Non so se il titolo Doppia maledizione (all’interno comunque c’è un racconto che si chiama Doppio malocchio) sia stato dato a questa antologia in seguito alle burrascose e jellate vicissitudini che il manoscritto ha passato dal giorno in cui ne fu cancellata la pubblicazione, nel 1990, fino a quando poté far capolino in edicola, nel 1994.
Giuseppe Lippi che ne ha curato le sorti fin dall’inizio racconta in fondo al volume tutti i dettagli di un caso editoriale abbastanza deprimente ma plausibile sulle strategie commerciali della Mondadori, gigantessa spregiudicata e distratta, capace di lasciare il pubblico degli appassionati di narrativa horror con solo la prima parte di un’antologia concepita dichiaratamente per essere divisa in due volumi (anziché in tre come nell’originale della Underwood-Miller).
Personalmente ricordo di aver atteso e cercato per molto tempo il seguito de Il meglio dei racconti dell’orrore, uscito nella collana Oscar Horror e di averlo persino rintracciato in un catalogo Mondadori, annunciato come “di prossima pubblicazione” ma con un titolo diverso da quello che alla fine Lippi gli diede.
Doppia maledizione, ma anche tripla o quadrupla, direi. È per un caso davvero strambo poi, il capriccio di Stephen Gallagher (vi ricordate di lui? Verso il 1995 veniva presentato come un nuovo astro del genere) il quale non volle permettere alla casa editrice di Segrate di pubblicare un suo romanzo in edicola anziché in libreria; questo alla fine permise a Lippi di cogliere l’occasione e tappare un buco con la bistrattata seconda parte dell’antologia di Bloch.
Ma un momento, forse non sapete chi è Robert Bloch… Ve lo dico al volo nel modo in cui fanno tutti: è l’autore di Psycho, romanzo da cui Hitchcock trasse il filmazzo. A parte questo è soprattutto uno dei più bravi e ispirati scrittori horror del secolo da poco concluso. Considerate che molti esponenti moderni del genere devono parecchio al vecchio Bob, soprattutto quegli scavezzacollo degli Splatterpunks, da cui lui volle prendere le distanze ma invano.
Infatti, sebbene Bloch sia nato come scrittore di roba cosmica, alla scuola del suo amico di penna e mito personale H.P. Lovecraft, dopo una manciata di imitazioni discrete dei Miti di Chtulhu pubblicate su Weird Tales e altri pulp d’epoca, trovò la sua via personale all’horror grazie al fattaccio di Ed Gein, un maniaco pluriomicida tra i più tristemente celebri della storia americana.
I crimini raccapriccianti compiuti da Gein erano avvenuti a poca distanza dalla casa di Bloch e lui seguì con grande interesse il caso. Da lì nacque l’idea di Psycho (che da prima generò una serie di racconti neri tra i più riusciti dello scrittore) ovvero il mostro che non era più un tentacoloso abitatore delle cantine bensì un tipo comune, all’apparenza innocuo ma con diversi cadaveri in giardino. Lo psychokiller poi diventato fisso in migliaia di romanzi gialli, noir e horror lo introdusse il vecchio Bob nella narrativa del brivido, quindi.
