proprio percorso stilistico… anche se all’insegna della ribellione, appunto. Iggy Pop non avrebbe mai potuto suonare il punk dei Sex Pistols, pur avendolo ispirato e per molti addirittura anticipato a grandi linee.
Ramsey Campbell è uno degli autori horror più grandi in assoluto ma definirlo punk è eccessivo. Originale, raffinato, ispirato e di un talento letterario superiore a tanti altri scrittori horror della stessa generazione, lui non distrusse la tradizione, ne fece propri alcuni aspetti e li personalizzò.
La bambola che divorò sua madre è un romanzo straordinario e imprescindibile per chi ami leggere di cose spaventose ma non ebbe per il genere una risonanza pari a cose tipo I libri di sangue o L’esorcista; non produsse spaccature sostanziali, pur indicando una nuova via ai romanzieri “de paura”.
E il discorso vale anche per le raccolte di storie brevi di cui è sempre stato un maestro. Purtroppo in Italia le migliori non sono mai uscite. Dobbiamo accontentarci delle dichiarazioni di King, Barker su quanto siano magnifiche e farcene un’idea assaggiando le decine di titoli sparse in quasi ogni antologia di racconti horror o thriller pubblicata in Italia dopo il 1973. Ah, recuperatevi l’ottima Incubi e risvegli (edita da Bompiani troppo tempo fa). E poi c’è Il Sesso della Morte che non vi consiglio… specie se non avete mai letto niente di Campbell.
Nella postfazione, l’autore stesso prova a spiegare perché di punto in bianco abbia deciso di trasformarsi in uno scrittore così esplicito, dopo che per tanti anni ha sempre giocato con le ombre, gli spettri, i mostri innominabili e le streghe metropolitane. Ovviamente vuol mostrare una certa coerenza. Non dice, cara gente, mi sono lasciato coinvolgere da questi ragazzini e ho deciso di batterli sul loro terreno, no. Lui riconduce ai suoi esordi il germe di questa ribellione, quando infilò la parola “merda” in una raccolta molto influenzata da Lovecraft e pubblicata da August Derleth in persona (il quale censurò il guizzo scatologico, manco a dirlo).
Ma già nella sua seconda e decisiva Demons By Daylight prosegue Campbell, lui aveva inserito elementi conturbanti e scomodi per gli standard di quegli anni. E quindi Il Sesso della Morte e i suoi sette racconti tra horror/urbano e porno/erotismo non sono altro che una diretta evoluzione di quella tendenza anticonformista dell’autore e forse il suo modo di saggiarne i limiti una volta per tutte, farla sfogare approfittando della buona disponibilità che il mercato editoriale, nel 1987, manifestava verso Dracula con il pene dritto o il lupo mannaro sborroso.
Credo che queste panzane Ramsey le stesse raccontando più a se stesso che al pubblico, ma poco importa. Il Sesso della Morte resta uno sbaglio nella propria carriera, che per fortuna poi non ha più ripetuto.
Campbell non aveva bisogno di cimentarsi in questa carnevalata di bambole gonfiabili stregate o spettri stupratori, anche perché un autentico stravolgimento, un tentativo davvero coraggioso di mettersi in gioco non c’è. Ha solo preso sette dei suoi soliti racconti di fantasmi, ossessioni urbane e stregoneria e ci ha aggiunto cazzi irrequieti, fiche dolenti e un armamentario da Sexy Shop anni 80, ormai datati.
Leggere di una bambola gonfiabile stregata è un po’ come imbattersi oggi in una storia su un cellulare Nokia grosso come una batata ed ectoplasmatico o su un computer che non vuole più spegnersi e in DOS ci comunica che presto il diavolo verrà a prenderci. Alimentano un senso di paura per qualcosa di nuovo che dopo vent’anni risulta un po’ ridicolo.
