I migliori racconti dell’orrore (secondo me)

PARTE PRIMA – PROPOSITI TERRIFICANTI

Prima che il mio amico Michele Marinel decidesse di chiudere il blog Unspeakable Kvlt stavamo pensando di scrivere articoli sui racconti. Era una scelta un po’ furba, serviva ad aumentare la produzione di pezzi senza dover fagocitare libri interi. Un conto infatti è recensire un testo di 200 pagine o più e un conto scrivere qualcosa su una storia lunga 2500 battute. Giustamente Michele mi ha fatto notare che scrivere sulla narrativa breve non è automaticamente “più breve” e soprattutto non è detto che sia semplice.

Aveva ragione. Ma ormai l’idea di occuparmi di quelli che io reputo dei classici della letteratura paurosa, mi aveva preso e quindi eccomi qui a dare il via alla nuova rubrica. Ciò che conto di fare non è spiegare, esaminando con la lente d’ingrandimento gli aspetti tecnici delle migliori storie brevi al fine di mostrarvi i trucchi, le regole su come si scrive un racconto particolarmente riuscito. Questo tipo di approccio aggressivo e inquisitorio nei confronti della buona letteratura l’ho sempre trovato inutile e controproducente: è un po’ come sbudellare un bambino molto bello e in perfetta salute per farsi un’idea di come si concepiscono bambini belli e in perfetta salute. Inutile, anche perché, secondo me, se proprio ci sono dei segreti da scoprire intorno al miracolo di un bel racconto, va cercato in quello che c’è prima che l’autore si metta a scriverlo, non infierendo sul prodotto finito. Ma ne riparleremo.

PARTE SECONDA – RACCONTI VERAMENTE SPAVENTOSI

Riprendendo l’introduzione di Roald Dahl al Libro delle storie di fantasmi, voglio prima di tutto scegliere non i titoli più celebri e canonizzati dai grandi esperti della paura, ma scovare effettivamente quali dei millemila racconti che possiedo nella mia biblioteca siano davvero spaventosi, inquietanti, orridi e terrorizzanti e perché. Altrimenti che diamine di storie dell’orrore sarebbero? Credetemi, non è così scontato trovarne. Per dire, non ricordo un solo titolo di Charles L. Grant che mi abbia spaventato. Era bravo a scrivere storie brevi, ha anche curato una serie di antologie esemplari sulla narrativa angosciosa dal titolo Shadows (In italia è uscito molti anni fa il primo volume per gli Oscar Horror – Ombre) ma di tutte le cose pubblicate che mi sono finite sotto gli occhi ho sempre ammirato la tecnica, la prosa, sbadigliando.

Robert Bloch è un altro che pur apprezzandolo incondizionatamente non mi ha mai terrorizzato sul serio, nemmeno con Psycho. Ramsey Campbell ci è riuscito molto meno di quello che la sua fama lascerebbe pensare. Fritz Leiber è un altro falso campione del brivido. Autore geniale, certo, ma quasi nulla di ciò che ha scritto mi ha mai fatto sobbalzare. Insomma, quelli che ho citato sono tutti davvero grandi ma non mi hanno mai messo alcuna paura autentica. A pensarci bene è difficile stilare una lista molto lunga delle storie brevi (o anche dei romanzi) che siano riusciti poi a impedirmi di scendere in cantina a prendere la paraffina. Ma di quelle poche voglio parlarvi, rileggerle con voi e rifletterci su. E magari scoprirne di nuove, basandomi sui vostri suggerimenti. (Anche se non mi faccio illusioni a riguardo).

I racconti dell’orrore sono il più delle volte noiosi, prevedibili e datati. Questo perché è davvero molto difficile scriverne, anche se tutti credono di poterci riuscire. La maggior parte sono nati per motivi alimentari o tanto per tenersi in esercizio. Sono pochi gli autori che hanno fatto del racconto la propria forma artistica principale, quella su cui sviluppare una vera teoria della paura o in generale un discorso autoriale molto forte: mi vengono in mente Lovecraft, Poe, M.R. James, Clive Barker, Robert Aickman, Thomas Ligotti, Eraldo Baldini, Paolo Di Orazio. Stephen King per esempio non è tra questi, sebbene abbia firmato almeno un paio di capolavori.