Mi rendo conto che sia un po’ troppo arbitraria e schematica questa suddivisione dell’opera di Bloch. In fondo l’autore si era mostrato interessato a tematiche nere e violente molto prima che Gein finisse su tutti i giornali, ma quell’episodio gli permise di focalizzare l’ispirazione in una direzione ben precisa e soprattutto inedita. Da Non aprite quella porta fino al Silenzio degli Innocenti, si dice di dover ringraziare Ed Gein, che ispirò sia Hooper per il suo Faccia di cuoio che Harris per Buffalo Bill, ma la verità è che questi autori dovrebbero essere riconoscenti a Robert Bloch, perché fu lui a capire che dietro una storia terribile e sordida e soprattutto dalle apparenze così ingannevoli potesse nascere un soggetto letterario in grado di incarnare meglio di Dracula o della cosa venuta da un altro mondo, l’autentico babau della società moderna. Il male è tra noi ma siamo così ciechi da mettergli in mano i nostri bambini. Ed Gein il maniaco era un babysitter richiestissimo. E mentre l’America si scandalizzava, un giovane bamboccio che consegnava il latte nelle case della sua città stava già fermentando nella propria follia sanguinaria e anni più tardi avrebbe sì impersonato un ciccioso pagliaccio alle feste ma anche stuprato e ucciso di nascosto decine di ragazzini. Bloch iniziò a raccontare tutto questo con venti anni di anticipo. Vi pare Pogo? (Non ho resistito alla battuta, scusate)
Il fenomeno dei serial killer, a quanto scrive Colin Wilson nel suo fondamentale saggio Storia criminale del genere umano, è relativamente recente. Uccidere per uccidere, accumulare corpi nel sottoscala, riempirci il frigo e mangiarne dei pezzi, portarseli a letto fino a che non si disfano, son tutte cose nuove, sapete? Ed Gein non fu il primo mostro seriale salito in cronaca ma costituì un impressionante punto di svolta perché rappresentò cosa si cela dietro l’ombra del mostro. C’era stato Jack lo squartatore ma le sue schifezze non erano mai state associate a un colpevole con nome e cognome, storia e diagnosi. Nel suo caso il mostro che ammazzava le prostitute pareva superomistico, quasi un Dracula da macelleria, imprendibile, insondabile, infinito. Probabilmente la scoperta della vera identità che si celava dietro Jack non avrebbe retto con tutte le immaginarie ipotesi. Il pubblico sarebbe stato sorpreso e sconvolto (e deluso) come gli abitanti del paese di Gein e dopo ancora gli ex compagni di scuola di Ted Bundy. Possibile che sia stato proprio lui a fare tutte quelle cose orrende? Esatto. Il serial killer è un animale mimetico incredibile e appare il più insospettabile dei bastardi carognoni.
Ma torniamo a Bloch, dopo il 1940 quasi tutta la produzione breve di Bloch si è mossa tra i serial killer e la paccottiglia tradizionale di streghe, morti viventi, alieni, ma come nel caso di Richard Matheson, trasportati nei sobborghi di provincia o nelle periferie di Chicago e spesso nei Luna Park scalcagnati. Sugli spettacoli itineranti il caro Bob aveva una fissa quasi alla pari di Ray Bradbury.
Rileggere insieme le due meravigliose antologie curate da lui stesso offre una visuale esauriente di quello che lui è stato e soprattutto di come negli anni sia mutato, divenendo un narratore via via più cupo, amaro, pessimista.
Doppia maledizione (che parte dal 1963 e si ferma al 1979) infatti permette soprattutto di scovare le difficoltà che l’autore aveva a gestire la paura della morte, sofferta già molto in tenera età per sua stessa ammissione. Ovviamente con gli anni questo conflitto si acuì permettendo a Bloch di realizzare alcuni dei suoi migliori scritti brevi. Nella prima parte, quella intitolata Il meglio dei racconti dell’Orrore si può ammirare la fantasia, la capacità di tenere in scacco il lettore fino (soprattutto) all’ultima parola rivelatrice e la versatilità che gli permetteva di passare dal mistery al giallo classico, al satirico e il macabro senza perdere mai in stile, ma è in storie come Il labirinto didattico, Nato nello spazio, Un caso di cocciutaggine o Gente di cinema, presenti in Doppia Maledizione che è evidente quanto l’autore fosse capace di osservazioni sulla natura umana assai profonde e coraggiose.