L’horror, l’erotismo e il comico sono i tre generi narrativi più suscettibili di invecchiamento, proprio perché spesso tentano di affrontare la realtà spicciola, sprofondano nell’attualità e ci mostrano quanto eravamo sciocchi in quel momento per essere tanto spaventati da un oggetto domestico di nuova generazione o una nuova figura metropolitana enfatizzata dai media; di quanto eravamo eccitati da alcuni indumenti o categorie sociali; di come ci divertivamo per barzellette imbecilli, volgari e ormai sciapissime. Eppure nulla come questi generi possono raccontarci chi eravamo in quel tempo. Il Sesso della Morte in un certo senso mostra un uomo inglese colto e alle soglie della crisi di mezza età che ha problemi col proprio pene e il mondo di opportunità che la realtà gli offre per risolverli è spaventoso, ridicolo o al più letale.
I personaggi di questi racconti di Campbell se maschi hanno tutti problemi disfunzionali o di ignoranza riguardo il sesso. Agli uomini o non gli si drizza, o vengono subito ma a parte questo non capiscono proprio come si scopi decentemente. Alle donne invece la frustrazione ispira solo un servile bisogno di far pompini poco convinti. In ogni caso tutti cercano di risolvere le loro difficoltà non incolpandosi (e prendendo lezioni di educazione sessuale o andando in visita da uno specialista) ma allungando la mano verso il telefono e formulando un numero speciale preso da un quotidiano (Regina di Maggio); entrando in un negozio esoterico di cose sexy dall’aria fin troppo ambigua (Chez Lilith); usando dei cristalli di droga in grado di procurare allucinazioni erotiche altamente gratificanti (Cristalli Verdi). Al di là delle idee però tutta la componente splatterpunk dei racconti è un’appendice sterile e scadente mentre le cose funzionano davvero solo quando l’autore torna a parlarci di ombre dinoccolate che avanzano dal fondo a una strada o di cimiteri e chiese abbandonate.
Ramsey Campbell resta sempre uno scrittore notevole, tra i pochi che con due righe di descrizione riveli in modo chiaro e sconvolgente gli aspetti esoterici e spettrali della quotidianità. Per dire: a volte inquietano di più i particolari urbani di Manchester buttati lì con un paio di pennellate di prosa ispirata piuttosto che gli scricchiolii provenienti da dentro una vecchia tomba. Come autore erotico però fallisce.
Sia chiaro, ci può stare. Di solito la pruderie, l’erotismo e il porno sono visti come l’ultima spiaggia di uno scrittore in cerca di attenzione e facili consensi, quando invece rappresentano il più scivoloso e complicato terreno narrativo da percorrere. È capitato a penne persino più brave di Campbell di farci dei bei tomboloni: scrivere in modo efficace di cazzi e fiche è difficile. Lui per dire scade in quella tiritera tra il volgare, il finto poetico e lo scientifico da romanzetto pruriginoso. Il pisello diventa quindi letterario (“il sesso di lui”) o neoclassico (“la mazza marmorea”), culinario (“salsiccia cruda”) o semplicemente improbabile (il pugno di un bambino). Sulla fica andiamo peggio (la guaina calda, l’arco di carne luminosa).
Anche i movimenti erotici durante il rapporto sono piuttosto convenzionali e irrealistici. Nei racconti di Campbell come in centinaia di altri prima dei suoi “la lingua di lei guizzò sul glande di lui”. Ma andiamo, detto in maniera cameratesca… ma chi vuoi che faccia un pompino così?
Oppure, “il pene di lui affondò nell’ano di lei in un sol colpo”. Ti piacerebbe Ram: il sesso di culo è molto più faticoso e impervio!
L’erotismo di Campbell insomma pare più assorbito e rigurgitato da altra cattiva letteratura che dalla vita. E a peggiorar le cose sembra quasi che l’autore creda più di tutti alle proprie sciocchezze.
Non dovrebbe mai accadere in ambito letterario, lo diceva anche Checov.