PARTE TERZA – SITUAZIONI ANGOSCIANTI E BATTUTE VIOLENTE

Di fatto pochi racconti sopravvivono negli anni, risultando spaventosi all’uomo del 2015 quanto lo erano a quello del 1888. Perché? La paura è un sentimento eterno e si basa sempre sulle stesse fantasie. Facendo un parallelo con la commedia, le situazioni potenzialmente divertenti non scadono (le battute invece sì) e tutto pesa sulla capacità individuale di chi ne scrive. Per l’horror è lo stesso: la vicenda dello spettro di un bambino che ogni notte afferra con le sue gelide manine il collo dei genitori inconsolabili può essere terrorizzante sia se scritta da Hawthorne in un linguaggio fuori moda e un contesto da villaggio puritano del New England sia se a occuparsene sia un classico “moderno” come Peter Straub, il quale userà una prosa giornalistica e ambienterà la vicenda in un paesino dello stato di New York, magari negli anni 60. Dipende sempre dal talento di chi scrive ma l’idea potenzialmente può funzionare, nei secoli dei secoli. La violenza e gli effetti cruenti invece no. Quelli presto o tardi perderanno efficacia e non determineranno mai un risultato orrido sicuro. Sono il vero componente biodegradabile dell’horror, come le battute per i comici. Difficilmente un make-up terrificante, nel cinema, regge dieci anni. Max Schreck oggi non spaventa più nessuno. I film espressionisti tedeschi nemmeno. Babadook ha provato a rigenerarli in un esperimento fiabesco interessante ma tra dieci anni chi rabbrividirà per le immagini slapstick/pop-up del mostro Babadook? Il cambiamento graduale di una madre da custode ad aguzzina del figlio invece reggerà, come ancora dopo 35 anni, Jack Torrence di Kubrick raggela nel suo divenire da genitore problematico a orco spietato e allucinato.

PARTE QUARTA – IL RIMPIATTINO DEL MODERNO NARRATORE

Un’altra cosa significativa che ho appreso con l’esperienza di lettore è che il terrore, la paura, non possono essere relegati in un sottogenere. Spesso si trovano dove meno te le aspetti: magari in William Faulkner o in Silvio D’Arso. Anzi, dire di aver scritto un racconto dell’orrore predispone a un’emozione che il più delle volte non arriva, proprio perché uno se l’aspetta e dopo numerose volte che la cerca e la prova sempre negli stessi posti finisce per desensibilizzarsi. In fondo leggere l’ennesimo racconto di Robert Bloch o William Hope Hodgson significa imbattersi nelle ormai classiche situazioni e gustarsi o meno la bravura degli autori a variarle.

Facciamo un esempio: un uomo sta viaggiando in macchina sotto la pioggia. Gli si buca una gomma. Scende e si mette a cambiarla. Alle sue spalle il bosco è buio e minaccioso. L’uomo monta la gomma e avverte questa tensione alla pari del pubblico (che si domanda perché il tizio continui a guardarsi alle spalle). Assistiamo all’operazione del cambio gomma dall’inizio alla fine con un senso di paura sempre maggiore. L’autore farà uscire il mostro, si sa. Bisogna capire quando. A metà del cambio gomma? Dopo averla cambiata? Una volta che il tipo è ripartito? Ci si aspetta con più probabilità la prima ipotesi, meno la seconda. La terza diventa palese quando il tipo ha finito di cambiare la gomma, è rientrato e con un senso di sollievo ha girato la chiave e… la macchina non parte. Ma certo, che sciocco, dice il lettore. Come poteva anche ripartire la macchina dopo che il povero disgraziato era riuscito a cambiare la gomma. Gira la chiave, gira la chiave ancora e guarda fuori. Qualcosa lo spaventa, gira la chiave di nuovo. È sempre più irrequieto e non sa il motivo, è quel posto, vuole squagliarsela da lì. La macchina parte davvero. L’uomo si gira, è sollevato. Abbozza un sorriso. Accende i fari che… illuminano un mostro bavoso e ringhiante proprio davanti al cofano. Orgasmo. O magari invece di un mostro c’è un cagnolino tremante e ricoperto di sangue. Lui scende e lo raccoglie scoprendo poi che il sangue… non era del cagnolino. WOWOWOWW!