La fantascienza de Il labirinto didattico è sulla scia di Dangerous Visions (la raccolta di heavy sci-fi curata da Harlan Ellison) ma dipinge una visione del futuro e della razza umana di rara disperazione. Bloch, con il suo faccione sorridente e il suo tono narrativo ricco di humor ha sempre mitigato le sue storie più estreme. Episodi come questo invece sono spogli di qualsiasi paciocconeria. Picchiano duro e mostrano un senso di grande frustrazione per come le cose del mondo stiano andando sempre peggio mentre tu diventi ogni giorno più debole, indifeso e consapevole della tua precarietà.
Un caso di cocciutaggine invece è ricco di ironia, un racconto perfetto e forse il più riuscito della copiosa produzione di Bloch, ma che offre pure una riflessione sui morti e i vivi molto amara e degna del Buzzati di Gli amici. Se muori tutti piangono la tua scomparsa, ok ma poi devi continuare a crepare, chiaro? Non puoi ciondolare in mezzo ai vivi come nulla fosse, mentre la bocca si riempie di vermi e il corpo ti si irrigidisce e tu dici che no, è solo artrite. Non puoi far altro o sono dolori per tutti.
Gente di cinema è il più romantico tributo che Bloch abbia dedicato a Hollywood, dove lavorò scrivendo numerose sceneggiature e saggiando di persona la follia, l’artificiosa essenza di un mondo in caduta libera continua e allo stesso tempo modello utopistico occidentale di quello vero.
Lui immagina che le anime dei defunti attori possano continuare a vivere dentro le scene di massa delle vecchie pellicole. E se c’è una cosa che Bloch, in questo caso e nei numerosi altri in cui si è occupato di attori in declino, produttori sadici, dive folli e comparse psicotiche, dice bene sul cinema è una verità lapalissiana che nessuno vuol vedere: è una finestra perenne su un mondo di spettri. Dovremmo temerla e rifuggirla e invece ecco che ce ne nutriamo, ne ricaviamo conforto e rassicurazione.
Poi sono immancabili gli esempi di protosplat. In Doppia maledizione si tratta soprattutto di Un giocattolo per Juliette, con Jack lo squartatore portato da una capsula del tempo al cospetto della versione femminile del marchese De Sade e La modella, storia di un’aliena in cerca di seme umano… e non solo. Questi esempi smentiscono lo stesso Bloch quando tirò in alto le braccia dicendo di non avere nulla a che fare con le oscenità di gente come Clive Barker o Ray Garton. In realtà non si riesce a immaginare una fonte d’ispirazione più attendibile di lui per i Libri di sangue.
La sua visione del degrado e la vacuità in cui è piombato il mondo letterario è satirizzata in modo forse un po’ troppo didascalico ma divertente in L’imbroglio del mese. Anche la psicanalisi è presa di mira ma chi viene conciato davvero male sono i cosiddetti progressisti puzzoni.
Colpisce la scarsa capacità di sopportazione e comprensione che l’autore ebbe per gli hippies, almeno stando ai suoi racconti successivi al 1960. Ce ne sono spesso ma risultano tutti sporchi, tossici, superficiali e destinati a una brutta fine, magari divorati da un licantropo o rapiti dal diavolo. Frank Zappa avrebbe approvato, immagino.
Inutile aggiungere però che sia Il meglio dei racconti dell’orrore che Doppia Maledizione non esauriscono l’eccellenza di scritti che l’autore è riuscito a creare in tanti anni di militanza nel genere. Mancano sia dal primo che dal secondo volume alcuni testi celebri e riusciti che evidentemente per Bloch significavano meno rispetto a quello che ne potesse pensare il pubblico. Forse per racchiudere davvero il meglio di Bloch ci sarebbero voluti quattro volumi o più, ma lasciamo perdere. Del resto non è detto che i gusti dello scrittore coincidessero con quelli di chi lo ha sempre letto. Anzi, di solito è il contrario. La base dell’infelicità di un artista è tutta lì. Il mondo vuole quello che lui non vorrebbe dargli e rifiuta quello a cui lui tiene di più. Definiamolo un rapporto amoroso nella sua accezione più disturbata.