È tutto qui. La bravura di uno scrittore di storie è nel modo in cui riesce a gabbare l’aspettativa dei fissati con le storie. Perché ovviamente o si diventa fissati con le storie o non le si legge e basta. Quelle dell’orrore in particolare. C’è un sacco di gente che dice di non sopportare gli horror e semplicemente non li guarda. “Ho troppa paura” dicono. Poi magari raccontano di aver visto un film di cui non ricordano il titolo e voi esperti capite che si tratta di Poltergeist o Phenomena e loro scuotono la testa a occhi chiusi. Non ne vogliono sapere. Chi invece ha gusto a spaventarsi con libri e film, state certi che ne mastica spesso. E inevitabilmente si smalizia. La sfida degli artisti è quella di scartare le attese difensive del lettore/spettatore e fargli goal!

PARTE QUINTA – I COEN, FARGO E MARIO BAVA

Trovo sia il vero limite della narrativa di consumo, oggi: la limitatezza delle ricette e soprattutto la mancanza di ambizione a usare il genere per intrappolarvi i propri spettri.  E non ditemi che è sempre stato così perché mai come oggi subiamo storie, di continuo. Apriamo facebook e ci sono storie condivise, vere o presunte su cui cliccare. Accendiamo la tv e ci sono film, telefilm, reality che raccontano storie. Come fa notare lo scrittore Cotroneo, anche i giornali ormai non riferiscono notizie ma storie. Cercano la storia nella notizia, non la notizia nella storia. Questa overdose di storie ci sta fottendo il cervello e prima o poi ci allontanerà dagli intrecci, dalle fabule. Cercheremo la realtà vera, se ancora esisterà. Oggi è tutta una storia piena di storie. E non è che questo aumento abbia generato nuove generazioni di vicende. Sono sempre le stesse. Limitandoci al discorso fiction è diventato tutto un misero rimpiattino con le aspettative del pubblico. Fargo, la serie televisiva, ne è un chiaro esempio. Sappiamo già chi sarà il killer, chi il povero sfigato preso in un casino più grande di lui ma non conosciamo come moriranno, lui e il killer, se moriranno entrambi o se uno dei due vivrà mantenendosi il bottino o rinunciando ai soldi per una semplice vita tranquilla fatta di risparmi e bollette. La bravura degli sceneggiatori si misurerà su come sapranno schivare tutte le nostre previsioni sulle tempistiche della morte e della sfortuna. La morte e la sfortuna però arriveranno, altrimenti non sarà un noir e non avrà approvazione dal pubblico, che vuole stupirsi nelle conferme. Si tratta di un gioco che a un certo punto finisce per stufare e impedire a uno come me, che era già grande quando Fargo (il film uscì e mi congelò in un ghigno) di apprezzare fino in fondo le due ottime serie di Fargo in TV. Già nel 1996, quando i Coen portarono il genere sul podio dei festival autoriali, il noir era ampiamente codificato e si trattava di attualizzare certe efferatezze, variando sulle situazioni prototipo. I Coen unirono la commedia alla violenza in modo fresco e tipicamente anni 90. La decade dell’umorismo nero, più che del postmoderno. Oggi le cose sono sempre più dure. Non è un paese per vecchi secondo me è un inspiegabile, sopravvalutato, successo. Fosse uscito nel 1997 sarebbe stato considerato l’inizio del declino dei Coen e del cinema americano pulp.

Quello che cerco io non è il solito guardie e ladri psicologico tra narratore e lettore. Io voglio un senso di inquietudine che mi accompagni per ore, giorni, notti infinite. E per avere questo non basta trasformare il serial killer in un vecchietto innocuo senza gambe o in un bambino delizioso e cieco. Ci vuole qualcosa di più. L’autore per riuscirci deve stabilire una specie di contatto medianico con i miei più segreti terrori. Per farlo deve vedersela con i propri, non ci sono altre vie. Il problema di tanti autori è che non lo fanno e a parte creare delle belle scatolette con tutti gli ingranaggi a posto, non fanno niente.

Perché un film come La ragazza che sapeva troppo mi terrorizza e Scream no? Perché nel primo, c’è una scena dove, in una casa abbandonata si vede una lampadina pendere dal soffitto, accesa. Nel secondo c’è solo un giochino d’abilità tra spettatore e sceneggiatore, che diverte e poco altro. In quella lampadina che pende, nella vecchia e abbandonata casa romana, probabilmente c’è molto di quello che io passo quando devo digerire la pizza con i peperoni. Come l’autore sia riuscito a indovinarlo è inutile chiederselo. Si tratta dei suoi incubi. Sono i suoi e anche i miei e vista la fama di La ragazza che sapeva troppo, direi quelli di tanti altri.

Questo cerco nei racconti che esaminerò. Spero non mi lasciate solo a farlo. Sapete, io ho paura.